lunedì 31 luglio 2017

LIBERTY BELL

Tutti cerchiamo
la libertà;
la desideriamo,
la invochiamo,
la sogniamo,
talvolta pure la gettiamo.

Ma che cos'è che cerchiamo,
desideriamo,
invochiamo,
sogniamo,
e talvolta pure gettiamo?

In realtà quello a cui aneliamo
è di addormentarci,
senza avere paura di domani
e senza avere rimpianto di ieri.

Solo allora siamo
uomini liberi,
e solo allora siamo
uomini felici
e solo allora siamo
degni del Creato
e possiamo renderlo
ancora più Divino.

giovedì 27 luglio 2017

LIFE IS LIFE



Vivere è svegliarsi all’alba,
pensando che un giorno
non succederà più.


Vivere è coricarsi 

con le membra sciolte dalla fatica
e la mente limpida
come l’aurora estiva sulla battigia.

Vivere è sapere
che qualcuno in qualche posto
lontano o vicino
ti sta aspettando
ti sta cercando
ti sta pensando.

Vivere è addormentarsi
con il desiderio puro
che l’alba arrivi presto.

Vivere è rimanere sveglio
con il desiderio puro
che l'alba non arrivi mai.

Vivere non è sogno
è azione



mercoledì 26 luglio 2017

ACQUE

Acque verdi e fredde 
simboli di queste amate ed odiate terre;
impossibile specchiarsi senza provare grandi passioni,
senza vedere nel loro fondo la propria anima, il proprio cuore
e sentire i loro sospiri e le loro urla,
la loro insaziabile sete di libertà e di amore,
la loro incrollabile fede e la loro invincibile speranza.

Acque verdi e fredde acque,
apparentemente immobili ed uguali
ma in perenne movimento e mai le stesse.

lunedì 24 luglio 2017

IN DIFESA DI DON QUIJOTE DE LA MANCHA

Nell'immaginario collettivo la figura di Don Chisciotte, personaggio centrale del celeberrimo romanzo di Miguel de Cervantes Saavedra El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha, è quella di colui che combatte battaglie contro avversari immaginari, che vive scollegato dalla realtà oggettiva e sistematicamente esce sconfitto dagli scontri contro avversari che chiaramente sono più forti di lui; nella nostra cultura venire descritti come un Don Chisciotte o come uno uso a combattere i mulini a vento è circostanza che assume una connotazione negativa nei confronti del destinatario. Personalmente ho sempre provato invece tenerezza e simpatia per l'hidalgo Alonso Quijano, che dopo aver fatto "indigestione" di romanzi cavallereschi ne rimane talmente folgorato dagli ideali contenuti che si autoproclama Don Quijote de la Mancha, lascia la sua vita ordinaria per iniziare un “folle” viaggio errante finalizzato a vivere seguendo le finalità e gli ideali del mondo che ha appreso e favoleggiato grazie alle sue morbose letture.
La Spagna in cui lui si muove non è il terreno conosciuto nei suoi romanzi, non ci sono più i mori da combattere, non ci sono Dame da salvare, non esistono i Giganti, gli Ippogrifi, le Chimere o altre figure zoomorfe e i risultati delle sue imprese non possono che avere esiti finali disastrosi per lui e tragicomici per gli osservatori e per i lettori.
Sappiamo che Don Chisciotte è destinato a perdere sistematicamente in ogni avventura usando le lenti della realtà fattuale, tanto che in punto di morte Miguel de Cervantes fa prendere consapevolezza al suo personaggio facendogli esclamare ”Congratulatevi meco, miei buoni amici, chè io ho cessato di essere don Chisciotte della Mancia, e sono quell’Alonso Chisciano che per i miei esemplari costumi ero chiamato il buono (…); adesso mi vengono in odio tutte le storie profane della cavalleria errante; adesso conosco la mia balordaggine ed il pericolo che ho corso nelle mie letture; adesso per misericordia del Signore Iddio imparo a mio costo a dispregiarle e ad averle in abbominazione.„ 
Ma la chiave di lettura che mi ha sempre reso simpatico Don Chisciotte è un’altra, non certo il suo “pentimento” finale.
Durante la sua “pazzia” Don Chisciotte “percepisce” davvero i Giganti in luogo di Mulini a vento, rimane profondamente e sinceramente estasiato dalla “bellezza” della nobildonna Dulcinea del Toboso anche se questa agli occhi del mondo è una donna grassoccia e senza alcun quarto di nobiltà, davvero “vede” un esercito di mori in quello che altro non è che un gregge di pecore: se invece di visioni fantasiose create dalla sua mente si fosse trattato di veri Giganti, di nobildonne ed eserciti reali sarebbero mutate le sue emozioni? Sarebbe mutato il suo comportamento? Sarebbe variato il suo impegno nella sfida? No. Di certo. 
In questo senso Don Chisciotte vive “realmente” la Vita che desidera. Fa le esperienze a cui aspira. In questo senso Don Chisciotte è stato un “vero” cavaliere errante.
Il resto del mondo lo considera un pazzo. Per la moderna psichiatria sarebbe definito un soggetto afflitto da grave disturbo psicotico, privo completamente di esame della realtà.
Il suo fidato scudiero Sancho invece, pur sapendo bene che quelle del padrone sono sempre state solo visioni autoindotte, gli resta fedele e finisce con l’assecondarlo sino sul letto di morte, quando addirittura lo incoraggia annunciando “che la signora Dulcinea non è più incantata e che ci manca tanto poco per diventare pastori e passare cantando la nostra vita beatamente, vossignoria si vuol far romito?” senza comprendere che infine il padrone è “rinsavito”.
La questione finale è: siamo sicuri che tra la “psicosi” di Don Chisciotte che passa la sua vita convinto di combattere creature fantastiche e di essere un cavaliere errante che dedica le sue gesta per salvare gli oppressi in onore della sua Dama e un uomo o una donna che passano invece tutta la vita svolgendo ogni giorno passivamente azioni che non vorrebbero fare, che ritengono prive di senso alcuno ma che continuano a ripetere in ossequio ad un generico (ma non compreso) “senso di un dovere” capace di bloccare ogni tentativo di “ribellione”, confinando i propri desideri nel mondo del fantastico e dell’onirico, la patologia da curare sia solo quella dell’ispanico?
Ammesso che esista, a ciascuno sua la risposta.
Io mi limito a segnalare che, al Notaio giunto per la redazione del testamento dell’hidalgo Alonso Quijano, Miguel de Cervantes, mette in bocca queste parole: “Non ho mai letto in alcuna opera di cavalleria che un cavaliere errante sia morto nel suo letto così tranquillo e così cristianamente rassegnato come don Chisciotte.” Chissà cosa avrebbe fatto a dire al Notaio, dopo la fatale dipartita di un “comune” e “normodotato” mortale. 

