lunedì 26 agosto 2024

IL GIORNO (O IL VIAGGIO) PIU' LUNGO

Uno dei momenti più critici nella vita dei maschi nati fino al 31/12/1985 era dubbio fosse la vigilia della partenza per il servizio militare di leva oppure il primo giorno passato in Caserma; le opinioni, come al solito quando bisogna fare una scelta netta, sono divergenti: c'è chi non dimentica l'angoscia del viaggio di andata verso l'ignoto, turbato dai racconti apocalittici che gli amici anziani e già congedati gli avevano propinato con un misto di humor e di sadismo e altri invece che ricordano, come fosse adesso, il tremendo senso di smarrimento e conseguente timore, che li aveva travolti una volta che il portone della Caserma si era chiuso alle spalle ed erano iniziate le urla dei sergenti istruttori che li avevano "accolti" nei vari C.A.R. d'Italia in cui erano stati destinati (Centro Addestramento Reclute).

Certo nella scelta conta molto l'esperienza personale di ciascuno; faceva differenza l'età, il corpo, il reparto e il luogo di destinazione: una cosa era partire per un CAR di fanteria vicino a casa oppure finire nei paracadutisti della Folgore o alla famigerata SMALP di Aosta (Scuola Militare Alpina) per il corso AUC (Allievi Ufficiali di Complemento).

Una cosa poi era partire pischelli, appena compiuti i 18 anni, oppure terminati o prossimi alla fine degli studi universitari.

Tra gli amici le opinioni e le esperienze si dividono più o meno in parti uguali, per cui non mi resta che dire la mia.

Sicuramente fu la sera della partenza ed il viaggio verso la destinazione: la Caserma "Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa" di Fossano (Cuneo), sede del II Battaglione della Scuola Allievi Carabinieri Ausiliari di Torino, per "frequentare" il 170° Corso A.C.A. - Allievi Carabinieri Ausiliari, intitolato alla memoria del Brigadiere Angelo Joppi.

Ancora non lo potevo sapere, ma il suo vero nome era 170° "SAHARA", come erano battezzati dagli allievi tutti i  corsi estivi nel microclima particolarmente caldo e afoso della località piemontese, da trascorrere più che si poteva all'aperto, stante l'ovvia mancanza di sistemi di climatizzazione nelle camerate, che non fossero le finestre aperte di notte.

Tutti quelli invernali invece erano intitolati "FINDUS", visto che invece scontavano la rigidità dell'inverno nel cuneense, i malfunzionamenti cronici dell'impianto di riscaldamento e gli spifferi gelidi notturni provenienti dalle finestre che ancora non avevano potuto beneficiare di tanti bonus fiscali di efficientamento energetico.  

Quella sarebbe stata per tre mesi la mia "casa", assieme a quella di altri 1000 ragazzi provenienti dalle regioni del centro-nord Italia, in attesa di lasciare la pellicola del bruco - l'allievo - e conseguire per i successivi 9 mesi lo status  - e la pistola - di Carabiniere in qualche altra regione del Centro-Nord Italia, verosimilmente quella di residenza.

Alle 21,00 circa della sera del 5 giugno 1992, alla stazione di Udine, salutavo i miei genitori dal finestrino di un treno che, dopo essersi cambiato "l'abito" nelle stazioni di Venezia Mestre, Milano Centrale e Torino Porta Nuova, mi avrebbe infine fatto scendere alle 9,00 del mattino seguente in quella di Fossano in una sorta di D-Day 48 anni dopo un 6 giugno ben più drammatico.

Probabilmente il viaggio "più lungo" di tutta la mia vita, non solo per i tanti cambi, le attese e le ore sui binari: incominciavo a mettere a fuoco, e toccarlo con mano, il concetto che di lì a poco la mia Vita sarebbe cambiata drasticamente, che abitudini consolidate, routine quotidiane, persino visioni del mondo erano in procinto di essere sostituite o messe in discussione da altre assai diverse e che, nonostante i tanti e particolareggiati racconti di amici che mi avevano preceduto nell'esperienza di vestire per un anno la divisa dell'Arma, ancora avevano i contorni dell'ignoto.

Mille domande, mille pensieri, mille per mille preoccupazioni. 

