giovedì 31 maggio 2018

GOVERNO BADOGLIO: CAOS O DISORDINE ORGANIZZATO?


Stava iniziando il periodo delle grandi contraddizioni… il governo Badoglio il 2 agosto cancellò sulla carta 20 anni di Regime: per decreto vennero aboliti il Partito fascista, la Camera dei Fasci e delle corporazioni, il Tribunale speciale, la Tassa sul celibato e le norme più smaccatamente totalitarie contenute nei codici. Si cambiano i nomi delle vie, degli stadi, delle piazze persino di qualche città, salvo poi vietare l'uso di qualsiasi emblema che potesse riferirsi a qualsiasi partito politico, si lascia in vigore la vergogna delle Leggi Razziali e si mantiene intatto tutto l'apparato burocratico – militare precedente, che con zelo applica la legge marziale. In più di qualche occasioni l'esercito mitraglia la folla… resteranno in terra 93 morti; 536 saranno i feriti e 2.276 gli arresti. Vengono liberati lentamente dal carcere, tra pastoie burocratiche e con irregolarità, gli esponenti dell'antifascismo in carcere, ma non si procede all'amnistia generale per i reati politici. A Trento, la vedova di Cesare Battisti viene incaricata di consegnare a Badoglio una lettera, in cui si protesta per lo sconcio di avere ancora un prefetto fascista, mentre a San Martino di Castrozza viene arrestato dai Carabinieri un albergatore che invita i clienti a gridare "Viva il Popolo! Viva il Re, Via il fascismo!". Si fa combattere svogliatamente contro gli anglo-americani che risalgono la penisola, ma si progetta di offrire a loro la nostra alleanza contro i tedeschi, ai quali si professa fedeltà e si chiede continuamente l'invio di truppe e materiali per fronteggiare gli Alleati. Si teme un ritorno del fascismo, ma i gerarchi non vengono arrestati o si lasciano partire indisturbati per la Germania… Si cercano i contatti con gli esponenti dei partiti antifascisti, ma si ostacola in ogni modo il loro agire, si tollerano i nuovi e vecchi partiti politici che iniziano a riorganizzarsi, ma si vieta duramente che lo facciano al di fuori della clandestinità, per paura di una sollevazione contro l'ordine costituito. Nello stesso ufficio informazioni Stato maggiore dell'Esercito, vengono create due sezioni, ognuna che opera nella massima segretezza e senza neanche sapere l'una dell'esistenza dell'altra: una è costituita in funzione anti-tedesca e l'altra anti-alleata, come se nulla fosse successo. In mezzo a tutte queste contraddizioni traspare un elemento comune: la paura e l'ossessione di mantenere in pugno il potere. La situazione è diventata una tragica commedia delle parti: i tedeschi non aspettano altro che di apprendere la nostra resa e fanno affluire costantemente in Italia i loro reparti, mentre gli alleati continuano a bombardare sempre più duramente le nostre città, nonostante oramai siano avviati segretamente i primi negoziati per la resa. 

domenica 15 agosto 1943 – Intanto in quest'ultima settimana le grandi città del Nord sono state colpite da tonnellate e tonnellate di bombe sganciate da centinaia di aerei. Ed allora io mi chiedo se la Patria o, meglio, l'onore della Patria sia veramente il valore supremo a cui – come ci hanno insegnato – si deve sacrificare tutto e per il quale si deve passare sopra al pianto dei bambini rimasti orfani, al dolore delle spose rese vedove, alla disperazione delle madri private dei loro figli, alla giovinezza stroncata di tanti soldati. Non riesco a vedere chiaro. Sono confuso. Molto confuso. 

(dal diario di uno studente di V ginnasio anno scolastico 1942/1943) 