Questo l’epitaffio di Sansone Carrasco.

“Giace qui il forte hidalgo salito a tal grado di valore, che morte non potè trionfare di lui nel suo morire.

“Affrontò tutto il mondo e vi recò lo spavento; e fu sua ventura viver pazzo e morir rinsavito.„

Chissà, forse la figura del nostro ingenioso Hidalgo, meriterebbe diversa considerazione.
Per parte mia, tanta tenerezza e tanta simpatia. OLE’!

mercoledì 19 luglio 2017

UTOPIA

Il termine ri-novazione infatti significa letteralmente ripetizione del nuovo, una vera e propria fusione degli opposti.

La ri-novazione permette il manifestarsi del nuovo sulle ceneri del vecchio e quindi della diversità, intesa come il fattore che ha fatto la fortuna nello sviluppo della nostra specie; infatti se l’edificio della specie umana  è composto da tanti uomini e donne che ne costituiscono le Pietre, le Pietre è vero che sono si fatte tutte della stessa materia, ma però non tutte hanno e devono avere le medesime dimensioni: e così ci dovrà essere necessariamente posto per la pietra ancora grezza di chi in gioventù apprende, di quella appena levigata dell’uomo nel pieno delle sue forze e quella auspicabilmente liscia di chi ha raggiunto la maturità. 
A mente di questo, il più alto dovere di ogni cittadino e/o associato dovrebbe essere ogni volta che viene chiamato a contribuire con il suo voto alla rinnovazione delle cariche sia di natura pubblica che di natura privatistica, scegliere non una qualsiasi combinazione delle Pietre tutte uguali e diverse, ma quella che per le caratteristiche dei singoli possa costituire un’armonica stabilizzazione dell'Edificio comune, premessa fondante per il successivo progresso di tutti i membri della comunità e quindi di tutte le Istituzioni nel loro complesso.
Qualsiasi organo di comando di qualsiasi organizzazione non dovrebbe mai essere priva delle energie e della voglia di futuro del giovane, delle maggiori competenze dell'adulto e del sano distacco dalle cose del mondo che dovrebbe aver maturato chi è vicino al viaggio finale verso l'ignoto. E se non vogliamo farne una questione di età facciamo almeno che non manchi mai il sognatore accanto al critico, tutti e due accompagnati dal realista. Date in mano un'organizzazione a soli sognatori e vi troverete nel caos dell'indeterminatezza, datelo ai critici e non vi muoverete di un centimetro e lasciatelo ai realisti se volte morire di noia.  
Utopia?  

martedì 18 luglio 2017

METAFORE NAVIGANDO TRA AMORE E SPORT

Un giorno senza conoscere nulla l’uno dell’altra saltarono insieme su di una barca senza neppure aver idea di quale fosse la loro destinazione … sapevano solamente che ci volevano salire e che non volevano affondare; poi pensarono che quella era la barca sulla quale da sempre avevano sognato di salire, successivamente si convinsero che anche la barca era stata sempre lì ad aspettarli e che la sua destinazione era la Salvezza. In seguito amaramente scoprirono che troppo avevano fatto aspettare la barca e che la navigazione verso la salvezza perciò sarebbe stata più che agitata. Infine le tempeste lungo la rotta furono così violente da superare le previsioni e il porto di arrivo divenne solo un lontano miraggio.  In mezzo alla furia degli elementi lei smise di parlare e lui invece di guardare la realtà preferì affidarsi al sogno e così, lentamente andarono alla deriva, fino a che lei, si portò sul bordo e si gettò tra i flutti mentre lui la lasciò andare rimanendo da solo sulla barca.
L’Amore è dono incondizionato ma non può diventare qualcosa a senso unico: ha bisogno che il destinatario dia libera accettazione per poter vivere! Qui non si tratta di pensare che in una coppia o in una relazione affinché funzioni ognuno debba dare alla pari, ci sono momenti in cui rema più uno e fasi in cui lo fa l’altro, ma fondamentalmente nessuno mai si sogna di chiedere all’altro di non remare più! E magari avere l'idea di remare entrambi nella stessa direzione.
E’ la metafora di Bearzot e Paolo Rossi: Bearzot credeva in Rossi contro ciò che sembrava evidente e contro l’opinione saccente e stizzita del mondo intero e Paolo Rossi lo ripagò sbloccandosi al momento decisivo: ma Paolo, pur sfiduciato e ancora fuori forma, voleva dimostrare con tutto se stesso di non essere finito e non  si sognava nemmeno per un attimo di chiedere lui a Bearzot, di essere sostituito e messo da parte; se ne fosse solo accorto indirettamente, Bearzot non avrebbe esitato a spedirlo, neanche in panchina tra le prime riserve, ma addirittura in tribuna, tra chi non aveva neanche la possibilità teorica di scendere in campo, come fece poi in Messico quattro anni dopo.

