giovedì 12 settembre 2019

IL TESTAMENTO DEL REGISTA

Fare parte di una compagnia teatrale è una delle esperienze più esaltanti che si possano maturare: significa imparare a conoscere sé stessi, ad interagire con gli "altri" e avere la possibilità grazie allo schermo del palcoscenico, di far emergere senza inibizioni, in un ambiente "protetto", i lati più nascosti del nostro "io", potendo anche sperimentare modalità comportamentali che non ci sono "familiari" nella vita di tutti i giorni. "Fare teatro" non significa imparare a recitare bene, avere una buona dizione, saper rispettare i canoni imposti dalla regia; "fare teatro" è mettere in gioco quell'unico ed irripetibile patrimonio che ognuno di noi possiede indistintamente: la propria anima. 
Una buona dizione, una buona memoria, un bel portamento altro non sono che "tecniche" al servizio della propria anima: pensare di "essere" attori praticando la sola tecnica vuol dire trasformare la possibilità di vivere un'Arte, quella del fare teatro, nella certezza di eseguire un compito scritto e pensato da altri. 
Tutto questo vi scrivo non per incitarvi a disprezzare od ignorare le "tecniche", che sono elementi necessari, anche se non sufficienti, per essere dei bravi interpreti; lo faccio con l'intento di esternarvi il mio modo di vivere il Teatro, visto che da oggi ci troveremo insieme a costruire un nuovo spettacolo ed io avrò il difficile, ma esaltante compito, di esserne il regista. 
Ad attenderci in questi mesi ci saranno di certo difficoltà e momenti "grigi", ma se sapremo coltivare tra noi il rispetto e la tolleranza reciproca, il premio sarà quello di vivere un'esperienza indimenticabile che ci renderà tutti più ricchi e …."VIVI", non dimenticando mai che, se attori e tecnici ameranno il loro lavoro e si divertiranno nel vivere lo spettacolo, il pubblico altro non potrà fare che mettersi in coda… 

Il Regista

mercoledì 4 settembre 2019

CAMERIERE?! CHAMPAGNE!


“Le illusioni rendono tossici gli amori, li portano a farci male, sono il più grande nemico dell’anima, sono demoni” esordì Raffaele Morelli con tono pacato ma allo stesso tempo risoluto, con l’aria di chi voleva mettere il punto esclamativo alla vexata quaestio, prima ancora che la discussione potesse entrare nel vivo. “Ben detto Raffaele! E io aggiungo che la passione è una grande fabbrica di illusioni: solo chi è riuscito a liberarsene può raggiungere la libertà.” Così esclamò Simone Weil, applaudendo il luminare italiano e proponendo un brindisi ai presenti. “Mi sembrate tutti e due matti! Non posso credere che un uomo italiano e una donna francese arrivino ad una conclusione così cinica: le illusioni sono per l’anima quello che l’atmosfera è per la terra. Toglietele quella tenera coltre d’aria e vedrete le piante morire, i colori svanire.” Replicò invece in modo brusco e accorato Virginia Woolf; sul convivio scese di colpo un lungo silenzio che solo la voce di Nicolas de Chamfort ebbe il coraggio di rompere: “La natura ha concesso le illusioni ai savi come ai matti, perché i savi non fossero troppo disgraziati per colpa della loro saviezza.” Udita la chiosa del francese gli altri tre, prima sommessamente poi senza freni, iniziarono a ridere davvero come matti in modo tale da attrarre l’attenzione di tutti i presenti nel salone al punto che, dal tavolo vicino, Peppino di Capri, all'indirizzo del personale di sala concluse ad alta voce con:”Cameriere! Champagne...”


venerdì 5 luglio 2019

PSICOLINGUAGGIO

Nel 2003 in Italia l'Albo degli psicologi contava circa 43.000 iscritti; nel 2016 il numero ha superato i 100.000. Non ci sono statistiche ufficiali per gli psicologi "fai da te", ma la sensazione epidermica è che il numero sia ben più che raddoppiato rispetto al 2003. Nel frattempo abbiamo scoperto che corteggiare una donna di cui si è innamorati è cosa da farsi con estrema cautela,  perché potenzialmente comportamento manipolatorio, a sua volta sintomo di disturbo della personalità, così come non corteggiare una donna è diventato sintomo di anaffettività o di evitamento anche questo potenziale indicatore di qualche disturbo della personalità. Occhio poi a essere troppo carini e premurosi con il proprio partner, questa è roba da dipendenza affettiva. Abbiamo appreso che essere modesti potrebbe in realtà nascondere un deficit di autostima ed essere insensibili e maleducati non dovrebbe preoccuparci oltre misura, perché potrebbe tutto sommato altro non essere che un segno di assertività. Ma attenzione però a non farsi troppo i cazzi propri: qui il disturbo in agguato potrebbe essere addirittura un'incipiente sindrome autistica. Per non parlare degli sbalzi d'umore: ciclotimia o, peggio ancora, depressione sono lì che ci aspettano! Consoliamoci con il fatto che oggi però non esistono più gli stronzi: sono diventati narcisisti patologici. E se non sono patologici? Pazienza, allora sono solo stronzetti.
       

martedì 25 giugno 2019

NOTTI MAGICHE ANTE LITTERAM





25 giugno 1983 – Arrivo al campo mezz’ora prima del fischio d’inizio, di corsa dopo essere riuscito a fuggire da una riunione familiare in cui si festeggiavano gli 80 anni del nonno materno e lo spettacolo che mi attende mi toglie il fiato: le gradinate intorno al recinto di gioco sono già gremite in ogni ordine di posto e gente continua ad arrivare. Ci saranno non meno di 300 persone! Entro negli spogliatoi e i compagni di squadra, già cambiati, mi rimproverano per il ritardo; la tensione è palpabile: vogliamo vincere a tutti i costi ma sappiamo anche che l’avversario, il “Ricreatorio” è sulla carta più forte di noi. Luca Pascolini in porta non è un fenomeno, ma garantisce bene l’essenziale che ci si può attendere da un portiere, ovvero quello di non prendere i goal facilmente evitabili. Per i miracoli ci pensa la linea difensiva, costituita da due satanassi che avrebbero fatto colpo sicuro sul Paròn Nereo Rocco: non ti mollano per un attimo e non si fanno scrupoli a colpire le tue caviglie quando non riescono a prendere il pallone; Stefano Tomasin e Franco Bassetti, erano anche abili nel partecipare all’azione offensiva, sganciandosi in avanti nei tempi giusti e a costruire gioco partendo dalla difesa. Sono la garra fatta persona. In mezzo al campo domina indiscutibilmente il più forte giocatore del torneo: Albano Meroi, il loro capitano. Potenza fisica straripante, visione di gioco, carisma inarrivabile, tecnica individuale eccellente e tiro al fulmicotone. E grinta da vendere. Alla sua destra giostra Marino Simonellig, ala veloce e dal dribbling fatale nello stretto, mentre alla sua sinistra si muove il più giovane di tutti, ma assai promettente, Giuliano Miani, altra ala dotata di gran tiro e capace di vedere molto bene la porta. Terminale d’attacco Pierluigi Sergio, nostro compagno nella Cividalese Allievi, non molto mobile, ma sempre pronto a mordere come un cobra in area di rigore e a castigare il minimo errore difensivo. Tallone d’Achille dei nostri avversari è la panchina troppo corta e non all’altezza dei titolari, dove siedono solo Bob Dressi e Carletto Nobile, il più forte play maker che il basket della città ducale abbia mai prodotto – ma fortunatamente stasera si gioca con i piedi. Noi invece siamo l’ossatura della Cividalese Allievi che nell’ultima stagione ha vinto il campionato zonale con l’aggiunta del miglior portiere di tutti i campetti: “Franco Tancredi” Pierluigi Panetta.