Nel solo mese di agosto a Milano rimasero danneggiate l'80% delle abitazioni, 70.000 famiglie rimasero completamente senza casa, vennero a mancare luce, acqua, gas e per diversi giorni non arrivarono più nemmeno i treni. Alla sera, in tutte le grandi città d'Italia la gente si ammassava nei pochi rifugi sotterranei o scappava nelle campagne, con ogni mezzo, per sfuggire all'imminente inferno dei bombardamenti notturni. I nostri soldati incominciano a trovarsi tra l'incudine dei tedeschi, alleati sempre più diffidenti e sprezzanti, ed il martello degli anglo-americani e dei partigiani jugoslavi, che continuano ad attaccarli con vigore… i comandanti delle nostre truppe non hanno alcun ordine diverso di quello noto: la guerra continua senza ripensamenti.Nel frattempo Badoglio ed i vertici militari sono impegnati nell'impresa di spostare l'Italia nel campo alleato, tenendo buoni i tedeschi con continue manifestazioni di fedeltà e pressanti richieste di aiuti sia di armi che di uomini. Vengono mandati a trattare con gli anglo-americani personaggi stranissimi, quasi mai all'altezza della situazione: l'uomo che alla fine condusse il negoziato decisivo fu un militare, il generale Castellano, che si presentò il 19 agosto a Lisbona, al cospetto dei vertici Alleati, in completo scuro, capelli ben impomatati dalla brillantina, fazzoletto bianco che sbucava dal taschino della giacca e senza conoscere una sola parola d'inglese.. neppure buongiorno. Propone il passaggio dell'Italia a fianco degli Alleati, ma a condizione che questi effettuino diversi sbarchi sulla penisola, in modo da neutralizzare la prevedibile reazione dei tedeschi, precisando anche che il nostro esercito non è in grado di garantire neppure la protezione degli aeroporti. Gli alleati, spazientiti, sono irremovibili e impongono una resa senza condizioni, pena la continuazione ancora più dura della guerra contro l'Italia. I nostri vertici politico-militari pensano di utilizzare gli Alleati per uscire vivi e vittoriosi dal conflitto, illudendosi che il fronte italiano rivesta per gli anglo-americani un grande valore strategico; in realtà questi non hanno nessuna fretta di liberare l'Italia, ma solo di impegnarvi il maggior numero possibile di divisioni tedesche, deviandole dal vero grande obiettivo: l'apertura del secondo fronte con lo sbarco in Normandia.

mercoledì 30 maggio 2018

ORIGINI FRIULANE

Pubblico i punti salienti delle tesi sostenute nel saggio “Giulietta e Romeo: l’origine friulana del mito” – L’Autore Libri Firenze scritto da Francesca Tesei e Albino Comelli e riportati testualmente da Francesca Tesei alla pagina web: http://www.associazionegiuliettaeromeoinfriuli.it/?page_id=31

1) La trama del dramma di Shakespeare “Romeo and Juliet”, scritto fra il 1592 e il 1596 non è originale, essa è pervenuta al drammaturgo inglese mediante alcune traduzioni in inglese di Arthur Brooke “The tragical History of Romeus and Juliet” (1562) e di William Painter “The goodly history of the true and costant Love between Rhomeo and Iulietta “ (1567).

2) La trama della vicenda così come è a noi nota (i protagonisti Romeo e Giulietta, l’ambientazione a Verona al tempo di Bartolomeo della Scala agli inizi del Trecento, l’amore contrastato, la lotta fra Montecchi e Cappelletti (Capuleti), le nozze segrete, la morte dei due amanti), però, risale in ultima analisi a un autore vicentino, Luigi da Porto, di madre friulana, Elisabetta Savorgnan del ramo Del Torre e ben 70 anni prima del dramma di Shakespeare.

3) Luigi Da Porto è poeta e uomo di lettere, ma è anche capitano d’armi e si trova in Friuli, a Cividale, al comando di 50 cavalleggeri, nel 1510, per combattere al fianco dello zio Antonio Savorgnan del ramo Del Torre, personaggio di spicco nelle scenario friulano, uomo di fiducia di Venezia per controllare la Patria del Friuli, tra le fila dell’esercito veneziano contro lo schieramento imperiale asburgico, nella Guerra che dal 1508 oppone la Serenissima Repubblica e l’imperatore Massimiliano I d’Austria e che ha determinato la spartizione del Friuli tra le due potenze.

4) Luigi Da Porto, ventiseienne, si innamora ad un ballo in maschera che si tiene la sera del 26 Febbraio 1511 nel Palazzo Savorgnan di Udine, della giovane quindicenne Lucina Sarvognan del ramo Del Monte ed è ricambiato;

5) L’indomani Giovedì 27 Febbraio, Giovedì Grasso, scoppia a Udine un memorabile tumulto ed una strage sanguinosa nota come “Zobbia grassa”: si scatenano i due partiti opposti degli “Zambarlani”, filo-veneziani e appartenenti al ceto dei popolari, del popolo minuto e della recente nobiltà capeggiati da Antonio Savorgnan del ramo Del Torre e dall’altra il partito degli “Strumieri”, filo-imperiali, partito composto dai rappresentanti della antica nobiltà castellana e feudale, ostili ad Antonio Savorgnan.