In ordine sparso:  la relazione sentimentale che avevo iniziato non molto prima della partenza avrebbe retto lo struggimento e la frustrazione della lontananza forzata? sarei riuscito in qualche modo a continuare la stesura della tesi di laurea che ora "quell'interruzione" rendeva assai complicata? sarei riuscito davvero ad adattarmi nel regno del "Signorsì"? in quel mondo che non contemplava la possibilità di discutere gli ordini ma solo di dar loro esecuzione, senza farsi e, soprattutto fare, troppe domande? 

E poi m'immaginavo le situazioni critiche in cui un Carabiniere poteva trovarsi nel suo quotidiano: in particolare l'idea di essere coinvolto nelle operazioni di ordine pubblico allo stadio oppure nelle manifestazioni di piazza, mi faceva correre un brivido lungo la schiena. Sarei stato all'altezza? Sarei riuscito davvero a spaccare, per legittima difesa, una carabina sulla schiena di qualche "tifoso" in curva?

E se mi fossi trovato in mezzo ad un conflitto a fuoco? Sarei stato in grado di cavarmela?? "Ricorda, è meglio un brutto processo di un bel funerale" - questa era stata la risposta dei "reduci" prima della partenza, interpellati in merito.

Io avevo studiato per diventare un commercialista, mica Serpico!!!

Insomma, ore e ore con quei pensieri che giravano e rigiravano nella mente come il famoso criceto in gabbia, sempre con risposte insoddisfacenti o incomplete nel buio dello scompartimento del treno con il costante rumore dello sferragliare del convoglio sulle rotaie.

Poi, esaurita la sosta a Milano Centrale, qualcosa cambiò perché le carrozze si erano nel frattempo riempite di tanti e tanti ragazzi più o meno della mia età, con i capelli tagliati corti e un borsone al seguito, ma soprattutto tutti con gli stessi pensieri che si leggevano nel loro sguardo lontano, colmo di smarrimento e preoccupazione.

E molta umidità.

Stessa mia destinazione, non ero più solo.

Così le ultime ore prima dello "sbarco" sulla banchina di Fossano in "Normandia", passarono un po' più veloci ma soprattutto meno "faticose" nell'animo, constatando che quei pensieri pesanti come il piombo erano condivisi da molti altri e che insieme riuscivamo a "farci coraggio" e persino a scherzarci sopra.

Che fosse meglio lasciar stare tutte le previsioni ma dedicarsi ad essere pronti ad affrontare le situazioni via via che queste si palesassero, lo capimmo non appena ci trovammo sulla "spiaggia" della stazione del cuneense e svanirono tutti i piani di farci un giro insieme in paese per consumare le ultime "ore d'aria" prima di rispondere "presente" alla chiamata per le ore 12,00, come riportato sulla famigerata cartolina di precetto colore rosa: fuori dall'edificio ferroviario erano parcheggiati alcuni bus blu con l'inequivocabile scritta CARABINIERI sulla fiancata e diversi graduati in divisa che sbrigativamente c'invitavano a mostrare i documenti e salire sui mezzi alle nove del mattino.

Durante tutto il primo giorno non ci fu molto tempo per pensare oltre e farsi prendere dalla nostalgia: come in una catena di montaggio tutti 500 arrivati in giornata fummo sottoposti ad una serie continua di frenetiche attività volte a trasformarci da civili a militari in 24 ore: riconoscimento, visita medica, inquadramento in uno dei 12 plotoni del battaglione in base alle iniziali del cognome, consegna di tutto il materiale personale, camerata e posto branda, incontro con i propri comandanti, rancio e prime istruzioni sulle regole interne (orari, come e quando sistemare il letto, la cura e l'igiene personale, i vari servizi, ecc..) e la logistica della Caserma, una vera e propria città nella città.

Seppur decisamente fatiscente e con i servizi igienici che rispettavano questa proporzione: 12 "turche" (di cui almeno la metà costantemente fuori uso) per 90 allievi. Ricordo ancora il primo pensiero: "Ma con quale cazzo di coraggio i NAS (Nucleo Antisofisticazioni e Sanità) dei Carabinieri girano per gli esercizi pubblici a fare le multe?"

Solo a tarda serata, disteso nella branda della camerata, di nuovo solo con i miei pensieri amplificati dal suono della tromba del silenzio, compresi che "niente sarebbe stato come prima".

Nell'ipotesi che il lettore sia arrivato sino a questo punto, non è mia intenzione tediarlo oltre con aneddoti di quel primo giorno, probabilmente assai simili a quelli vissuti in prima persona se nato prima del 31/12/1985 e non esentato dal servizio militare.