Fabrizio Titti Filippig, Manfredi Manbrady Bront, Stefano Jo Pace, Marco Zippo Lanzutti formano la difesa, Paolo Uzzo Dorliguzzo, Luca ‘Canta Cantarutti scorazzano a metà campo, Albano Gallo Dorlì si muove tra il centrocampo e l’attacco e io, Beppe per i compagni ma Bepi per il nostro allenatore Renato Tuzzi detto il Trap, cerco di finalizzare l’azione in avanti. Durante il riscaldamento non riesco a capire se è più forte la tensione per la paura di perdere o per la voglia di vincere o l’eccitazione per il clima elettrico che arriva dagli spalti e si trasferisce in campo. La nostra idea è quella di affrontare la partita sulla difensiva, chiudendo tutti gli spazi con attenzione, ruotare spesso chi è in campo con chi è in panchina per garantirci maggiore freschezza e sfruttare il vantaggio di poter contare su di una panchina più lunga rispetto a loro. Ogni volta che recuperiamo la palla l’ordine del giorno è quello di farla arrivare al Gallo che poi potrà scegliere se liberare il suo sinistro di Dio per scagliare i suoi missili dalla distanza oppure servirmi in profondità se sarò riuscito a smarcarmi nei pressi di Luca Pascolini. Per quanto mi riguarda il mio compito sarà quello di fare movimento continuo per portare via i difensori, liberando lo spazio per i Cruise del Gallo e di essere pronto a ribattere in rete eventuali respinte del portiere. Idee chiare e voglia di vincere. Ce la possiamo fare. Ce la vogliamo fare e il pubblico sembra essere meglio disposto verso di noi con i suoi incitamenti. Si parte. Come tutte le finali la tensione la fa da padrona nelle prime mosse, con loro che, dopo una fase di studio, prendono sollecitamente in mano le operazioni e il possesso palla, mentre noi diligentemente cerchiamo di attuare il piano tattico deciso prima della partita, alzando le barricate. Pochi palloni arrivano al Gallo e ancor meno ne vedo io davanti. A metà del primo tempo il nostro fortino salta già in aria: punizione indiretta a metà campo che Albano Meroi tocca velocemente per Giuliano Miani appostato sull’estrema sinistra, mentre Titti si fa incontro per chiudergli lo spazio, Giuliano sposta velocemente la palla sul sinistro e ancora più velocemente fa partire un tiro violento a fil di cemento, a incrociare da sinistra, che va sbattere contro la base del palo destro della nostra porta per terminare la sua corsa in rete, lasciando immobile Tancredi Panetta, in grado solo seguire con la coda dell’occhio la traiettoria della palla. Siamo sotto e accusiamo il colpo. I piani iniziali sono saltati e finiamo il primo tempo sotto di un goal, con gli avversari che hanno in pugno la partita, senza aver rischiato nulla; io ho corso poco e per lo più a vuoto, senza praticamente vedere palla.

Durante l’intervallo tutto il gruppo in panchina discute su cosa fare. C’è chi vorrebbe alzare un difensore sulla linea mediana per far avanzare il Gallo più vicino alla porta e chi invece propende per mantenere inalterato l’assetto e l’idea iniziale per evitare lo 0-2 che taglierebbe le gambe, per buttarsi eventualmente tutti in attacco gli ultimi 10 minuti, nel caso non si riesca a pareggiare prima con azioni di rimessa. Si discute animatamente, vuol dire che siamo vivi e non ci siamo arresi, nonostante il pessimo primo tempo. Alla fine la decisione è presa: si torna in campo con la tattica iniziale e se nei primi 10 minuti le cose non cambiano, si attua subito l’idea di avanzare il Gallo, con un forcing collettivo nel finale se neanche questa modifica porterà al pareggio. In ogni caso, tutti rinnovano la volontà di dare tutto quello che resta nell’ultima frazione di gioco. Inizia la ripresa, con i nostri avversari che paiono voler controllare la partita, probabilmente stanno pagando il fatto di non aver dato fiato agli uomini campo. Noi prendiamo coraggio e incominciamo a farci vedere di più dalle parti di Luca Pascolini, il che fa aumentare ulteriormente la motivazione e la voglia di provarci fino in fondo. A metà della ripresa, il Gallo finta un tiro dalla distanza e invece allunga il pallone verso la linea di fondo sul lato sinistro dell’attacco, Marino Simonellig abbocca alla finta, e il Gallo, ora anticipando la chiusura di Franco Bassetti, mette in mezzo un pallone rasoterra che taglia l’area di rigore. Stefano Tomasin è superato e Luca Pascolini è rimasto fermo sulla linea di porta vicino al palo. Io, che ho seguito l’azione con un attimo di ritardo, riesco ad arrivare smarcato sul pallone ma devo andare in spaccata per riuscire a impattare la sfera e riesco sì a colpirla con forza ma purtroppo senza precisione, mandandola a sbattere contro il portiere, con il resto della porta spalancata. Avrei voluto morire. Avevo fallito l’unica, facile, occasione che avevamo creato in tutta la partita. Mi rialzo, sento l’urlo di disappunto del pubblico e vedo i volti delusi e arrabbiati dei miei compagni. Jo Pace, dalla nostra difesa mi urla, giustamente, di andare a cagare. Vorrei morire una seconda volta. Sento contemporaneamente salire dal fondo dello stomaco un’ondata di calore, fortissima. È rabbia! Il Ricreatorio sembra scuotersi per il passato pericolo e incomincia di nuovo a attaccare con forza, come nel primo tempo, in cerca del 2-0 che chiuderebbe definitivamente i giochi. A 10’ dal termine la tattica iniziale ci ripaga: siamo schiacciati nella nostra area a difesa di Tancredi, a parte me, circondato a metà campo da Tomasin e Bassetti. Si crea una mischia furibonda con il pallone che arriva al Gallo, al limite della nostra area, e lui senza pensare troppo la rinvia veloce rasoterra verso il centro del campo; questa volta sono riuscito a indovinare in anticipo come si sarebbe sviluppata l’azione e che direzione avrebbe preso la palla e riesco così a anticipare i due satanassi, portando avanti il pallone con il destro, passandogli in mezzo. I due hanno un lieve contatto tra loro, sufficiente a fargli perdere terreno e rallentare mentre io, palla al piede, leggermente spostato verso l’out di destra, posso correre libero, bello e incredulo verso la porta difesa da Luca Pascolini, con i satanassi che cercano di riprendermi. È straordinaria la capacità che ha il nostro cervello di elaborare tante informazioni e di gestire utilmente le emozioni in frazioni di tempo così limitate; dal momento in cui mi sono reso conto di aver superato i due difensori, lanciandomi di corsa verso la porta, e il momento in cui ho fatto partire il tiro saranno passati al massimo 3 o 4 secondi. In quel lasso di tempo il fuoco della rabbia per il goal mangiato prima aveva attivato i miei muscoli per correre sempre più veloce e mentre mi avvicinavo al portiere che, venendo verso di me per chiudermi lo specchio di tiro diventava sempre più grande, la paura di sbagliare rendeva le dimensioni della porta sempre più piccole.

