martedì 26 maggio 2020

ENZO, CI MANCHI


Oggi Enzo Bearzot è ricordato come l'allenatore che ha riportato la coppa del mondo in Italia dopo 44 anni, guidando la nazionale nel vittorioso mundial spagnolo del 1982. Enzo Bearzot è stato molto di più; secondo me è stato capace di incarnare l'Archetipo del Condottiero, il Maestro che tutti avrebbero diritto ad avere. Il Capo che ha sempre affrontato in prima persona le critiche, che ha messo sempre la propria faccia nei giorni bui per proteggere i singoli e il gruppo di cui era responsabile. Il Generale che ha saputo rischiare la sua pelle affidandosi ai "soldati" di cui aveva fiducia. E che lo seppero ripagare. L'Uomo che quando capì che il suo ciclo era terminato, si fece da parte e si ritirò da solo senza creare "assembramenti". Fra i tanti aneddoti che si potrebbero raccontare su Enzo Bearzot, ne voglio ricordare uno, che meglio di tutti ci spiega chi era Enzo Bearzot. Mar del Plata, Argentina, 2 giugno 1978. Primo minuto della partita d'esordio dell'Italia al mundial 1978. Italia - Francia. Enzo Bearzot fa il suo debutto in un campionato del mondo come Commissario Unico. E' criticato da tutta la stampa. Parole Pesanti. L'opinione pubblica non crede nella squadra, che i pronostici dei bookmakers di tutto il mondo vedono eliminata al primo turno. Sa bene che se il mondiale andrà male per gli azzurri finirà bruscamente anche il suo incarico. E' il primo minuto, Enzo Bearzot ha appena fatto in tempo a sedersi in panchina e assiste al gol della Francia. Il gol più veloce in un'edizione della coppa del mondo. Un'azione fulminea, spettacolare conclusa con un magistrale colpo di testa del centravanti Lacombe che batte imparabilmente Dino Zoff. Francia 1 Italia 0. Sembra l'inizio della fine. Enzo Bearzot si alza dalla panchina e applaude alla bellezza del gol messo a segno dagli "odiati" galletti francesi, tra gli sguardi increduli di tutta la panchina azzurra. Oggi sappiamo che la partita terminò poi 2-1 per noi e in quel mondiale fummo la squadra rivelazione che arrivò a un solo passo dal titolo, mostrando il miglior calcio, alla faccia dei tanti "esperti" e "addetti ai lavori". Titolo che poi arrivò 4 anni più tardi a Madrid, con un copione ancora più romanzesco di quello argentino. Enzo Bearzot, ci manchi. Nel 2020 più che mai.
"Primo: non prenderle. Secondo: vincere. Terzo: non c'è, perché i primi due hanno già detto tutto."
Enzo Bearzot, Aiello del Friuli, 26/09/1927 - Milano, 21/12/2010

martedì 19 maggio 2020

SM(A)RT WORKING


“Cividale del Friuli, 9 ottobre 2018
Da alcuni anni siamo tutti immersi, più o meno consapevolmente come attori e spettatori, in una profonda trasformazione delle forme di comunicazione tra esseri umani e di conseguenza nella modalità di relazione provocata dagli sviluppi tecnologici che, con ritmi sempre più impetuosi, oramai sono penetrati in ogni momento e in ogni angolo delle nostre vite.
Personalmente sento il bisogno di salvaguardare degli spazi di umanità che ci possano mettere un po’ al riparo da tutta questa comunicazione mediata da mezzi artificiali e dalle conseguenze non sempre positive di questa modalità, non per sostituirla, ma per integrarla affinché le nostre competenze relazionali e di socializzazione di tipo “tradizionale” ed eminentemente “umano” non vadano irrimediabilmente perdute per sempre.
Sono a proporvi di individuare un momento spazio-temporale settimanale in cui poter condividere con sistematicità la nostra umanità nella forma più autentica e antica dissertando intorno del tema del Viaggio, inteso sia in senso filosofico e metaforico che in senso più ampio e prosaico. Magari con l’aggiunta di un bicchiere di buon vino…
Una sorta di circolo ellenico, insomma, in cui ciascuno dei partecipanti possa portare i propri pensieri, le sue esperienze su di un tema generale di interesse comune – il Viaggio appunto - e condividerlo con gli altri in vista di una sintesi collettiva e che magari poi sia in grado di accrescere il patrimonio di tutti.
Ho pensato ad una sorta di “Ordine dei Viaggiatori”.
Mi rivolgo a Te perché penso che tu possa essere interessato dal progetto, farne parte in concreto arricchendolo con la tua sensibilità, esperienza e conoscenza.”
Meno di due anni fa scrissi questa sorta di “manifesto”, perdendo subito la voglia di pubblicarlo. Non era finito nel cestino, come tante idee bizzarre o coraggiose, ma rimasto archiviato in un cassetto o per meglio dire, in una cartella dimenticata del computer. Appunto.
Facendo le pulizie sul disco è tornato a galla in questo periodo e mi sono fatto una sonora risata. Meno male che è rimasto nascosto. La realtà di questi ultimi mesi avrebbe reso quel circolo “ellenico” un’associazione segreta fuori legge per tutte le polizie d'Europa, al pari della Carboneria durante il Risorgimento e non solo un allegro convivio di aspiranti Don Chisciotte.
La ben nota pandemia ha dato forse un colpo mortale a quel disegno, “incoronando” la comunicazione tecnologicamente mediata tra esseri umani come la forma “naturale” di socialità. Senza ritorno.
Lezioni on-line, udienze on-line, riunioni on-line, aperitivi on-line, amori on-line…
Meno male, diranno i più: senza internet il mondo si sarebbe fermato del tutto e la pandemia avrebbe mietuto ancora più vittime senza il distanziamento sociale, che in qualche modo la rete ha attenuando surrogando praticamente qualsiasi forma di attività condivisa o condivisibile.
E lo dico anch’io.
Quello che mi turba è che tutto questo “on-line” non sia percepito dai più come una formidabile scialuppa di salvataggio che ci dovrebbe traghettare in qualche modo – e al più presto - di nuovo a riva, dopo che una burrasca ha fatto colare a picco “la barca” in mare aperto, ma bensì il mezzo di trasporto da non abbandonare, con il fine di vagare lontano da terra per sempre.
Leggere che qualcuno propone con entusiasmo e convinzione che udienze nei tribunali, lezioni a scuola, lavoro negli uffici debba avvenire “normalmente da remoto”, a prescindere dal sussistere o meno di un’emergenza sanitaria, e che la riunione “fisica” tra persone debba diventare “l’eccezione da evitare come la peste” alla regola dello smart working, mi provoca un profondo malessere.
Forse quel dimenticato “manifesto” è destinato ad avere un valore rivoluzionario in un prossimo futuro, perché se in un tempo definito i morti della pandemia saranno contabilizzati con evidenza scientifica, le perdite umane del distanziamento sociale, iniziato ben prima del Covid-19, saranno tutte da calcolare. E, temo, non saranno poche.
Lo so, le mie sono farneticazioni di un nostalgico appassionato delle code allo sportello per presentare un documento e che non nutre nessun entusiasmo nel fissare in solitudine lo schermo bloccato di un pc o di uno smartphone, parlando nel frattempo con il guru informatico di turno, per capire perché un sito è regolarmente “in palla” durante un “click-day” e soprattutto quale "magia" attivare per sbloccarlo.    
L’augurio sincero, per tutti gli amanti dello smart working è di leggerlo bene, non omettendo la “a”.
Altrimenti diventa smrt working.
Che, invariabilmente, in tutte le lingue slave significa “morte” del “working”.

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