Però 2 di numero li voglio lasciare alla memoria dei posteri.

Il primo, che ben dipinge quanto diverso fosse il politicamente corretto 30 anni fa rispetto ad oggi, si riferisce al discorso che ci fece il caposquadra, un brigadiere di origini friulane, quando alla meno peggio riuscì ad inquadrare i miei compagni di plotone e me nel piazzale davanti alle camerate che ci erano state assegnate.

Con voce stentorea e scandendo bene, lentamente, le parole, più o meno disse così:

"In questa Caserma e nell'Arma in generale possiamo essere tolleranti su molte cose; ma su tre non si transige minimamente e siete pregati di ficcarvelo bene in testa da questo momento in avanti.

Primo: non accettiamo chi ha la mano lunga.

Secondo: non accettiamo chi fuma sostanze diverse dal tabacco, assume polveri diverse dalla penicillina o per via endovenosa sostanze diverse dalle flebo o dalle vaccinazioni.

Terzo: non è gradito chi suona il flauto a pelle.

Per cui se ricadete in una di queste categorie e foste riusciti comunque ad arrivare qui, è meglio che ce lo diciate voi subito e sarete solo trasferiti in altro reparto dell'Esercito senza ulteriori accertamenti o complicazioni perché se invece in questi tre mesi o più tardi lo scopriamo noi, poi è peggio."

Il secondo aneddoto invece riguarda la visita medica a cui venimmo sottoposti prima di essere immatricolati.

La procedura ricordava vagamente quella vista nel film "Schindler's List", quando i detenuti del campo venivano separati, denudati e inviati in diverse fila ad un sanitario in divisa che sommariamente li guardava e poi con un cenno della mano li inviava da una parte o dall'altra.

Mi si perdoni la macabra analogia, ma quello fu il pensiero che mi assalì quel giorno.

A gruppi di 10 venivamo avviati da un graduato sul primo uscio di uno stanzone con due porte, "invitati" a spogliarci in fretta - e poi, una volta udito il nostro cognome e nome, ad entrarvi in serie, uno alla volta; in quella specie di "aula magna" erano state allestite a semicerchio 4 postazioni di cui l'ultima vicino all'altra porta e dalla quale poi si sarebbe usciti al termine del percorso.

Nella prima postazione un medico con il camice bianco ti chiedeva se assumevi abitualmente farmaci e se si quali, poi ti faceva aprire la bocca, osservava all'interno del cavo orale, di seguito scrutava cornea e pupille e infine con un cenno ti faceva proseguire al secondo e terzo step dove due militari dell'arma in divisa provvedevano rispettivamente a prendere e registrare peso e altezza.

L'ultimo "ostacolo" era il più temuto: innanzi ad un graduato in divisa che indossava un guanto chirurgico, senza camice bianco seduto su di una sedia vicina all'uscio, si veniva prima "invitati" ad esporre il glande, poi ad allargare le gambe e tossire mentre lui con la mano "guantata" - per la sua igiene (sic) -  dava una bella scrollata ai testicoli e ti ripeteva senza troppa "cortesia" di tossire e tossire ancora più forte.

Terminata "l'accertamento clinico" ti ritrovavi nel corridoio con un altro graduato che sollecitamente t'invitava a rivestirti, uscire e lasciar libero il passaggio.

Ancora un po' storditi nel piazzale della palazzina "medica" ci trovammo a commentare tra reclute e ricordo come se fosse adesso la chiosa di un commilitone lombardo: "Io sarò pure una spina di merda e quello là dentro un graduato... ma stasera quando andrà a casa, se la moglie gli chiederà com'è andata al lavoro, cosa gli risponderà? che ha tastato 500 scroti in due ore? e domani altrettanti?"  

Detto questo furono tre mesi indimenticabili, densi di esperienze irripetibili, tra cui il regalo di amicizie che mi onoro ancora di coltivare a distanza di più di trent'anni. 

Al momento del congedo, il 5 giugno 1993, oltre al sapore della gioia per riprendere la vita civile che avevo pianificato e desideravo, provai grande soddisfazione per essere riuscito, durante il servizio  al reparto di destinazione come Carabiniere ausiliario, a gestire e disimpegnarmi in diverse di quelle circostanze che tanto temevo e mi preoccupavano quella notte di un anno prima, sul treno che da Udine mi portava a Fossano. 





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