Decidere quanto avvicinarsi ancora alla porta controllando bene la sfera prima di tirare, scegliere come e dove indirizzare la palla in base alla posizione e ai movimenti del portiere, dosare la forza con cui calciare il pallone, raccogliere tutte le informazioni utili alle decisioni e il tutto in mezzo agli scossoni emotivi provocati dalla paura di sbagliare e di deludere ancora i compagni, dalla rabbia per l’errore precedente e dal desiderio di riscossa. Con i due satanassi già ormai prossimi alle mie caviglie e il portiere quasi tra i miei piedi. E allora? E allora, come guidato da comandi invisibili che arrivano dal cuore, ho chiuso gli occhi e ho calciato continuando la corsa, per riaprirli dopo il calcio e vedere i due satanassi sbattere contro Luca Pascolini e la palla andare rasoterra a infilarsi in rete, nell’ angolino vicino al palo opposto a quello di tiro. Ero ancora vergine e non conoscevo i piaceri del sesso. A distanza di molti anni, avendo colmato la lacuna esperienziale, posso dire che quello che provai dopo quel goal, emotivamente e sensitivamente, gareggia bene con i migliori orgasmi provati con le donne di cui mi sono innamorato. L’urlo del pubblico, tutti i compagni che mi rincorrevano festanti e mi saltavano in groppa, persino Tancredi Panetta, che era partito di corsa dalla sua porta urlando la sua gioia con le braccia in alto e pugni chiusi. Mi sembrava di essere nato una seconda volta, dopo aver conosciuto la morte 10 minuti prima.

Uno a uno e palla al centro. Non eravamo morti. Eravamo vivi e in corsa per vincere la finale! Il pareggio ha moltiplicato le nostre forze e adesso gli avversari sembrano preoccuparsi di non venire beffati, visto che la fine dei tempi regolamentari è vicina. Tempo supplementare. La nostra tattica di partenza sembra dare i suoi frutti perché i nostri cambi frequenti ci rendono ancora più freschi rispetto al Ricreatorio, che pur mantenendo sempre il comando delle operazioni non riesce più a rendersi pericoloso e facilita il nostro contenimento.

A metà dell’overtime, improvvisamente, arriva il siluro che pare affondarci definitivamente; l’ennesima mischia nella nostra area termina con un pallone allontanato dalla difesa e finisce sulla tre quarti, tra i piedi di Albano Meroi, che la stoppa e tira senza rincorsa. Non è un gran tiro, Albano ha calciato in fretta senza dare potenza, ma s’infila in mezzo ad una selva, con Pierluigi Sergio capace di ingannare Tancredi, aprendo le gambe all’ultimo momento facendo passare un pallone altrimenti innocuo e che invece conclude la corsa in rete. 2-1. Sensazione di gelo. Di nuovo la morte. Tancredi immobile in mezzo alla porta, tutti gli altri compagni come statue in silenzio, a parte Jo Pace in mezzo all’area a smoccolare e a grandi gesti invitare tutti a scuotersi e a portare in fretta il pallone a centrocampo. Sembra finita. Mancano 5’ al termine e fino all’ultimo giro di lancette non succede molto, a parte qualche nostro tiro velleitario scagliato da lontano più per disperazione che per convinzione. All’ultimo respiro ‘Uzzo, uno dei meno logorati dalla battaglia si lancia sulla fascia destra, guadagna il fondo superando in velocità Giuliano Miani e crossa indietro un pallone mezza altezza, al limite dell’area di rigore, per il Canta. Stop di petto e senza guardare tiro immediato di contro balzo, con la palla che con traiettoria dal basso verso l’alto centra il sette alla sinistra di Luca Pascolini. 2-2!!! Boato del pubblico e il Canta che viene sommerso dal mucchio selvaggio! Non si riprende neanche a giocare: Enrico Mosconi, l’arbitro della serata, fischia la fine e rimanda il verdetto ai calci di rigori.

L’aria è elettrica, il pubblico rumoreggia e noi siamo ancora ebbri di gioia, ma dobbiamo subito ritrovare la concentrazione per l’ultimo atto, quello più crudele, quello che difficilmente permette di recuperare gli errori. Bisogna decidere i rigoristi e tutti, a parte Mambrady, si dicono disponibili. Alla fine questo sarà l’ordine: Zippo, Beppe/Bepi, Jo, ‘Uzzo e ultimo il Gallo, il migliore dei nostri, infallibile dal dischetto. Si parte.

Iniziano loro. Miani: 1-0; Zippo: 1-1; Sergio: 2-1; tocca a me. Il tratto dalla metà campo al dischetto è come la strada che in aula ti separa dal banco alla cattedra del professor Favoni, quando ti ha appena chiamato per un’interrogazione a sorpresa di matematica: da un lato cerchi di andarci il più piano possibile per allungare il tempo e tenere lontano il pericolo e le conseguenze dei possibili errori, mentre dall’altro vorresti aumentare il passo per toglierti di dosso al più presto quel macigno dal cuore esorcizzando la paura. Penso che non possiamo perdere, non avrebbe senso. Abbiamo pareggiato due volte, di cui la seconda all’ultimo istante. Ho già segnato il goal del primo pareggio alla faccia dei satanassi. Non sbaglierò. Prendo il pallone color giallo, lo porto a me come fosse la mia ragazza e lo bacio. L’ho visto sempre fare a Le Roi Michel Platinì, se lo fa lui, lo posso fare anch’io. Prendo la rincorsa e prima di partire decido in anticipo come e dove tirare. Non guarderò il portiere, penserò solo a mandare il pallone come e dove ho deciso, più forte che posso, se poi lui intuisce e riesce a prenderlo, bravo lui. Il cuore batte all’impazzata. Parto, è come lanciarsi dal salto dell’Edera, il punto più alto da cui ci si tuffa d’estate nel Natisone. Non si torna indietro. Calcio di piatto destro, forte a 10 cm dal suolo alla sinistra di Luca Pascolini che intuisce, ma non ci arriva. Goal! 2-2! Adesso mi sento leggero come una piuma e sorridente ritorno a metà campo, tra i miei compagni che mi abbracciano. Con sollievo, ma ancora con tensione. Siamo in perfetta parità e ancora tutto può succedere. E perdere adesso sarebbe tremendo. La lotteria dei rigori riprende. Franco Bassetti: 3-2; Jo Pace: 3-3; Albano Meroi: 4-3; ‘Uzzo: 4-4. Ultimi due della serie. Va al tiro Marino Simonellig. Tiro lento a mezz’altezza, Tancredi Panetta intuisce e respinge. È fatta!!! Lo pensiamo tutti e ci abbracciamo già come se avessimo vinto! Il Gallo Dorlì è il nostro infallibile rigorista, l’unico su cui avremmo puntato tutti i risparmi a occhi chiusi. La scelta di lasciarlo per ultimo sembra essere stata l’ennesima buona stella della serata. Siamo tutti pronti a scattare quando il Gallo parte per il tiro. Insolita rincorsa per lui. Lenta e incerta. Infatti scocca un dardo fiacco a mezz’altezza con facile parata del portiere, una fotocopia dell’errore di Marino Simonellig. Il Gallo è stato tradito dall’emozione, ha avuto il braccino corto del tennista al primo match point. Restiamo immobili. Come statue. Siamo tutti increduli per quello a cui abbiamo assistito, mentre il Gallo, consolato da Jo Pace in silenzio e a testa bassa ritorna verso di noi. Fortunatamente non c’è modo di rimanere a lungo in quella situazione emotiva: la lotteria riprende a oltranza e tutta l’attenzione adesso si sposta di nuovo sul patibolo del dischetto. Ci va per il Ricreatorio Bob Dressi: tiro forte e 5-4. Tutto il peso adesso è sulle spalle del Canta, che, al contrario del Gallo, non viene tradito dai nervi e calcia in porta il 5-5. Sembra proprio non finire mai. Il pubblico, che alla fine probabilmente è salito a 400 persone, di cui molte ora seguono dietro la porta, assiste con grande partecipazione emotiva. La tensione sale, se possibile, ancora di più.