6) La strage della Zobbia Grassa sfocia in una faida che coinvolgerà anche i due rami della famiglia Savorgnan, i Del Monte e i Del Torre, soprattutto all’indomani del tradimento di Antonio Savorgnan Del Torre, che passa alla parte imperiale nel Settembre 1511. La decisione del Consiglio dei Dieci di Venezia di confiscare i beni del ribelle Antonio a favore di Girolamo del ramo Savorgnan Del Monte, innesca inoltre anche un conflitto patrimoniale tra i due rami. Un tremendo terremoto ad un mese neanche dai tumulti e lo scoppio della peste aggravano ulteriormente questo scenario da incubo.

7) Luigi Da Porto e Lucina non possono professare apertamente il loro amore, poiché le rispettive famiglie di appartenenza, i Savorgnan Del Torre e i Savorgnan Del Monte sono in lotta. Si fanno in segreto una promessa di matrimonio e consumano questa unione.

8) Nel giugno del 1511, in uno scontro con dei cavalleggeri imperiali fra Cormòns e Gradisca, Luigi Da Porto è ferito da una punta di lancia al collo, che gli lede il midollo spinale e lo lascia per sempre paralizzato sul fianco sinistro: in un sol colpo tutto è perduto per lui, salute, carriera militare ed un futuro con Lucina.

9) Venezia decice di sanare la faida che divide i Savorgnan Del Torre e Del Monte e propone un matrimonio di stato che sia al contempo anche occasione per comporre il conflitto patrimoniale del casato. La prescelta è Lucina Savorgnan Dal Monte, orfana di padre, che andrà in sposa nel 1517 a Francesco Savorgnan Del Torre rientrato dall’esilio in terra imperiale, il quale è nipote del traditore Antonio.

10) Luigi Da Porto apprende la notizia di queste nozze con la sua amata Lucina e decide di subliminare in una novella, intitolata “Giulietta” lo strazio di un amore finito. Crudele beffa del destino anche Luigi era nipote di Antonio e avrebbe potuto essere lui il prescelto per queste nozze.

11) La novella è autobiografica: infatti il manoscritto più antico a noi noto di questa novella riporta una dedica, dalla quale si deduce che essa è dedicata a Lucina, per lo stretto vincolo di parentela esistente fra i due, che erano cugini. Il testo riporta anche un’invettiva finale contro le donne ingrate del suo tempo che restano con i loro amanti soltanto finché questi sono in grado di soddisfare i loro bisogni.

12) Luigi Da Porto credeva che la sua subentrata infermità fisica fosse stata determinante nell’indurre Lucina a non mantenere fede alla loro promessa segreta di matrimonio e a preferirgli un altro a differenza dell’esempio di fedeltà dimostrato invece dall’eroina della Novella, Giulietta.

13) Ragioni di prudenza e di tutela della privacy e della identità dei protagonisti reali coinvolti indussero Luigi ad ambientare la Novella a Verona e nel Trecento. Dalla finestra della sua villa di Montorso Vicentino dove egli talora soggiornava, Luigi vedeva in distanza le torri dei castelli di Montecchio Vicentino, da qui forse trasse ispirazione per uno dei nomi delle famiglie. Era buon conoscitore di Dante e nella finzione della Novella decise di attribuire i nomi dei danteschi Montecchi e Cappelletti (Purgatorio, Canto VI, Verso 106).

14) Nella stesura della Novella Luigi ha presente i modelli letterari dei classici latini (Ovidio) nonché alcuni autori prossimi al suo tempo (Masuccio Salernitano) di cui riprende alcuni motivi letterari e parti dell’intreccio narrativo, soprattutto quello dell’amore contrastato, ma la scena del ballo in maschera ricorre per la prima volta nella sua Novella, configurandosi dunque come un chiaro elemento autobiografico.