Il fatto di essere innamorato di qualcuno non dà per questo alcun diritto, né può dare nessuna aspettativa.  

lunedì 17 luglio 2017

PREVENZIONE E DEPRESSIONE

Si poteva già leggere nel rapporto della XX Giornata della salute mentale organizzata nel 2012 dalla WFMH (World Federation for Mental Health) : la depressione, con 350 milioni di persone colpite nel 2011, è la terza causa di disabilità al mondo, considerato il grado di compromissione delle vite di color che ne sono affetti; ma non solo: si stima che nel 2020 la sindrome depressiva diventerà la seconda causa per salire nel 2030 addirittura al primo posto. Risulta di tutta evidenza come una sistematica attività di prevenzione sia decisiva per scongiurare il trend e comunque migliorare il trattamento e le possibilità di successo delle terapie curative ex-post.     
Tale assunto è desumibile anche dal Piano di azione sulla salute mentale 2013-2020  redatto dall’OMS nel quale si rimarca come sia necessario cambiare passo nella lotta contro la depressione in modo particolare concentrando le attenzioni e gli investimenti di più di quanto fatto finora (poco!!) nell’attività di prevenzione del disturbo in tutte le fasi della vita.
Anche se ancora negli anni ’80 del secolo scorso era opinione prevalente degli studiosi nel campo delle scienze psicologiche che, in generale, l’esordio di una depressione clinica non si potesse prevedere, le cose sono iniziate a cambiare già nel successivo decennio, laddove si dimostrò che interventi educativi, nutrizionali  e sugli stili di vita, oltre che di tipo farmacologico e psicoterapeutico in persone mai colpite da depressione maggiore, riducevano del 25% l’incidenza di episodi depressivi entro l’anno successivo. (Cujpers – Journal of American Medical Association).

Recentemente Ricardo Muñoz, psichiatra presso l’Università della California di San Francisco ha affermato, in seguito agli esiti dei suoi studi sui protocolli di prevenzione adottabili, che: “Se all’assistenza sanitaria applicassimo di routine i metodi preventivi si potrebbero evitare almeno due casi di depressione maggiore  su nove”; se si considera che i fattori invalidanti causati dalla depressione sono di natura non medica – minore istruzione, giornate di lavoro perdute, disoccupazione, tentati suicidi ecc. - illuminante sul punto è anche il parere del prof. Carmine Munizza, primario emerito di Psichiatria all’Ospedale San Giovanni Bosco e Direttore del Centro studi e ricerche in psichiatria della ASL 2 di Torino: “E’ come per il dissesto idrogeologico … al di là del benessere delle persone, lesinando sulla prevenzione si creano le condizioni per maggiori spese future, quando si interverrà sulle emergenze”. (in Mente & Cervello, Mensile di Psicologia e Neuroscienze – novembre 2012,  p. 101).

COINCIDENZE E CURIOSITA'

Battere la squadra di casa nel girone eliminatorio di un mondiale sembra non portar troppo bene agli outsider, come possono ricordarsi gli azzurri di Enzo Bearzot che il 10 giugno 1978 superarono grazie ad un gol di Roberto Bettega gli argentini di Cesar  Luis Menotti nella loro "tana" dell'Estadio Monumental di Buenos Aires. Conseguenza pratica dell'impresa? Italia al primo posto del girone, argentini "cacciati" da Baires e azzurri ad affrontare un durissimo girone di semifinale  con Olanda, Austria e Germania Ovest campione del mondo in carica. Argentini alla fine campioni del mondo battendo gli "Orange" orfani di Sua Maestà "Cruijff" e azzurri quarti e perdenti la finalina contro il Brasile. Quattro anni prima al Volkspark Stadion di Amburgo, il 22 giugno 1974, altra storia con i tedeschi orientali, i "parenti poveri" della  DDR che con una rete di Sparwasser a 13' dal termine battono i più blasonati e padroni di casa della Germania Ovest del Kaiser Franz Beckenbauer. Conseguenze immediate per gli "Ossie"? Primi nel girone e spediti nel gruppo di semifinale assieme ad Argentina, Brasile campione del mondo in carica e la terribile "Arancia Meccanica" di Re Cruijff e compagnia cantante. Tedeschi dell'Ovest alla fine campioni del mondo ai danni dell'Olanda dopo aver superato un girone di semifinale sicuramente più morbido con Polonia, Jugoslavia e Svezia, mentre i "fratelli minori" della DDR sono finiti stritolati dagli Orange e dai Verdeoro già nel secondo turno.
Interessante per gli amanti delle combinazioni "cabalistiche" scoprire che la nazionale della DDR, dalla nascita della federazione nel 1952 e sino alla sua scomparsa il 20 novembre 1990, incontrò a livello di nazionali maggiori i rivali dell'Ovest in quell'unica occasione e nell'unica volta che i tedeschi dell'Est riuscirono a qualificarsi per la fase finale di una competizione mondiale o europea.