Ora è il turno di Carletto Nobile. Lunga rincorsa, tiro forte ma centrale, Tancredi non sé mosso e respinge agevolmente la palla. Per fortuna non era una gara di tiri liberi a basket! Nuovo match-point per noi e se ne deve far carico Mambrady Bront, l’ultimo rimasto, l’unico che non voleva mai calciare i rigori e non lo faceva neanche nelle partitelle di allenamento. Questa volta non ha scelta. Non dice niente a nessuno, va con passo svelto verso il dischetto, prende la palla, la posiziona altrettanto velocemente. Lunghissima rincorsa. Tiro forte di piatto sinistro, a mezz’altezza, portiere da una parte e a pallone in rete dalla parte opposta. 6-5!! Game over!! Abbiamo vinto!!

E da lì in poi scene che in sedicesimo ripetevano quelle viste in TV l’estate prima per la finale Mundial di Madrid, vinta dagli azzurri di Enzo Bearzot. A premiarci non c’era Re Juan Carlos ma l’Assessore allo Sport del Comune di Cividale Giovanni Sale e la coppa che ci consegnò davanti a tutto il pubblico non era la coppa del mondo; ma a differenza di questa, la nostra era fatta in modo tale da poter essere riempita di spumante che a turno bevemmo tra canti, salti e abbracci, prima di lasciare il campo per tornare a casa prima della mezzanotte invece di andare a fare baldoria a Lignano per tutta la nottata. Quello era il sogno. La realtà è che eravamo negli anni ’80 ed eravamo tutti minorenni.

GIOIA e DELUSIONE. Forse quella sera ho capito la differenza in profondità, vincendo in quel modo insperato e romanzesco il grande torneo notturno che ero riuscito ad organizzare. La gioia era la sensazione indescrivibile di soddisfazione per aver raggiunto una cosa da sempre desiderata e che stava per sfumare senza apparente rimedio. Guardando invece in faccia gli avversari, sconfitti nel momento in cui la vittoria desiderata sembrava essere al sicuro nelle loro mani, capii a fondo cos’era la delusione. Osservando bene le loro facce scure e inespressive, la gioia dentro di me saliva ancora di più: avevo allo specchio quello che mi poteva capitare e che per merito e fortuna invece non mi è era successo.

lunedì 10 giugno 2019

NOTTURNO 1983

24 giugno 1983 – Dopo una splendida giornata a Grado arrivo al campo giusto in tempo per assistere alla finalina del ¾ posto del grande torneo notturno di calcio a 7 che sono riuscito ad organizzare sulla pista di pattinaggio annessa al campo sportivo comunale. Che bei momenti, tanti giovani e meno giovani sugli spalti del “Martiri della Libertà”, gran tifo, gran finale ai calci di rigore con festosa invasione di campo al termine dell’incontro. E domani tocca alla mia squadra, che si batterà per il titolo!! Forza!!

25 giugno 1983 – Arrivo al campo mezz’ora prima del fischio d’inizio, di corsa dopo essere riuscito a fuggire da una riunione familiare in cui si festeggiavano gli 80 anni del nonno materno e lo spettacolo che mi attende mi toglie il fiato: le gradinate intorno al recinto di gioco sono già gremite in ogni ordine di posto e gente continua ad arrivare. Ci saranno non meno di 300 persone! Entro negli spogliatoi e i compagni di squadra, già cambiati, mi rimproverano per il ritardo; la tensione è palpabile: vogliamo vincere a tutti i costi ma sappiamo anche che l’avversario, il “Ricreatorio” è sulla carta più forte di noi. Luca Pascolini in porta non è un fenomeno, ma garantisce bene l’essenziale che ci si può attendere da un portiere, ovvero quello di non prendere i goal facilmente evitabili. Per i miracoli ci pensa la linea difensiva, costituita da due satanassi che avrebbero fatto colpo sicuro sul Paròn Nereo Rocco: non ti mollano per un attimo e non si fanno scrupoli a colpire le tue caviglie quando non riescono a prendere il pallone; Stefano Tomasin e Franco Bassetti, erano anche abili nel partecipare all’azione offensiva, sganciandosi in avanti nei tempi giusti e a costruire gioco partendo dalla difesa. Sono la garra fatta persona. In mezzo al campo domina indiscutibilmente il più forte giocatore del torneo: Albano Meroi, il loro capitano. Potenza fisica straripante, visione di gioco, carisma inarrivabile, tecnica individuale eccellente e tiro al fulmicotone. E grinta da vendere. Alla sua destra giostra Marino Simonellig, ala veloce e dal dribbling fatale nello stretto, mentre alla sua sinistra si muove il più giovane di tutti, ma assai promettente, Giuliano Miani, altra ala dotata di gran tiro e capace di vedere molto bene la porta. Terminale d’attacco Pierluigi Sergio, nostro compagno nella Cividalese Allievi, non molto mobile, ma sempre pronto a mordere come un cobra in area di rigore e a castigare il minimo errore difensivo. Tallone d’Achille dei nostri avversari è la panchina troppo corta e non all’altezza dei titolari, dove siedono solo Bob Dressi e Carletto Nobile, il più forte play maker che il basket della città ducale abbia mai prodotto – ma fortunatamente stasera si gioca con i piedi. Noi invece siamo l’ossatura della Cividalese Allievi che nell’ultima stagione ha vinto il campionato zonale con l’aggiunta del miglior portiere di tutti i campetti: “Franco Tancredi” Pierluigi Panetta. 