martedì 29 maggio 2018

CRISI DI GOVERNO

Ora che la guerra era chiaramente perduta, la voglia di farla finita, o meglio, di salvare se stessi, era largamente diffusa anche tra i gerarchi del Regime. Alcuni di loro, in accordo segreto con la Monarchia e gli alti Comandi Militari, chiesero a Mussolini per il 25 luglio 1943 la convocazione del Gran Consiglio del Fascismo, un'Assemblea dei massimi esponenti del partito, con funzioni consultive e che non si riuniva ormai da anni. 
In quella drammatica seduta, durata tutta la notte, venne messo ai voti l'ordine del giorno presentato da Dino Grandi, conte di Mordano, presidente della camera dei fasci e delle corporazioni ed ex ambasciatore a Londra. 
Questo documento, dove si impegna Mussolini a restituire al Re il comando dell'esercito e a ripristinare le prerogative della Corona, viene infine approvato con 19 voti, 8 contrari e 1 astenuto. 
Quattro ore dopo la fine della seduta, Mussolini si svegliò alle 7 del mattino e il Re già informato all'insaputa del dittatore dell'esito del Gran Consiglio, aveva già firmato il decreto di nomina del nuovo Capo del Governo. La scelta era ricaduta sul Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio, già Comandante supremo delle nostre forze armate al momento dell'entrata in guerra ed in seguito sostituito dallo stesso Mussolini a ragione della disastrosa campagna di Grecia. 

Vittorio Emanuele III, in divisa di Primo Maresciallo dell'Impero, che ha ordinato al dittatore di presentarsi in borghese, lo riceve nello studio di Villa Savoia alle 17,00. Mussolini giunge da solo, con un completo blu e cappello floscio marrone. 

VOCE DEL RE

Le cose non vanno più… l'Italia è in tocchi… l'esercito è moralmente a terra, i soldati non vogliono più battersi… ed il voto del Gran Consiglio è tremendo.. 

Io vi voglio bene, ve l'ho dimostrato più volte difendendovi da ogni attacco, ma questa volta devo pregarvi di lasciarmi libero di lasciare ad altri il Governo. Rispondo con la mia testa della vostra sicurezza personale, statene certo. Ho pensato che l'uomo della situazione è il Maresciallo Badoglio. Fra sei mesi si vedrà. 

VOCE DI MUSSOLINI

Badoglio? Allora è proprio tutto finito…

VOCE DEL RE

Mi spiace.. Mi spiace…

Il colloquio è durato meno di mezz'ora; appena uscito dallo studio del Re, Mussolini viene preso in consegna da un capitano dei Carabinieri in borghese e fatto salire in mezzo a tre militi armati di mitra, su di un ambulanza parcheggiata nel retro di Villa Savoia, che a grande velocità si dirige nella Caserma della Legione Allievi Carabinieri di Via Legnano, da dove il deposto dittatore inizierà una serie di spostamenti forzati e sotto sorveglianza, in varie località del territorio nazionale: l'isola di Ponza, l'isola di La Maddalena ed infine l'Albergo di Campo Imperatore sul Gran Sasso, a duemila metri d'altezza raggiungibile solo per funivia. 

Cinque minuti dopo aver congedato Mussolini, il Re convoca Badoglio il quale, dopo aver atteso nel pomeriggio giocando a bridge e festeggiato con una bottiglia di champagne, giunge dal sovrano con la lista dei ministri che devono formare il nuovo Governo. 

Sulla carta è un governo composto da funzionari, militari e diplomatici, in realtà si tratta di persone tutte già operanti sotto la bandiera del Regime. Completamente assenti personalità che avevano avversato in precedenza il fascismo, che comunque, nella caduta di Mussolini non avevano svolto alcun ruolo. 

Alle ore 22,45 del 25 luglio dai Microfoni dell'E.I.A.R. viene diffuso via Radio un messaggio d'agenzia: 

Attenzione! Attenzione! Sua Maestà il Re Imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di Capo del Governo, Primo Ministro e Segretario di Stato, presentate da Sua Eccelenza il cavalier Benito Mussolini e ha nominato Sua Eccellenza il Cavaliere Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio. 

VOCI DI FOLLA 

… Sveglia… sveglia… è finita! Hanno arrestato Mussolini… A morte Mussolini… abbasso il fascismo… Viva il Re!.. Viva Badoglio!! 