Altra curiosa corrispondenza tra i due eventi: si trattava in qualche modo di due derby; certamente più evidente quello fra le due nazioni tedesche all'epoca divise da muri, reticolati e sistemi politico-economici agli antipodi rispetto ad Argentina-Italia, nazioni situate in continenti diversi e con lingue ufficiali diverse. Almeno a prima vista, perché scavando solo un po' sotto lo superficie scopriamo che il paese sudamericano è quello dove, dopo l'Italia,  in cui la lingua di Dante, pur nelle sue declinazioni regionali, viene parlata di più al mondo vista la massiccia presenza di figli di cittadini italiani che durante gli ultimi 150 anni sono colà emigrati (quasi tre milioni a partire dal 1871), incidendo nella cultura argentina a tal punto da far affermare al diplomatico e saggista Octavio Paz:

"Los argentinos son italianos que hablan espanol y se creen ingleses"
(Gli argentini sono italiani che parlano spagnolo e si credono ingesi)

giovedì 13 luglio 2017

LA PARATA DEL SECOLO

La vita è un gioco di centimetri dove il margine di errore è ridottissimo, diceva Al Pacino nel celebre discorso nello spogliatoio de "Ogni maledetta domenica": mezzo passo fatto un po' in anticipo o in ritardo e voi non ce la fate. Immaginiamo per un attimo che il 5 luglio 1982, nella bolgia infuocata dello Stadio Sarrià di Barcellona, Dino Zoff all'89' minuto di Italia-Brasile avesse fatto una scelta tecnica diversa o fosse partito con mezzo passo in anticipo o in ritardo nel tentativo di evitare che il pallone spinto dalla capocciata di Oscar finisse in fondo alla rete. L'urlo di Tardelli, il "non ci prendono di più" del Presidente Pertini, la partita a scopone sull'aereo presidenziale con la coppa del mondo in bella vista ... ecco, queste immagini entrate nell'immaginario collettivo di una nazione intera non sarebbero mai esistite. Ho avuto la fortuna di incontrare Dino Zoff nel suo paese natale, Mariano del Friuli, la sera del 5 luglio 2013 e vedere il suo volto illuminarsi come un bambino quando gli feci notare la ricorrenza ed ebbi il privilegio di ascoltare il suo ricordo di quel gesto "fatale"; mi disse di aver deciso all'istante, non appena vide il pallone indirizzato verso la porta, di cercare il movimento più complicato, ovvero quello che lo portasse a bloccare la palla, perché limitarsi a respingere il pallone comportava il rischio altissimo che qualche brasiliano lo ributtasse in porta, visto quanto era affollata l'area in quel drammatico finale. Poi aggiunse, memore di una brutta analoga esperienza vissuta in un lontano Italia-Romania, di aver trascorso i secondi più brutti della sua vita quando, riuscita l'opera, stringendo la palla tra le mani proprio sulla linea di porta, temeva che l'arbitro convalidasse ugualmente il gol dando retta ai giocatori brasiliani che stavano già esultando; così raccontò di essersi alzato subito in piedi urlando "No", accompagnando il grido con il braccio alzato ed ondeggiando l'indice nell'eloquente gesto di diniego. Solo quando vide che il direttore di gara, l'isreliano Klein, stava facendo con le braccia il gesto di proseguire Superdino mi confessò di essere riuscito a contestualizzare quanto aveva fatto. E non parlategli di "miracoli". Per lui si è trattato "solo" della scelta del gesto tecnico più appropriato da parte di un professionista che l'ha eseguito correttamente e con perizia. Questo è ed è stato Dino Zoff. Per noi comuni "mortali" che in diretta restammo senza fiato e con il cuore bloccato per un istante senza tempo, rimarrà se non il "miracolo" del Sarrià, sicuramente la parata del secolo.      

A PROPOSITO DI CANI. MENO TENEREZZA E PIU' RISPETTO.

Le chiesi di spiegarmi cosa ci fosse di diverso rispetto al solito e lei ancora più sorpresa mi disse: ma che domande mi fai? È ovvio che qui sono al sicuro! tu non mi giudichi e mi ascolti! Azzardai: allora potremmo dire che la tua insicurezza deriva dal fatto di temere il giudizio degli altri e di non riuscire ad essere ascoltata? Lei rimase un po’ in silenzio e poi esclamò: si, proprio così! Continuai: Come ti fa sentire questo adesso? – che dovrei avere meno paura del giudizio degli altri ed essere capace di farmi rispettare di più! Le rimandai che questo desiderio era emerso molte volte durante i nostri incontri e lei mi disse che si stava convincendo che questo era il suo problema principale da risolvere.
Passammo all’analisi del disegno dell’animale simbolo: aveva scelto un cagnolino e non aveva inserito alcun motto. Le domandai come mai non avesse inserito nessuna frase e lei mi disse sbrigativamente che l’aveva omesso perché non aveva avuto il tempo di farlo; allora le dissi se si sentiva di farlo ora e lei mi disse ridendo: Voglio una casa con giardino tutta per me!. 
Lei, continuando a ridere, di buona lena iniziò a spiegarmi perché aveva scelto il cagnolino quale animale simbolo. Mi riconosco nel cane perché è un’animale fedele, che sta sempre attaccato al suo padrone, lo protegge anche a costo di farsi del male .. e quando ne combina una, le prende, non si ribella e va via con la coda tra le gambe … abbaia ma non morde il padrone.  
Le feci notare che aveva disegnato un cagnolino e lei mi disse che si sentiva un cagnolino perché il cagnolino è più carino del cane, perché può ispirare maggiore tenerezza. Le dissi che erano passati quasi due mesi da quando aveva fatto quel disegno e se oggi si sentisse di confermarlo.