Fabrizio Titti Filippig, Manfredi Manbrady Bront, Stefano Jo Pace, Marco Zippo Lanzutti formano la difesa, Paolo Uzzo Dorliguzzo, Luca ‘Canta Cantarutti scorazzano a metà campo, Albano Gallo Dorlì si muove tra il centrocampo e l’attacco e io, Beppe per i compagni ma Bepi per il nostro allenatore Renato Tuzzi detto il Trap, cerco di finalizzare l’azione in avanti. Durante il riscaldamento non riesco a capire se è più forte la tensione per la paura di perdere o per la voglia di vincere o l’eccitazione per il clima elettrico che arriva dagli spalti e si trasferisce in campo. La nostra idea è quella di affrontare la partita sulla difensiva, chiudendo tutti gli spazi con attenzione, ruotare spesso chi è in campo con chi è in panchina per garantirci maggiore freschezza e sfruttare il vantaggio di poter contare su di una panchina più lunga rispetto a loro. Ogni volta che recuperiamo la palla l’ordine del giorno è quello di farla arrivare al Gallo che poi potrà scegliere se liberare il suo sinistro di Dio per scagliare i suoi missili dalla distanza oppure servirmi in profondità se sarò riuscito a smarcarmi nei pressi di Luca Pascolini. Per quanto mi riguarda il mio compito sarà quello di fare movimento continuo per portare via i difensori, liberando lo spazio per i Cruise del Gallo e di essere pronto a ribattere in rete eventuali respinte del portiere. Idee chiare e voglia di vincere. Ce la possiamo fare. Ce la vogliamo fare e il pubblico sembra essere meglio disposto verso di noi con i suoi incitamenti. Si parte. Come tutte le finali la tensione la fa da padrona nelle prime mosse, con loro che, dopo una fase di studio, prendono sollecitamente in mano le operazioni e il possesso palla, mentre noi diligentemente cerchiamo di attuare il piano tattico deciso prima della partita, alzando le barricate. Pochi palloni arrivano al Gallo e ancor meno ne vedo io davanti. A metà del primo tempo il nostro fortino salta già in aria: punizione indiretta a metà campo che Albano Meroi tocca velocemente per Giuliano Miani appostato sull’estrema sinistra, mentre Titti si fa incontro per chiudergli lo spazio, Giuliano sposta velocemente la palla sul sinistro e ancora più velocemente fa partire un tiro violento a fil di cemento, a incrociare da sinistra, che va sbattere contro la base del palo destro della nostra porta per terminare la sua corsa in rete, lasciando immobile Tancredi Panetta, in grado solo seguire con la coda dell’occhio la traiettoria della palla. Siamo sotto e accusiamo il colpo. I piani iniziali sono saltati e finiamo il primo tempo sotto di un goal, con gli avversari che hanno in pugno la partita, senza aver rischiato nulla; io ho corso poco e per lo più a vuoto, senza praticamente vedere palla.

Durante l’intervallo tutto il gruppo in panchina discute su cosa fare. C’è chi vorrebbe alzare un difensore sulla linea mediana per far avanzare il Gallo più vicino alla porta e chi invece propende per mantenere inalterato l’assetto e l’idea iniziale per evitare lo 0-2 che taglierebbe le gambe, per buttarsi eventualmente tutti in attacco gli ultimi 10 minuti, nel caso non si riesca a pareggiare prima con azioni di rimessa. Si discute animatamente, vuol dire che siamo vivi e non ci siamo arresi, nonostante il pessimo primo tempo. Alla fine la decisione è presa: si torna in campo con la tattica iniziale e se nei primi 10 minuti le cose non cambiano, si attua subito l’idea di avanzare il Gallo, con un forcing collettivo nel finale se neanche questa modifica porterà al pareggio. In ogni caso, tutti rinnovano la volontà di dare tutto quello che resta nell’ultima frazione di gioco. Inizia la ripresa, con i nostri avversari che paiono voler controllare la partita, probabilmente stanno pagando il fatto di non aver dato fiato agli uomini campo. Noi prendiamo coraggio e incominciamo a farci vedere di più dalle parti di Luca Pascolini, il che fa aumentare ulteriormente la motivazione e la voglia di provarci fino in fondo. A metà della ripresa, il Gallo finta un tiro dalla distanza e invece allunga il pallone verso la linea di fondo sul lato sinistro dell’attacco, Marino Simonellig abbocca alla finta, e il Gallo, ora anticipando la chiusura di Franco Bassetti, mette in mezzo un pallone rasoterra che taglia l’area di rigore. Stefano Tomasin è superato e Luca Pascolini è rimasto fermo sulla linea di porta vicino al palo. Io, che ho seguito l’azione con un attimo di ritardo, riesco ad arrivare smarcato sul pallone ma devo andare in spaccata per riuscire a impattare la sfera e riesco sì a colpirla con forza ma purtroppo senza precisione, mandandola a sbattere contro il portiere, con il resto della porta spalancata. Avrei voluto morire. Avevo fallito l’unica, facile, occasione che avevamo creato in tutta la partita. Mi rialzo, sento l’urlo di disappunto del pubblico e vedo i volti delusi e arrabbiati dei miei compagni. Jo Pace, dalla nostra difesa mi urla, giustamente, di andare a cagare. Vorrei morire una seconda volta. Sento contemporaneamente salire dal fondo dello stomaco un’ondata di calore, fortissima. È rabbia! Il Ricreatorio sembra scuotersi per il passato pericolo e incomincia di nuovo a attaccare con forza, come nel primo tempo, in cerca del 2-0 che chiuderebbe definitivamente i giochi. A 10’ dal termine la tattica iniziale ci ripaga: siamo schiacciati nella nostra area a difesa di Tancredi, a parte me, circondato a metà campo da Tomasin e Bassetti. Si crea una mischia furibonda con il pallone che arriva al Gallo, al limite della nostra area, e lui senza pensare troppo la rinvia veloce rasoterra verso il centro del campo; questa volta sono riuscito a indovinare in anticipo come si sarebbe sviluppata l’azione e che direzione avrebbe preso la palla e riesco così a anticipare i due satanassi, portando avanti il pallone con il destro, passandogli in mezzo. I due hanno un lieve contatto tra loro, sufficiente a fargli perdere terreno e rallentare mentre io, palla al piede, leggermente spostato verso l’out di destra, posso correre libero, bello e incredulo verso la porta difesa da Luca Pascolini, con i satanassi che cercano di riprendermi. È straordinaria la capacità che ha il nostro cervello di elaborare tante informazioni e di gestire utilmente le emozioni in frazioni di tempo così limitate; dal momento in cui mi sono reso conto di aver superato i due difensori, lanciandomi di corsa verso la porta, e il momento in cui ho fatto partire il tiro saranno passati al massimo 3 o 4 secondi. In quel lasso di tempo il fuoco della rabbia per il goal mangiato prima aveva attivato i miei muscoli per correre sempre più veloce e mentre mi avvicinavo al portiere che, venendo verso di me per chiudermi lo specchio di tiro diventava sempre più grande, la paura di sbagliare rendeva le dimensioni della porta sempre più piccole.

Decidere quanto avvicinarsi ancora alla porta controllando bene la sfera prima di tirare, scegliere come e dove indirizzare la palla in base alla posizione e ai movimenti del portiere, dosare la forza con cui calciare il pallone, raccogliere tutte le informazioni utili alle decisioni e il tutto in mezzo agli scossoni emotivi provocati dalla paura di sbagliare e di deludere ancora i compagni, dalla rabbia per l’errore precedente e dal desiderio di riscossa. Con i due satanassi già ormai prossimi alle mie caviglie e il portiere quasi tra i miei piedi. E allora? E allora, come guidato da comandi invisibili che arrivano dal cuore, ho chiuso gli occhi e ho calciato continuando la corsa, per riaprirli dopo il calcio e vedere i due satanassi sbattere contro Luca Pascolini e la palla andare rasoterra a infilarsi in rete, nell’ angolino vicino al palo opposto a quello di tiro. Ero ancora vergine e non conoscevo i piaceri del sesso. A distanza di molti anni, avendo colmato la lacuna esperienziale, posso dire che quello che provai dopo quel goal, emotivamente e sensitivamente, gareggia bene con i migliori orgasmi provati con le donne di cui mi sono innamorato. L’urlo del pubblico, tutti i compagni che mi rincorrevano festanti e mi saltavano in groppa, persino Tancredi Panetta, che era partito di corsa dalla sua porta urlando la sua gioia con le braccia in alto e pugni chiusi. Mi sembrava di essere nato una seconda volta, dopo aver conosciuto la morte 10 minuti prima.