Nelle grandi città la gente scende in piazza spontaneamente e ovunque vengono rimossi i simboli del Fascismo, s'inneggia al Re e vengono bruciati i ritratti di Mussolini.. ovunque scalmanati si gettano su chi ha il distintivo all'occhiello, glielo strappano, lo gettano in terra, lo calpestano al grido di "Via la Cimice!".. si canta l'inno di Mameli e si sventolano tricolori con l'emblema sabaudo... si svuotano le sedi del partito fascista e si danno alle fiamme i gagliardetti.. persino la sala del Mappamondo di Palazzo Venezia a Roma viene invasa.. 

In qualche città vengono liberati, su pressione di alcuni gruppi, i prigionieri politici antifascisti.. e, con loro grande stupore, si scoprono esigua minoranza rispetto all'antifascismo dilagante… In generale, però, il clima è più d'allegria che di vendetta.. è diffusa la convinzione che la caduta di Mussolini determini la fine della guerra. 

La sera del 26 luglio 1943, l'addetto militare dell'ambasciata tedesca di Roma, il generale Von Rintelen, trasmette a Berlino: 

Dopo 24 ore, in giro, del fascismo non si vede più nulla…


domenica 27 maggio 2018

EL ALAMEIN E DINTORNI

Dall'altra parte dei reticolati, al di là dei campi minati, il generale Montgomery aveva radunato un esercito di 220.000 uomini, con 1.100 carri, di cui 270 Sherman americani appena usciti dalle catene di montaggio e nell'aria aveva il dominio incontrastato dell'aviazione. Di fronte gli italo-tedeschi schieravano 108.000 mila soldati, per lo più provati da mesi di combattimenti e logorati da avanzate senza sosta nel deserto, poco più di 400 carri armati, di cui solo 30 di nuova produzione tedesca, in grado di competere con gli Sherman americani ed i Crusaders inglesi. 
Quando, alle 21.40 del 23 ottobre 1942, il cielo del deserto fu improvvisamente illuminato dalla più grande tempesta di fuoco che sino ad allora si fosse vista, fu solo l'incredibile ardimento con cui i nostri soldati si opposero allo strapotere nemico e la prundenza con cui Montgomery condusse l'offensiva, ad impedire che in pochi giorni tutta l'armata italo-tedesca fosse distrutta. 
Solamente il 4 novembre Hitler acconsentì la ritirata, per mettere in salvo quel poco che ancora rimaneva dell'armata… rimasero sul pietrisco di El Alamein 5.500 soldati italiani, 3.500 tedeschi e 5.000 inglesi… caddero prigionieri dell'esercito britannico 35.000 uomini.
Le nostre divisioni di fanteria Bologna, Pavia e Brescia, la divisione corazzata Ariete e quella di paracadusti Folgore, vennero praticamente annientate; in particolare quest'ultima, partita da Tarquinia forte di 5.000 uomini, il 7 novembre, giorno della resa conta 32 ufficiali e 262 militari di truppa.

L'11 novembre a battaglia conclusa, la BBC, via radio in Inghilterra trasmette che:

I resti della divisione italiana Folgore hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane...

Un cippo lasciato dai nostri bersaglieri sul campo di battaglia dice: " Mancò la fortuna, non il valore – Alessandria 111 Km."… oggi sappiamo che non fu né mancanza di fortuna, né di valore… bensì di mezzi, carburanti, munizioni e viveri… ma probabilmente già allora lo sapeva più di qualcuno.

ITALO

… ci hanno ordinato di resistere o morire… abbiamo resistito come disperati per salvare la pelle… e adesso ci ordinano di ritirarci nel deserto… per 1.500 km indietro… a piedi, maledetti piedi… senza cibo, senza nulla…Ma che ne sa il comando a Tripoli di quello che c’è qui, di quello che c’è stato qui? … Ieri ci ha sorpassato una colonna di camion pieni di camerati tedeschi anche loro in fuga.. sapete com’erano targati quei mezzi? R.E.: Regio Esercito… abbiamo cercato di fermarli.. di farci caricare… ci hanno sorpassati e qualcuno persino ci ha sparato addosso… Non abbiamo neanche avuto il tempo di realizzare, che subito ci hanno mitragliati dal cielo gli Spitfire inglesi… Eppure nessuno si ferma… tutti indietro come disperati verso ovest..

Le sorti del conflitto in Africa furono segnate: iniziò una gigantesca e drammatica ritirata, che portò i resti di quell'armata in Tunisia, dove 6 mesi dopo, nel maggio del 1943, si arrese all'accerchiamento di inglesi ed americani, nel frattempo sbarcati nel novembre del 1942 in Marocco ed Algeria.