Mi rispose che forse oggi avrebbe disegnato il cane in maniera diversa, più grande e meno carino perché oggi penso che voglio meno tenerezza e più rispetto.

lunedì 10 luglio 2017

20 LUGLIO 1969 - 20 LUGLIO 2017

E’ la data del mio ricordo più antico, l’avvenimento più lontano che il mio cervello ancora mi rimanda coscientemente. E’ un’istantanea, un immagine opaca, avvolta nella nebbia: io in braccio alla mamma, papà, nonni paterni e l’unico fratello di papà, tutti seduti nella grande cucina della casa di Borgo San Pietro dove convivevamo, tutti in silenzio con l’attenzione catturata dalle immagini in bianco e nero che si succedevano sullo schermo spesso e convesso di una televisione Brionvega con tre pulsanti: accensione/spegnimento – Rai canale uno – Rai canale due.  La notte dello sbarco del primo uomo sulla Luna. 
Immagino come sarebbe andata se lo sbarco fosse stato pianificato per il 20 luglio 2017.
Mio nonno in camera sua guardando la diretta di Rai 1, mia nonna a sistemare la cucina guardando di striscio lo sbarco su canale 5, mia mamma e mio papà in camera loro con un occhio sulla Tv collegata con SKYnews e con l'altro sullo smartphone scambiando messaggi e inviando video e foto della luna ai loro amici - mia mamma frasi epiche e mio padre baggianate tipo il primo friulano sulla luna - mio zio in salotto guardando le notizie di borsa sul canale tematico di Premium ed io, solo, seduto sul pavimento della cucina e impegnato con le dita sullo schermo del tablet in una versione interattiva dello space invaders.
Tito Stagno, ti è andata bene, altrimenti nessuno si ricordava di te. 

PUGNI NON DATI O PUGNI ANCORA DA DARE?

Lei disse di sentirsi meglio, contenta per essere riuscita a piangere un po’ – quando hai detto che sono sempre pronta a regalare un fiore a tutti ho provato una fitta nel petto.. forse questa cosa non mi piace, non so se davvero voglio vedermi così … forse dovrei essere meno disponibile e imparare a saper scegliere. Il giorno seguente mi disse di aver pensato molto spesso al fatto di dover essere meno disponibile con gli altri e che forse era il caso di imparare a mettere qualche barriera innanzi a sé, ma che sentiva la cosa complessa da mettere in atto. Nello schizzo lei aveva abbozzato una tavola con delle sedie ed un quadrato che lei mi disse subito rappresentare uno specchio.  – Io credo che gli altri mi vedano come una sala da pranzo, dove appoggiarsi, nutrirsi, guardarsi allo specchio e poi andar via lasciando solo le briciole e i piatti da lavare – Rimasi colpito dalla metafora e le domandai di dirmi come si era sentita mentre mi aveva illustrato il disegno; mi rispose che le si era formato il solito groppo alla gola e che aveva sentito salire la lacrime ma che questa volta le aveva trattenute. Le chiesi come aveva fatto a trattenerle – Ho sentito un forte calore salire dallo stomaco che mi ha sciolto il nodo e adesso mi sento arrabbiata con me stessa, non ho voglia di piangere, ma di tirare un pugno a qualcuno! – Chi è quel qualcuno a cui vorresti dare un pugno? Chiesi immediatamente.  forse non è qualcun altro, forse quel qualcuno sono io. Mi alzai  e le chiesi di spostarsi e di sedersi al mio posto; lei dopo un primo attimo di riluttanza dovuta alla sorpresa per l’insolita richiesta, si accomodò sulla mia poltrona. Le dissi: Ecco, hai davanti a te, su quella sedia la persona con cui sei arrabbiata … sentiti pure libera di farle o dirle quello che vuoi … Lei mi guardava perplessa – mi stai davvero chiedendo di fare questa cosa? Non so se ci riesco … Rimasi un po’ in silenzio e poi le chiesi: Chi vorresti mettere e vedere su quella sedia? Vorrei mettermi lì tutte le volte che regalo il fiore al primo che glielo chiede con gentilezza – Ora che ce l’hai li davanti seduta davanti a te, sentiti libera di dirle e farle ciò che desideri – Lei rimase in silenzio, mentre i suoi occhi iniziavano a diventare lucidi, il colorito del viso diventava più rosso e la sua bocca si contraeva in una smorfia di dolore e poi, con voce sommessa, disse in direzione della sedia senza alzare lo sguardo: sei una stronza, ti fai usare da tutti … senza neanche farti pagare. Nel frattempo io mi ero messo dietro di lei senza dire nulla e rimanevo in silenzio, silenzio che durò a lungo fino a che decisi di romperlo – Non hai più nulla da dirle? – non voglio dirle più nulla vorrei solo darle un pugno -  Daglielo! – vorrei darglielo per davvero, questo è solo un gioco, io ho bisogno di darglielo per davvero! Mi disse con voce ferma e arrabbiata.


domenica 9 luglio 2017

DOVERE O VOLERE?