Uno a uno e palla al centro. Non eravamo morti. Eravamo vivi e in corsa per vincere la finale! Il pareggio ha moltiplicato le nostre forze e adesso gli avversari sembrano preoccuparsi di non venire beffati, visto che la fine dei tempi regolamentari è vicina. Tempo supplementare. La nostra tattica di partenza sembra dare i suoi frutti perché i nostri cambi frequenti ci rendono ancora più freschi rispetto al Ricreatorio, che pur mantenendo sempre il comando delle operazioni non riesce più a rendersi pericoloso e facilita il nostro contenimento. 

A metà dell’overtime, improvvisamente, arriva il siluro che pare affondarci definitivamente; l’ennesima mischia nella nostra area termina con un pallone allontanato dalla difesa e finisce sulla tre quarti, tra i piedi di Albano Meroi, che la stoppa e tira senza rincorsa. Non è un gran tiro, Albano ha calciato in fretta senza dare potenza, ma s’infila in mezzo ad una selva, con Pierluigi Sergio capace di ingannare Tancredi, aprendo le gambe all’ultimo momento facendo passare un pallone altrimenti innocuo e che invece conclude la corsa in rete. 2-1. Sensazione di gelo. Di nuovo la morte. Tancredi immobile in mezzo alla porta, tutti gli altri compagni come statue in silenzio, a parte Jo Pace in mezzo all’area a smoccolare e a grandi gesti invitare tutti a scuotersi e a portare in fretta il pallone a centrocampo. Sembra finita. Mancano 5’ al termine e fino all’ultimo giro di lancette non succede molto, a parte qualche nostro tiro velleitario scagliato da lontano più per disperazione che per convinzione. All’ultimo respiro ‘Uzzo, uno dei meno logorati dalla battaglia si lancia sulla fascia destra, guadagna il fondo superando in velocità Giuliano Miani e crossa indietro un pallone mezza altezza, al limite dell’area di rigore, per il Canta. Stop di petto e senza guardare tiro immediato di contro balzo, con la palla che con traiettoria dal basso verso l’alto centra il sette alla sinistra di Luca Pascolini. 2-2!!! Boato del pubblico e il Canta che viene sommerso dal mucchio selvaggio! Non si riprende neanche a giocare: Enrico Mosconi, l’arbitro della serata, fischia la fine e rimanda il verdetto ai calci di rigori. 

L’aria è elettrica, il pubblico rumoreggia e noi siamo ancora ebbri di gioia, ma dobbiamo subito ritrovare la concentrazione per l’ultimo atto, quello più crudele, quello che difficilmente permette di recuperare gli errori. Bisogna decidere i rigoristi e tutti, a parte Mambrady, si dicono disponibili. Alla fine questo sarà l’ordine: Zippo, Beppe/Bepi, Jo, ‘Uzzo e ultimo il Gallo, il migliore dei nostri, infallibile dal dischetto. Si parte.

Iniziano loro. Miani: 1-0; Zippo: 1-1; Sergio: 2-1; tocca a me. Il tratto dalla metà campo al dischetto è come la strada che in aula ti separa dal banco alla cattedra del professor Favoni, quando ti ha appena chiamato per un’interrogazione a sorpresa di matematica: da un lato cerchi di andarci il più piano possibile per allungare il tempo e tenere lontano il pericolo e le conseguenze dei possibili errori, mentre dall’altro vorresti aumentare il passo per toglierti di dosso al più presto quel macigno dal cuore esorcizzando la paura. Penso che non possiamo perdere, non avrebbe senso. Abbiamo pareggiato due volte, di cui la seconda all’ultimo istante. Ho già segnato il goal del primo pareggio alla faccia dei satanassi. Non sbaglierò. Prendo il pallone color giallo, lo porto a me come fosse la mia ragazza e lo bacio. L’ho visto sempre fare a Le Roi Michel Platinì, se lo fa lui, lo posso fare anch’io. Prendo la rincorsa e prima di partire decido in anticipo come e dove tirare. Non guarderò il portiere, penserò solo a mandare il pallone come e dove ho deciso, più forte che posso, se poi lui intuisce e riesce a prenderlo, bravo lui. Il cuore batte all’impazzata. Parto, è come lanciarsi dal salto dell’Edera, il punto più alto da cui ci si tuffa d’estate nel Natisone. Non si torna indietro. Calcio di piatto destro, forte a 10 cm dal suolo alla sinistra di Luca Pascolini che intuisce, ma non ci arriva. Goal! 2-2! Adesso mi sento leggero come una piuma e sorridente ritorno a metà campo, tra i miei compagni che mi abbracciano. Con sollievo, ma ancora con tensione. Siamo in perfetta parità e ancora tutto può succedere. E perdere adesso sarebbe tremendo. La lotteria dei rigori riprende. Franco Bassetti: 3-2; Jo Pace: 3-3; Albano Meroi: 4-3; ‘Uzzo: 4-4. Ultimi due della serie. Va al tiro Marino Simonellig. Tiro lento a mezz’altezza, Tancredi Panetta intuisce e respinge. È fatta!!! Lo pensiamo tutti e ci abbracciamo già come se avessimo vinto! Il Gallo Dorlì è il nostro infallibile rigorista, l’unico su cui avremmo puntato tutti i risparmi a occhi chiusi. La scelta di lasciarlo per ultimo sembra essere stata l’ennesima buona stella della serata. Siamo tutti pronti a scattare quando il Gallo parte per il tiro. Insolita rincorsa per lui. Lenta e incerta. Infatti scocca un dardo fiacco a mezz’altezza con facile parata del portiere, una fotocopia dell’errore di Marino Simonellig. Il Gallo è stato tradito dall’emozione, ha avuto il braccino corto del tennista al primo match point. Restiamo immobili. Come statue. Siamo tutti increduli per quello a cui abbiamo assistito, mentre il Gallo, consolato da Jo Pace in silenzio e a testa bassa ritorna verso di noi. Fortunatamente non c’è modo di rimanere a lungo in quella situazione emotiva: la lotteria riprende a oltranza e tutta l’attenzione adesso si sposta di nuovo sul patibolo del dischetto. Ci va per il Ricreatorio Bob Dressi: tiro forte e 5-4. Tutto il peso adesso è sulle spalle del Canta, che, al contrario del Gallo, non viene tradito dai nervi e calcia in porta il 5-5. Sembra proprio non finire mai. Il pubblico, che alla fine probabilmente è salito a 400 persone, di cui molte ora seguono dietro la porta, assiste con grande partecipazione emotiva. La tensione sale, se possibile, ancora di più. 

Ora è il turno di Carletto Nobile. Lunga rincorsa, tiro forte ma centrale, Tancredi non sé mosso e respinge agevolmente la palla. Per fortuna non era una gara di tiri liberi a basket! Nuovo match-point per noi e se ne deve far carico Mambrady Bront, l’ultimo rimasto, l’unico che non voleva mai calciare i rigori e non lo faceva neanche nelle partitelle di allenamento. Questa volta non ha scelta. Non dice niente a nessuno, va con passo svelto verso il dischetto, prende la palla, la posiziona altrettanto velocemente. Lunghissima rincorsa. Tiro forte di piatto sinistro, a mezz’altezza, portiere da una parte e a pallone in rete dalla parte opposta. 6-5!! Game over!! Abbiamo vinto!! 