La campagna d'Africa si era conclusa con la cattura in Tunisia di 250.000 nostri soldati; complessivamente le forze italo-tedesche persero 1 milione di uomini, tra morti, feriti e prigionieri, 8 mila aerei, 6.200 cannoni, 2.500 carri armati, 70 mila veicoli e 2 milioni e mezzo di tonnellate di naviglio mercantile.

martedì 22 maggio 2018

STALINGRADO E DINTORNI

Ormai il grande bluff era finito e dalla Russia nell'inverno 1942/1943 arrivarono notizie, se possibile, ancora più catastrofiche: il 19 novembre 1942, con il termometro che segnava – 20°, l'Armata Rossa era passata alla controffensiva su tutto il fronte del Don ed aveva intrappolato in una sacca tutta le forze tedesche che combattevano a Stalingrado: in totale 320.000 uomini accerchiati. 
Quella battaglia rimane nella storia come uno dei maggiori olocausti militari che l'umanità abbia mai conosciuto; si calcola che per rifornire l'Armata accerchiata si debbano trasportare via aerea 750 tonnellate di materiale al giorno, mentre di fatto nelle giornate migliori i rifornimenti effettivi non arrivano che a 90 tonnellate e nonostante questo Hitler si rifiuta di ordinare alla sua armata di rompere l'accerchiamento e di ritirarsi, condannandola così ad un terribile destino. 
I primi giorni di gennaio del 1943 vedono ridursi la razione di viveri disponibile per ciascun soldato tedesco a 75 grammi di pane, 12 di zucchero, 11 di grassi ed una sigaretta, mentre il 20 gennaio si decide di macellare tutti i cavalli dell'armata. 
La temperatura è scesa a – 40° ed i feriti non curabili e da evacuare salgono ad 80 mila… l'ultima settimana di gennaio ormai mancano completamente i viveri, 50 mila feriti giacciono senza speranza negli scantinati della stazione ferroviaria e del teatro di una città ridotta ad un cumulo di macerie fumanti, con le sembianze di vero e proprio girone infernale… i morti, per il terreno gelato e durissimo, non vengono più neppure seppelliti, né i loro nomi registrati… 

LETTERE DAL FRONTE 

Io dispongo soltanto di tre colpi ancora e sparare contro i carri armati non è come giocare a biliardo. Nella notte però piango senza ritegno come un bambino… cosa avverrà ancora? 

Non sono mai stato un soldato, ho sempre portato l'uniforme. Cosa ne ho ricavato? Cosa ne hanno ricavato gli altri, che non si sono rivoltati, che non hanno paura? Cosa ne riceviamo dalla morte eroica? 

Mio Dio, perché ci hai abbandonato? 


Il 2 febbraio 1943, nel primo pomeriggio, un aereo da ricognizione tedesco sorvola Stalingrado e trasmette che non si osserva nessun combattimento in corso: il generale Von Paulus, comandante della VI armata germanica, contravvenendo ancora al volere di Hitler, ha finalmente ordinato la resa ai suoi soldati. Da quel momento l'avanzata russa si sarebbe fermata solamente nel maggio del 1945, tra le macerie di un'altra città: questa volta era Berlino. 

Dei 320.000 tedeschi di Stalingardo 140.000 sono morti per ferite, fame, freddo e malattie, 20.000 risultano dispersi, 70.000 feriti ed evacuati; 90.000 vengono catturati dai sovietici ed avviati ai campi di prigionia: solamente 5.000 negli anni '50 potranno ritornare vivi nel loro paese. 

Non molto diverso fu il destino delle nostre truppe, diventate nell'estate del 1942 una vera e propria armata, per l'invio al fronte di altre divisioni che avevano portato così la nostra forza a 220.000 soldati e 9.000 ufficiali. 

I nostri reparti, schierati a difesa del fronte del Don, furono investite in novembre dalla controffensiva sovietica che costrinse le nostre truppe ad un drammatico ripiegamento: per 12 giorni ed undici notti i nostri soldati percorreranno 250 km a piedi tra la neve alta, con la temperatura costantemente a 30° sotto zero, con una marcia media di 16 ore al giorno, sotto il fuoco nemico e l'attacco dei partigiani russi. 