Rimasi in silenzio, mentre lei iniziò invece a commuoversi e a ripetere – la mia vita è tutta un casino – Le dissi di sentirsi libera di piangere, di prendersi tutto il tempo necessario e se lo desiderava poteva dare voce alle sue lacrime – Se le tue lacrime potessero parlare, cosa direbbero di te? – Nel sentire la domanda si ricompose, si asciugò gli occhi con il suo fazzoletto e con voce bassa mi riferì che non sapeva cosa rispondere, che sentiva solo male allo stomaco. Rimasi ancora in silenzio poi mi disse improvvisamente – se quelle lacrime potessero parlare mi direbbero che devo volermi più bene, che devo reagire, che devo farmi rispettare di più – Fui colpito da quella risposta inattesa, dal tono fermo con cui venne pronunciata e dall’uso continuo del devo – Ho notato che hai usato tre volte il verbo “dovere” pronunciandolo con forza e mi chiedo se questo abbia qualche significato per te – Non lo so.. mi sono sentita di usarlo … non ci ho pensato … se ci penso credo che devo reagire e farmi rispettare di più .. altrimenti non uscirò mai da questo schifo …  - E se al verbo dovere tu sostituissi il verbo “volere”? Come ti suonerebbe? Lei rimase in silenzio … Non lo so … ma mi è venuto da dire dovere e non volere … sento che sono cose che devo fare .. è ovvio che anche le voglio – Notavo un certo smarrimento in lei e ritenni che forse avevamo toccato un punto importante e le domandai – In che cosa fa differenza per te fare qualcosa per dovere o per volere? Da quanto mi hai detto sarei indotto a pensare che fare una cosa per volere o per dovere sia lo stesso … - Io penso che se uno vuole fare una cosa poi la debba fare – Replicai: “Uno a caso” o Tu? - Seguì un lungo silenzio poi lentamente lei riprese a parlare con gli occhi lucidi – Ho difficoltà a fare quello che vorrei senza una guida .. senza qualcuno che mi metta in riga … che mi obblighi a fare quella cosa … Decisi di passare all’esame del disegno, che sembrava realizzato da un alunna della scuola primaria, rappresentava  semplicemente una bambina con un fiore in mano con il volto né sorridente né triste - una linea diritta e appena accennata .  Lei mi disse di vedersi come quella bambina: non prova emozioni ed è sola, sospesa nel nulla. Non vuole piangere e non vuole ridere. Le rimandai che ero rimasto colpito dal fatto che la bambina avesse in mano un fiore e le chiesi cosa significasse per lei – il significato è che sono come una bambina buona, sempre pronta a regalare un fiore a tutti.

giovedì 6 luglio 2017

COLPO DI GENIO

AGOSTO 1978  ... non dimenticherò mai il salire del battito del mio cuore quando vidi arrivare verso di me Rivera con il pallone tra i piedi per battere un corner! Gianni Rivera! L’eroe di Città del Messico… quello di Italia – Germania 4-3… l’uomo che divenne mito piegando definitivamente i tedeschi con un piattone di destro che prese in contropiede il grande Sepp Maier nel supplementare della semifinale mondiale passata alla storia nientemeno come “la partita del secolo”…
Un tiro che fotografò per sempre lo stile inimitabile di Gianni Rivera: un colpo di piatto dal centro dell’area di rigore raccogliendo un cross rasoterra proveniente dalla sinistra, e quindi effettuato secondo la modalità più semplice e banale del repertorio, il primo colpo che apprende qualsiasi ragazzino quando incomincia a cimentarsi con il gioco del calcio… ma non indirizzato sul suo lato destro, quello più libero, come avrebbe fatto l'onesto lavoratore della pedata, bensì a incrociare sul lato sinistro, quello coperto dall’estremo difensore… però nel momento in cui questi cerca disperatamente di lanciarsi sul lato destro scoperto, quello dove appunto chiunque avrebbe calciato la palla in quella situazione… L’immagine di Sepp Maier lanciato verso la sua sinistra, con le braccia protese ma con la testa rivolta alla sua destra ad osservare la palla che sfila oltre la linea di porta vicino ai suoi piedi, non veloce, ma in maniera irreparabile, fu un istante lungo come una vita intera! Un’intuizione geniale che non poteva non passare alla storia: il tiro più semplice verso l’angolo più improbabile e lontano! Più che un tiro, una metafora del Genio!

mercoledì 5 luglio 2017

L'ULTIMO TRAMONTO


Questo inaspettato silenzio
ha del divino, del soprannaturale;
m'affaccio timoroso al balcone:
il cielo si è tinto
di bagliori e di sfumature
che rendono Helios
una sorgente che sprigiona

un mistero senza fine.


COLLOQUIO

 – Vedo che non hai inserito un motto nel tuo Stemma… questa circostanza ritieni abbia qualche significato particolare per te?

 – Non lo so … il motivo perché non l’ho messo è perché non mi veniva in mente nulla di particolare che potesse rappresentarmi bene…  

– Mentre mi stai dicendo questo ho visto i tuoi occhi guardare altrove e ho immaginato che parlare di questa cosa non sia agevole per te …

– E’ vero … parlare di questa cosa mi disturba… 

– Vedo che il tuo viso si è arrossato e la tua mano destra si è contratta chiudendo il pugno … immagino che tu sia a disagio e mi sto domandando se questa reazione sia influenzata dalla mia richiesta… 

– Si … non mi è piaciuto non riuscire a trovare un motto… non mi piace scrivere…

 – Non ti piace scrivere … 

– No … ma non è che non mi piaccia scrivere .. non mi piace scrivere di me.. non riesco a trovare le parole giuste, penso che in fondo non ci sia nulla di interessante che io posso scrivere di me … 

– Come ti senti mentre mi stai dicendo questo? 

– Mi brucia lo stomaco e sento forte calore in tutto il corpo…

 – Se questo calore potesse dire qualcosa … cosa direbbe? 

– Che è stufo di sentirmi parlare così male di me stesso … che non è vero che non valgo nulla..

martedì 4 luglio 2017

PROPOSTA PER L'ENCICLOPEDIA TRECCANI

ITALIA: - Una struttura politica e sociale che ha da sempre del mantenimento dello Status Quo il suo valore fondamentale in ogni dove, così che la Scienza non doveva avere come motore la Ricerca continua svolta nel quadro del metodo sperimentale ma bensì solo la mera e costante ricapitolazione della conoscenza già acquisita e detenuta dalle Istituzioni esistenti, così che tra gli uomini costituenti qualsiasi umano consorzio non vi potesse essere mai mobilità nei ruoli singolarmente svolti e perciò nel censo, così che nell’Economia non fosse ricercata e promossa l’attività di rischio che genera il Profitto ma perseguita e difesa con ogni mezzo la detenzione e la riscossione della Rendita.