E da lì in poi scene che in sedicesimo ripetevano quelle viste in TV l’estate prima per la finale Mundial di Madrid, vinta dagli azzurri di Enzo Bearzot. A premiarci non c’era Re Juan Carlos ma l’Assessore allo Sport del Comune di Cividale Giovanni Sale e la coppa che ci consegnò davanti a tutto il pubblico non era la coppa del mondo; ma a differenza di questa, la nostra era fatta in modo tale da poter essere riempita di spumante che a turno bevemmo tra canti, salti e abbracci, prima di lasciare il campo per tornare a casa prima della mezzanotte invece di andare a fare baldoria a Lignano per tutta la nottata. Quello era il sogno. La realtà è che eravamo negli anni ’80 ed eravamo tutti minorenni. 

GIOIA e DELUSIONE. Forse quella sera ho capito la differenza in profondità, vincendo in quel modo insperato e romanzesco il grande torneo notturno che ero riuscito ad organizzare. La gioia era la sensazione indescrivibile di soddisfazione per aver raggiunto una cosa da sempre desiderata e che stava per sfumare senza apparente rimedio. Guardando invece in faccia gli avversari, sconfitti nel momento in cui la vittoria desiderata sembrava essere al sicuro nelle loro mani, capii a fondo cos’era la delusione. Osservando bene le loro facce scure e inespressive, la gioia dentro di me saliva ancora di più: avevo allo specchio quello che mi poteva capitare e che per merito e fortuna invece non mi è era successo.

giovedì 2 maggio 2019

BLUFF


“Ricominciare.” – “Si, certo. Ma da dove? E soprattutto, come?” – “Da te stesso, come sempre. Non è mica la prima volta, dovresti essere ormai un esperto di (ri)partenze forzate.” – “Si, ma ogni volta è più dura, più difficile e io mi sento sempre più stanco, sempre più a corto di idee. E sfiduciato, soprattutto.” – “Lo hai già detto altre volte. E sei sempre (ri)partito lo stesso. E hai vissuto cose inimmaginabili, non solo per le cadute improvvise e rovinose, ma soprattutto per le meraviglie che hai sperimentato.” – “Ora manca completamente la fiducia, non solo verso Venere, ma soprattutto verso me stesso.” – “Abbi pazienza, la botta è fresca e profonda, ovvio che adesso ti faccia male. Il corpo e il cuore la devono assorbire e hanno i loro tempi. Solo in seguito la mente si accoderà e la fiducia tornerà, stanne certo.” Quel dialogo interiore stava proseguendo ormai da diverse ore tra Apollo e Dioniso nella coscienza di Rubén e pareva una discussione tra sordi, mentre il volto dello spagnolo non faceva intendere in alcun modo alle decine di persone che gli passavano davanti, il serrato scontro frontale in atto dentro di lui, mentre era intento a prendere il sole primaverile sulla terrazza panoramica del ristorante Neptune Plàge affacciata sulla celebre Promenade des Anglais di Nizza. Agl’occhi degli ospiti e del personale sembrava una persona felice, in pace con il mondo. Il sorriso reso dolce dalla piacevole sensazione di delicato calore che il sole irradiava, il volto disteso, gli occhi semichiusi che si aprivano solo ogni tanto per osservare la spiaggia e il meraviglioso paesaggio costiero gli recavano probabilmente anche l’invidia dell’uomo in fondo alla terrazza, che nelle pause della conversazione sgradevole intavolata con la donna seduta in fronte a lui, ogni tanto volgeva lo sguardo rassegnato verso Rubén. “Ma perché soffri così tanto? – interrogava Apollo – ti era tutto chiaro dall’inizio, sapevi che sarebbe finita così, lo avevi anche scritto.” Apollo aveva ragione, eccome; Dominique Beauvais, per lui semplicemente Dominò, era una sirena. Bellissima. Pericolosissima. E con fare in apparenza disinteressato, pieno di grazia, ingenuo, discreto ma terribilmente femminile, lo aveva fatto finire prima bello diritto nella rete e poi a frantumarsi verso gli scogli, nonostante Rubèn lo avesse capito sin dal primo momento, quando lei si era inaspettatamente e misteriosamente palesata in un noioso e inutile sabato mattina di inizio settembre. “Lo avevi capito subito che era la più pericolosa delle Sirene, eri stato bravo. Perché invece di cambiare subito la rotta, hai seguito il suo canto e hai diretto il timone verso gli scogli e lo schianto?” Incalzava Apollo. “Ulisse non evita le Sirene, Ulisse vuole conoscere, vuole sperimentare il loro canto e porta la nave a lambire lo scoglio e passa oltre. Ecco, io volevo fare come lui: vincere le Sirene, non evitarle.” Rispose Dioniso, cercando di argomentare una difesa che risultasse accettabile anche all’assai poco empatico e gran ragionatore Dio del Sole. “Sei proprio imbattibile quanto a superficialità e all’essere il re degli ingenui! Ulisse affronta le Sirene perché confida nell’astuzia per poterle battere, si fa legare all’albero della nave da compagni resi sordi e certo non si lancia a rotta di collo verso di loro senza precauzioni, finendo per innamorarsene perdutamente senza alcuna possibilità di essere ricambiato, al di là del potente ma effimero piacere dei sensi. O eri talmente fuori dalla realtà e così megalomane da pensare che saresti riuscito a far innamorare di te le Sirene?” Dioniso ora taceva. Apollo aveva colto nel segno; lo aveva smascherato. “D’accordo che hai inventato il vino, e gli uomini te ne saranno grati in eterno, ma dovresti farne un uso più accorto. Tu non hai bisogno di spegnere la coscienza e far venir fuori l’istinto. Tu hai bisogno di capire bene dove sei prima di ubriacarti, come tuo costume. Ubriacati pure, ma non farlo sopra una scogliera o sul tetto del faro di Alessandria o sulla testa del colosso di Rodi: altrimenti farai solo arrabbiare Zeus o Poseidon, loro sì veramente stanchi di mandare i delfini o le aquile per risollevarti ogni volta che finisci in mare o che ti sei schiantato in terra. E se proprio non riesci a farlo da solo, prima di ricorrere all’ebrezza indotta dal vino chiama me o senti la tua sorellastra Atena, se proprio ti sono troppo antipatico. Ulisse ritorna a casa grazie alla protezione, alla strategia e ai consigli di Atena, non certo con l’aiuto del tuo smodato istinto o delle tue menadi e perché lui, l’otre pieno di vino lo fa bere a Polifemo per ucciderlo e non per incontrare Circe o le Sirene. E adesso sono anch’io troppo stanco di te e ti lascio alle tue gioie.” Dioniso, pieno di rabbia per la lunga conclusione di Apollo, sentendosi umiliato decise anche lui di addormentarsi. Fu così che Rubén rimase solo. In silenzio. Neppure il vociare di avventori e turisti lo distraeva da quel silenzio interiore, arrivato improvvisamente dopo ore di “baccano” cerebrale. Di colpo nella sua mente si formò un’immagine: la sala da gioco del casinò di Montecarlo, dove la sera prima aveva vagato tra i tavoli per tentare di combattere la noia e portare altrove i pensieri prima di andare a dormire, buttando qua e là l’occhio con malcelata sufficienza verso quegli accaniti giocatori, rallegrandosi intimamente per non essere mai stato rapito dal demone del gioco. Almeno quello. Un giocatore d’azzardo. Ecco cos’era stato durante tutta la storia vissuta con Dominò. Un incallito giocatore d’azzardo, proprio lui, che detestava legare il destino dei denari frutto del lavoro ai capricci della pura sorte. Con la bellissima, sensualissima e pericolosissima femme fatale, Rubén si era comportato come il tale che, invitato inaspettatamente al tavolo da poker, si trova con un credito a sorpresa, una coppia di Donne di Cuori in mano e riesce a vincere un piatto ricco perché gli altri giocatori fingono di credere ad un bluff. E lui anziché ringraziare, alzarsi dal tavolo e andare a spendersi la vincita, pensa di aver trovato il modo per continuare a vincere e insiste nello stare al gioco e a proporre, sempre con carte ridicole in mano, lo stesso schema. Al tavolo lo lasciano fare per un po’, la vincita sale e lui continua ad azzardare. Fino a quando, cucinato bene a puntino, i veri giocatori calano le loro scale reali e i loro poker d’assi e lui perde tutto e molto altro ancora con velocità ancor più sorprendente, inseguendo la folle idea di poter sempre recuperare, sicuro che la fortuna sarebbe tornata ad abbracciarlo, come all’inizio. Credeva di essere più abile di Ulisse e di poter far vestire alla Regina delle Sirene i panni di Penelope. Che penoso bluff. Dominique Beauvais in mano celava solo un bel due di picche, altro che una Scala di Cuori. Altro che Ulisse. Aveva ragione Apollo. Si bluffa con la mente, non lo si può fare con il cuore. In attesa che la sua vecchia amica Dolores lo raggiungesse da Cagnes-sur-Mer per l’aperitivo, Rubèn ordinò un bicchier d’acqua. Senza bollicine.