Questa colonna di uomini ridotti a fantasmi, che formava una biscia nera lunga una quarantina di km in movimento verso ovest, riuscì il 26 gennaio a superare con la forza della disperazione, a Nikolajevka, lo sbarramento sovietico e a portarsi in salvo.


giovedì 17 maggio 2018

ALCUNE INFORMAZIONI SUL POPOLO RUSSO 1941/1945

Terminata la fase iniziale dell'offensiva germanica, dove nei villaggi ucraini i tedeschi venivano accolti quasi come liberatori, il popolo russo fa fronte con grande tenacia ed in modo compatto nella lotta contro l'invasore; 150.000 studenti e mezzo milione di casalinghe entrano nelle fabbriche, si aboliscono le ferie e si impongono 3 ore al giorno di straordinario… durante il conflitto 120 milioni di russi consumeranno meno beni di consumo di 48 milioni di inglesi e ogni russo riceverà un terzo del grasso, della carne e dello zucchero di un suddito di Sua Maestà.
La guerra provoca una seconda rivoluzione industriale e costringe il Paese ad affrontare sforzi produttivi ritenuti impossibili: in 5 giorni vengono smontati impianti industriali e trasferiti su carri ferroviari a centinaia di km di distanza, mentre migliaia di operai si spostano anche di 30 km al giorno per raggiungere le stazioni più vicine.
La pausa invernale permette di raddoppiare il numero delle divisioni, vengono chiamati alle armi le classi dal 1905 al 1918, si producono 4.550 nuovi carri armati, 3000 aerei, 4000 cannoni e 50 mila mortai: si sta formando l'esercito e l'aviazione più potente del mondo, animato senza precedenti dalla propaganda di Regime ad una lotta patriottica per la salvezza della Patria e del Socialismo.
Lo stop alle operazioni belliche imposto dalle proibitive condizioni climatiche invece ha un duro effetto sul morale e sulle forze degli eserciti invasori, che contano 100.000 congelati, di cui 2.000 da amputare sul posto.
In quel vero e proprio inferno dei vivi, il nostro contingente, essendo stato coinvolto fino ad allora in pochi scontri di retrovia, ha appena saggiato in quale tragedia sia stato scaraventato ed incomincia ad apprendere con chiarezza l'entità del dramma solo al momento dell'arrivo del "Generale Inverno"…

venerdì 4 maggio 2018

KAIROS CHE SFIDA KRONOS

Sono nata a in un piccolo villaggio nei dintorni di Sušice, nella regione di Pilsen, nell’ottobre del 1918 e ho passato l’infanzia, l’adolescenza e sono diventata donna in quell’incendio pronto a divampare che furono i Sudeti tra la nascita della Cecoslovacchia e l’annessione alla Germania nazista a seguito del patto di Monaco nel 1939. Mia madre proveniva da una famiglia di etnia tedesca che viveva in quel villaggio da almeno tre secoli, mentre mio padre era ceco e parte di una famiglia ceca che si era stabilita a Sušice, da almeno tre secoli, come amava dire lui: “se non altro per non essere da meno della famiglia di mia moglie”! 

"Sušice? La capitale mondiale dei fiammiferi? Mi hanno riferito di una leggenda secondo la quale non c’è credenza al mondo che non contenga una scatola di fiammiferi prodotta dalle fabbriche della ditta Solo di Sušice …Mi pare il posto meno indicato per vivere, specialmente se ti trovi vicino ad un rogo che ha bisogno solo di essere acceso!" 

Aranka mi fissò negli occhi con severità e per un attimo che mi sembrò non finisse mai, mi sentii un perfetto idiota; stavo per chiederle scusa quando la donna, avvertendo il mio disagio, appoggiò la testa sulla mia spalla e incominciò a sorridere…

"Che potevo aspettarmi da un italiano come lei, che per campare fa l’ingegnere e nel tempo libero scrive articoli per il giornale della sua città! E che, potendoselo permettere, invece di andare in vacanza in Polinesia, viene qui a Praga a cercare storie nascoste da una donna con l’anima morta… Eppoi ha ragione sa? Non era né il posto né il momento giusto per nascere… ma questa è una cosa che né noi, né nessuno prima o dopo di noi ha facoltà di decidere." 

Replicai: "Venire al mondo è un po’ come essere al ristorante con la facoltà di scelta limitata al menù fisso del giorno."