Non progresso, ma conservazione.  
Eppur si muove ... 

lunedì 3 luglio 2017

LA PRIMA SALVEZZA NON SI SCORDA MAI

Mancano 5 minuti al termine della partita; nonostante un secondo tempo all’arma bianca, fatto di assalti continui, furiosi e disperati alla porta difesa da “Giaguaro” Castellini, il risultato è sempre fermo sull’ 1-1 e se da Avellino nel frattempo non arriva la notizia che la Roma è passata in vantaggio sugli Irpini, è di nuovo serie B. Il destino sembra segnato quel 24 maggio 1981. Un unico risultato garantiva la salvezza a prescindere da qualsiasi cosa potesse succedere sugli altri campi: la vittoria. Lo stadio Friuli era gremito come si diceva allora “al limite della capienza” e per tutta la partita aveva incitato i suoi beniamini con un calore ed una partecipazione forse mai più riscontrati in futuro. Nella mia mente la delusione si mescolava alla rabbia per l’atteggiamento dei partenopei che, nonostante il loro campionato da quella partita non avesse più nulla da avere o da perdere – erano aritmeticamente al terzo posto a prescindere – stavano difendendo il pareggio con le unghie e con i denti dopo aver chiuso in vantaggio il primo tempo “grazie” ad un gol dell’ex e “core ingrato” Claudio Pellegrini; il quale, non pago per averci già condannato l’anno prima con un gol al 90’ in un Udinese-Avellino che ci aveva definitivamente tolto ogni speranza di salvezza, stava concedendo un altro indesiderato bis. E alla fine di questo campionato non ci sarebbe stato un altro “scandalo scommesse” a ridarci la massima serie a tavolino dopo che il campo ce l’aveva tolta trascorsa una sola stagione dalla promozione – impresa della Giacomini Band. Sarebbe stata serie B e basta. Anzi oramai era questione di pochi minuti ancora. Le residue speranze ora sono riposte nella radiolina dopo che a dieci minuti dal termine il palo aveva ributtato in campo una “sassata” scagliata dal "rosso" di Fagagna Gianfranco Cinello appena entrato nell’area napoletana e il che il biondissimo tedescone Herbert Neumann non era riuscito a fare di meglio che spingere lentamente il rimbalzo verso la porta dando così la possibilità al “Giaguaro” di compiere l’ennesimo sgradito miracolo della giornata bloccando il pallone sulla linea del gol e facendo salire così i friulani al primo posto della classifica nazionale di bestemmiatori al minuto a danno di toscani e veneti. Da quel momento in avanti i nostri sembravano essersi arresi al fato avverso e alla bravura di Castellini, che aveva anche parato un calcio di rigore al nostro bomber Nick Zanone in quel plumbeo e afoso pomeriggio di maggio. Ma dalla radiolina le notizie che arrivano sono ancora peggio di quanto sta maturando sul campo: ad Avellino la Roma aveva tirato i remi in barca dopo che il vantaggio della Juventus sulla Fiorentina al Comunale di Torino stava regalando senza rimedio ai bianconeri piemontesi il 19° scudetto. “Oggettivamente è finita” mi dissi amaramente, maledicendo per l’ultima volta il “Giaguaro”, reo in fondo di aver fatto sportivamente solo il suo dovere. Non volevo più guardare impotente quelle immagini che avevo temuto e cercato di scacciare dalla testa per tutta la settimana che precedeva la “partita che valeva una stagione”. Mi alzai e mi rivolsi al compagno di classe con cui avevo deciso di “combattere” insieme quell’ultima decisiva battaglia emotiva sugli spalti “Dai Roby, andiamo, ormai è finita – così evitiamo la coda agli autobus”. Lui mi rivolge uno sguardo carico di rassegnata frustrazione ma con fermezza mi rimette a sedere: “Sono gli ultimi 2 minuti di serie A che vedremo forse in tutta la nostra vita. Restiamo fino alla fine”. Infastidito, ho appena il tempo di risistemarmi in mezzo ai tanti rassegnati tifosi che ci circondano pensando al danno della coda agli autobus da sommare alla beffa della retrocessione quando il biondissimo Manuel Gerolin di Jesolo, ventunenne mediano di belle speranze della “nostra” squadra primavera fresca  campione d’Italia, intercetta all’altezza del cerchio di metà campo un pallone che interrompe un fraseggio perdi-tempo dei napoletani e, contro ogni logica, butta il cuore oltre l’ostacolo e avanza palla al piede,  dritto per dritto, verso la porta di Castellini. All’inizio sembra solo una velleitaria e inutile corsa verso la muraglia partenopea e invece con uno slalom degno del miglior Gustav Thoeni in rapida successione salta uno.. poi due… poi tre giocatori con la maglia azzurra trovando tra se e “Giaguaro” Castellini il mitico Ruud Krol a sbarrargli la strada. Ruud Krol, il “centrale” dell’Olanda versione “Arancia Meccanica” vicecampione del mondo a Monaco 1974, la squadra che aveva “predicato” e “diffuso” nel globo il “calcio totale”, innovando per sempre tecnica e tattica del football.  Mica un “Bruscolotti” qualsiasi. Il destino dell’azione intrepida e solitaria del nostro Manuel, nonostante le apparenze lo facessero razionalmente supporre, non doveva fare la fine dei cavalleggeri britannici durante la folle e romantica carica nella piana di Balaklava. Il primo dribbling viene seguito dai 40 mila con rassegnata attenzione, il secondo con eccitazione che diventa speranza, al terzo oramai sono tutti in piedi incitando la folle corsa della zazzera bionda con il numero 4 sulla schiena della maglia bianconera. Quando Gerolin è davanti a sua Maestà Krol ha nei piedi, nella testa e nelle gambe non solo la sua personale eccitazione e le scariche di adrenalina che lo mandano avanti, ma il sostegno e il desiderio di tutto un “popolo”. Ruud Krol può opporre solo senso della posizione ed immensa sapienza calcistica e cuore gelido ai battiti tumultuosi di quella marea umana che accompagna la folle corsa di Gerolin, che infatti lo supera di slancio, nonostante l’ultima disperata entrata in “scivolata” del “Tulipano”.  Ora tra la porta e Manuel resta “solo” il terribile para-tutto Castellini. Gerolin entra in area frontale e ed il “Giaguaro” gli corre incontro per tentare di compiere l’ultimo miracolo felino. I 40 mila trattengono il respiro mentre il mediano bianconero anticipa il balzo del portiere con un colpo di esterno destro rasoterra; nonostante il controtempo, le estremità delle unghie dei piedi del “Giaguaro” deviano e rallentano sensibilmente la forza e la velocità della palla. Ecco, campassi 1000 anni non potrò mai dimenticare quell’attimo lungo come l’eternità; il boato del Friuli che aveva seguito Gerolin fino a quell’istante si era strozzato. Lì capisci la differenza tra Kronos e Kairos. “Dove va la palla? Fuori? Dentro? I giocatori del Napoli riescono a recuperare e a calciare lontano prima che superi la linea di porta? E’ Gol?” Quante domande in poche frazioni di secondo, quanta adrenalina che scorre impazzita nel sangue, che accelerazione potente dei battiti del cuore … poi l’immagine che fa saltare il tappo a 40 mila tifosi che con il desiderio hanno spinto e dato forza a quel pallone: la rete sulla sinistra di Castellini nella curva sud del “Friuli” si muove!!!! La palla è dentro!!! Non ricordo più niente pari a quello che seguì dopo sugli spalti. Neanche il gol di Zico all’ 86’ che diede la vittoria sulla Roma in una fredda ma solare domenica del novembre 1983 fu in grado di accendere un simile entusiasmo collettivo e genuino. Tutta la panchina friulana in campo, raccattapalle, fotografi giornalisti sul terreno di gioco a rincorrere Manuel Gerolin. Scene impensabili nel calcio business di oggi. L’arbitro Pieri di Genova fischiò la fine praticamente subito dopo e in men che non si dica tutto il popolo del “Friuli” era in campo a festeggiare insieme ai suoi beniamini quell’incredibile e disperata salvezza. Una gioia pazzesca, condita dall’innocenza e dall’ingenuità dei 15 anni. Sul prato del Friuli a cantare, ballare, saltare abbracciare persone di ogni età che non sapevo chi fossero. Lasciammo lo stadio due ore dopo, solo per raggiungere il centro di Udine per continuare la festa. E i ceffoni che presi da mio padre per essere tornato a casa ben dopo l’ora di cena senza preavviso durante il periodo scolastico, furono si il brusco rientro alla realtà, ma ne valsero sicuramente la pena. Eccome. E altro che gli ultimi 2 minuti di serie A: tempo 2 anni e l'attacco dell'Udinese schierato per cercare non più la salvezza ma l'Europa era composto da Zico, Causio, Mauro e Virdis.                