martedì 30 aprile 2019

VOLERE VOLARE




A volte può capitare di confondere il desiderio di leggerezza con la voglia di sentirsi liberi di comportarci superficialmente, e da quell’allucinazione iniziale si compiono poi a cascata una serie di disastri, sia per sé stessi sia per i malcapitati che non sono in grado di smascherare prontamente il “travisamento” o il “travestimento”.

Per volare “leggeri” bisogna avere l’animo “leggero” e l’animo leggero è privilegio di chi conosce le sue profondità ed è capace di scendervi il più possibile, affrontando con coraggio sia i petali meravigliosi, che le spine pungenti che si celano nell’intimo di ciascuno di noi.

Può volare “leggero” chi è consapevole delle possibili conseguenze del volo per sé e per gli altri, chi responsabilmente le accetta e tale consapevolezza, repetita juvant, è solo di chi sa viaggiare con sicurezza e competenza nelle sue profondità più … “profonde”.

Per volare “leggeri” bisogna sapere che si può anche cadere e se succederà potrà fare pure molto male e nonostante questo saremo comunque in grado di guardare le ferite contratte, curarle in modo compassionevole e rialzarci.

Se non abbiamo questa consapevolezza, questa capacità di essere responsabili delle nostre azioni perché abbiamo paura di affrontare le spine e le ferite nascoste nel nostro intimo, se non abbiamo profondità, resteremo sempre in superficie, ovvero destinati a rimanere incatenati al suolo e quindi condannati ad essere incapaci di volare. Né con leggerezza, né senza leggerezza.



mercoledì 20 marzo 2019

PROPOSTA DI MATRIMONIO

Roma, dal nostro corrispondente. Il Senato ha voluto far coincidere con la festa del papà l'approvazione definitiva della legge che modifica in maniera profonda e per certi versi storica, il diritto di famiglia e l'essenza stessa dell'istituto del matrimonio; nonostante le proteste di alcuni gruppi conservatori che hanno manifestato ieri pomeriggio davanti a palazzo Madama contro la riforma, il Senato ha confermato il testo giunto dalla Camera dei Deputati praticamente all'unanimità, con la sola astensione di 2 senatori appartenenti al gruppo misto. Tra 15 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale il matrimonio "fin che morte non ci separi" resterà solo un'opzione e non più l'essenza caratterizzante lo storico istituto giuridico. La legge di riforma, infatti, accanto al matrimonio esistente, le cui norme non vengono modificate prevede l'introduzione di 2 nuove forme di unione matrimoniale: il matrimonio a tempo determinato e quella a tempo indeterminato.
Con la prima tipologia i coniugi fissano una "data di scadenza" e concordano le modalità di divisione del patrimonio comune allo spirare del termine, così come le modalità di "gestione" dei figli minori di età; la durata minima dell'unione è obbligatoriamente fissata 5 anni per il primo periodo, mentre successivamente i coniugi potranno fissare rinnovi di durata diversa ma comunque non minori di tre anni e il rinnovo sarà tacito di tre anni in tre anni a meno che un coniuge non dia disdetta all'altro entro 6 mesi dalla scadenza mediante lettera raccomandata. Al di fuori dei casi previsti per la scadenza del termine, i coniugi potranno separarsi seguendo invece le procedure del matrimonio tradizionale che, come abbiamo già scritto, non vengono modificate, ma rappresenteranno solo un'opzione a scelta dei promessi sposi. 
L'altra tipologia, il matrimonio a tempo indeterminato, non prevede una scadenza ma dà la possibilità,  trascorso un anno dalla celebrazione, di recedere dal rapporto in ogni momento previo preavviso  di tre mesi da inviarsi all'altro coniuge con lettera raccomandata e successiva annotazione nei registri dello stato civile. Anche questa forma matrimoniale prevede che alla celebrazione i coniugi stabiliscano le norme valide per la divisione del patrimonio e la gestione dei figli minori nati eventualmente dall'unione.
In entrambe le due nuove forme di unione matrimoniale per la validità dell'atto è necessaria la preventiva validazione, da parte del Tribunale sentito il P.M., degli accordi sulla gestione dei figli minori e della divisione patrimoniale alla scadenza o alla cessazione dell'unione a tempo indeterminato.
Salve le differenze in merito alla durata, è bene ricordare che il legislatore ha chiarito espressamente che i coniugi stipulanti i nuovi tipi di accordo matrimoniale godono, in costanza di matrimonio, di tutti i diritti e doveri dei coniugi "tradizionali".
La nuova legge infine, impegna i futuri legislatori ad aggiornare tutta la disciplina sul diritto di famiglia ogni 5 anni per adattarla eventualmente alle mutate esigenze della società.
La curiosità nel vedere quale tra le nuove tre forme di matrimonio sarà la più utilizzata dagli italiani è tanta, le scommesse sono aperte.
La legge è stata molto contestata da tutto il mondo cattolico e dal Consiglio Nazionale degli Avvocati.

Finito di leggere l'articolo ho posato il giornale e ho iniziato a bere un bicchiere di porto, affiancandolo con del buon cioccolato fondente. Poi ho aperto gli occhi e mi sono svegliato.
Non c'era il giornale, non c'era il porto e non c'era il cioccolato fondente ed era vigente il solito diritto di famiglia.
Era un sogno.   

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NOTTI MAGICHE ANTE LITTERAM

25 giugno 1983 – Arrivo al campo mezz’ora prima del fischio d’inizio, di corsa dopo essere riuscito a fuggire da una riunione familiare ...