"Vorrebbe farmi intendere che il nostro libero arbitrio è limitato alla possibilità di farci piacere o meno, quello che ha deciso di proporci il cuoco? Guardi che se è così, il cuoco che preparò il mio menù fu molto poco ispirato, credo che abbia usato i peggiori avanzi… 
Dopo che per secoli tedeschi e cechi nei Sudeti avevano convissuto più o meno amichevolmente quali sudditi degli Asburgo, con la nascita della Cecoslovacchia lo spirito di rivalsa dell’etnia ceca ebbe la meglio sulla ricerca di conservazione di quella tedesca, divenuta di colpo minoritaria all’interno di un nuovo stato governato ora dai cechi e non più dall'elité parlante la lingua di Goethe. Mio padre ripeteva spesso, con un gusto dell’ironia simile al suo, che la mia nascita, avvenuta nello stesso mese di quello della nuova Repubblica Ceco-slovacca, gli aveva sconvolto per sempre l’esistenza." 

"Posso immaginare che l’aria in famiglia incominciò a farsi avvelenata"  le dissi senza nascondere la tristezza che iniziava a salirmi dal profondo.

"Immagina male mio caro… i miei genitori si amavano per davvero; un matrimonio misto, in ogni epoca, è sempre una percorso ad ostacoli che solo per essere celebrato mette a dura prova i sentimenti dei promessi sposi. Quello che incominciò a farsi avvelenata fu l’aria che respiravo fuori dalla famiglia: le due etnie incominciarono a chiudersi in sé, a tagliare piano piano ma inesorabilmente i rapporti nella vita quotidiana: i tedeschi vivevano l’incubo di essere esclusi e di perdere i privilegi di un tempo mentre i cechi con l’ossessione di recuperare il tempo e le posizioni sociali perdute a vantaggio dei tedeschi, ora che avevano in mano le redini del potere statuale. Io non riuscivo a capire, nella mia ingenua gioventù, il motivo di tanto livore… sin da bambina avevo appreso naturalmente entrambe gli idiomi, così come i miei genitori parlavano tra di loro talvolta in ceco, talvolta in tedesco. Pensi che quando si dovette decidere quale scuola dovessi frequentare, fu mia madre ad insistere perché mi iscrivessi alla scuola ceca e quindi a fare in modo che quella diventasse la mia prima lingua."

Aranka si fermò quasi per riprendere il fiato, o piuttosto il coraggio per proseguire, appoggiando di nuovo la testa sulla mia spalla, stringendosi più forte verso me; dalla strada, intanto, la scena di noi due abbracciati da più di un quarto d’ora immobili sul terrazzo, incominciò a non passare inosservata e qualcuno incominciò, tra sorrisi compiaciuti e divertiti, a manifestare sonoramente la sua approvazione. Sempre più forti erano il mio imbarazzo e la mia inquietudine per quella conversazione e per quel contatto che stavano diventando qualcosa di surreale, mentre lei sembrava non curarsi di tutto ciò e come in trance, riprese a sussurrarmi all'orecchio:

"Le cose precipitarono con l’avvento del nazismo nella vicina Germania; nacque così anche tra l’etnia tedesca dei Sudeti il partito nazista ed iniziarono le manifestazioni, di volta in volta più rabbiose e violente, per l’annessione al Reich ed anche le prime azioni contro gli ebrei che vivevano nella zona. La polizia ceca reagiva blandamente, con molta cautela, timorosa e preoccupata di fornire al potente vicino qualsiasi pretesto per intervenire militarmente a difesa dei Sudeten Deutsch. Nonostante tutto questo posso dire che quelli, paradossalmente, furono gli anni più belli della mia vita: ero una bella ragazza piena di vita, iniziavo a scoprire il mio corpo ed entrai in quello stato di perfetta simbiosi tra corpo, anima e mente che è l’innamoramento… Capisce vero di cosa sto parlando? Lei non è mai stato innamorato per davvero? "

"Non lo so, ma se continua così, temo che sarò costretto ad innamorarmi di lei… visto che di solito faccio fatica a coordinare testa e gambe… continui la prego! "

Lei è proprio buffo sa?... io non posso che augurarle di aver provato in vita sua quello che provai io tra il 1937 ed il marzo 1939… trent’anni fa.. quando mi innamorai di Luboš…"

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