domenica 2 luglio 2017

PENSIERI TANTO LONTANI QUANTO VICINI

Giovedì 13 gennaio 1983 : … sono dell’avviso che l’Uomo non possa mai considerarsi arrivato per quanto in alto giunga, presto si accorge che c’è qualcuno o qualcosa ancora più potente di lui che gli limita le sue azioni. Questo è un fatto molto positivo, in quanto non pone all’uomo traguardi fissi e lo costringe a migliorarsi sempre di più.”

Martedì 18 gennaio 1983 : Stento a crederci, ma il più irriducibile nemico che mi ostacola in questo processo di rinnovamento sono IO; proprio così: non la vita quotidiana, l’ambiente in cui mi muovo o gli amici, ma proprio il mio inconscio. Pur essendo fermamente convinto delle mie idee, mi lascio andare agli stessi grossolani errori. Aver però individuato il vero nemico è cosa molto importante, ora so con certezza contro chi devo combattere.”

Martedì 22 febbraio 1983: Come l’Estate muore nell’Autunno per rinascere attraverso la Primavera dopo il gelo dell’Inverno, come il Sole tramonta per lasciare posto alle tenebre per poi rinascere radioso il mattino seguente così sono tutte le cose di questo mondo: vanno e vengono di continuo. Questo mi insegna che non bisogna mai sedersi, neanche quando sembra di toccare il cielo con un dito come non bisogna mai perdere la speranza neanche nelle situazioni più sfavorevoli e buie…”

Sabato 14 gennaio 1984: Che cos’è la Vita? Molti filosofi si saranno posti e si pongono questa domanda, ma penso che nessuno di essi sia riuscito a darsi una risposta del tutto soddisfacente. Anch’io, pur non essendo un filosofo, mi sono posto questo interrogativo più volte e non posso dire di
avere le idee ben chiare. In ogni caso posso affermare che la Vita è un dono e come tale va trattata, nel senso che bisogna “usarla” meglio che si può, anche per rispetto per coloro che ce l’hanno donata. Ma la Vita non è solo questo, anzi: i suoi aspetti sono molteplici: la si può intendere come una corsa continua, in cui le tappe sono i nostri successi e le nostre sconfitte ed in cui non esiste traguardo. Ma la Vita è anche instabilità, per cui i vincitori di oggi possono essere i perdenti di domani e viceversa… La Vita non ti dà infine nulla in cambio di nulla: ogni piccolo successo devi sapertelo conquistare a fatica e se lo raggiungi solo con la fortuna, soffrirai poi a mantenerlo e se non lo vali, comunque lo perderai.”   

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