martedì 25 giugno 2019

NOTTI MAGICHE ANTE LITTERAM





25 giugno 1983 – Arrivo al campo mezz’ora prima del fischio d’inizio, di corsa dopo essere riuscito a fuggire da una riunione familiare in cui si festeggiavano gli 80 anni del nonno materno e lo spettacolo che mi attende mi toglie il fiato: le gradinate intorno al recinto di gioco sono già gremite in ogni ordine di posto e gente continua ad arrivare. Ci saranno non meno di 300 persone! Entro negli spogliatoi e i compagni di squadra, già cambiati, mi rimproverano per il ritardo; la tensione è palpabile: vogliamo vincere a tutti i costi ma sappiamo anche che l’avversario, il “Ricreatorio” è sulla carta più forte di noi. Luca Pascolini in porta non è un fenomeno, ma garantisce bene l’essenziale che ci si può attendere da un portiere, ovvero quello di non prendere i goal facilmente evitabili. Per i miracoli ci pensa la linea difensiva, costituita da due satanassi che avrebbero fatto colpo sicuro sul Paròn Nereo Rocco: non ti mollano per un attimo e non si fanno scrupoli a colpire le tue caviglie quando non riescono a prendere il pallone; Stefano Tomasin e Franco Bassetti, erano anche abili nel partecipare all’azione offensiva, sganciandosi in avanti nei tempi giusti e a costruire gioco partendo dalla difesa. Sono la garra fatta persona. In mezzo al campo domina indiscutibilmente il più forte giocatore del torneo: Albano Meroi, il loro capitano. Potenza fisica straripante, visione di gioco, carisma inarrivabile, tecnica individuale eccellente e tiro al fulmicotone. E grinta da vendere. Alla sua destra giostra Marino Simonellig, ala veloce e dal dribbling fatale nello stretto, mentre alla sua sinistra si muove il più giovane di tutti, ma assai promettente, Giuliano Miani, altra ala dotata di gran tiro e capace di vedere molto bene la porta. Terminale d’attacco Pierluigi Sergio, nostro compagno nella Cividalese Allievi, non molto mobile, ma sempre pronto a mordere come un cobra in area di rigore e a castigare il minimo errore difensivo. Tallone d’Achille dei nostri avversari è la panchina troppo corta e non all’altezza dei titolari, dove siedono solo Bob Dressi e Carletto Nobile, il più forte play maker che il basket della città ducale abbia mai prodotto – ma fortunatamente stasera si gioca con i piedi. Noi invece siamo l’ossatura della Cividalese Allievi che nell’ultima stagione ha vinto il campionato zonale con l’aggiunta del miglior portiere di tutti i campetti: “Franco Tancredi” Pierluigi Panetta.

Fabrizio Titti Filippig, Manfredi Manbrady Bront, Stefano Jo Pace, Marco Zippo Lanzutti formano la difesa, Paolo Uzzo Dorliguzzo, Luca ‘Canta Cantarutti scorazzano a metà campo, Albano Gallo Dorlì si muove tra il centrocampo e l’attacco e io, Beppe per i compagni ma Bepi per il nostro allenatore Renato Tuzzi detto il Trap, cerco di finalizzare l’azione in avanti. Durante il riscaldamento non riesco a capire se è più forte la tensione per la paura di perdere o per la voglia di vincere o l’eccitazione per il clima elettrico che arriva dagli spalti e si trasferisce in campo. La nostra idea è quella di affrontare la partita sulla difensiva, chiudendo tutti gli spazi con attenzione, ruotare spesso chi è in campo con chi è in panchina per garantirci maggiore freschezza e sfruttare il vantaggio di poter contare su di una panchina più lunga rispetto a loro. Ogni volta che recuperiamo la palla l’ordine del giorno è quello di farla arrivare al Gallo che poi potrà scegliere se liberare il suo sinistro di Dio per scagliare i suoi missili dalla distanza oppure servirmi in profondità se sarò riuscito a smarcarmi nei pressi di Luca Pascolini. Per quanto mi riguarda il mio compito sarà quello di fare movimento continuo per portare via i difensori, liberando lo spazio per i Cruise del Gallo e di essere pronto a ribattere in rete eventuali respinte del portiere. Idee chiare e voglia di vincere. Ce la possiamo fare. Ce la vogliamo fare e il pubblico sembra essere meglio disposto verso di noi con i suoi incitamenti. Si parte. Come tutte le finali la tensione la fa da padrona nelle prime mosse, con loro che, dopo una fase di studio, prendono sollecitamente in mano le operazioni e il possesso palla, mentre noi diligentemente cerchiamo di attuare il piano tattico deciso prima della partita, alzando le barricate. Pochi palloni arrivano al Gallo e ancor meno ne vedo io davanti. A metà del primo tempo il nostro fortino salta già in aria: punizione indiretta a metà campo che Albano Meroi tocca velocemente per Giuliano Miani appostato sull’estrema sinistra, mentre Titti si fa incontro per chiudergli lo spazio, Giuliano sposta velocemente la palla sul sinistro e ancora più velocemente fa partire un tiro violento a fil di cemento, a incrociare da sinistra, che va sbattere contro la base del palo destro della nostra porta per terminare la sua corsa in rete, lasciando immobile Tancredi Panetta, in grado solo seguire con la coda dell’occhio la traiettoria della palla. Siamo sotto e accusiamo il colpo. I piani iniziali sono saltati e finiamo il primo tempo sotto di un goal, con gli avversari che hanno in pugno la partita, senza aver rischiato nulla; io ho corso poco e per lo più a vuoto, senza praticamente vedere palla.

Durante l’intervallo tutto il gruppo in panchina discute su cosa fare. C’è chi vorrebbe alzare un difensore sulla linea mediana per far avanzare il Gallo più vicino alla porta e chi invece propende per mantenere inalterato l’assetto e l’idea iniziale per evitare lo 0-2 che taglierebbe le gambe, per buttarsi eventualmente tutti in attacco gli ultimi 10 minuti, nel caso non si riesca a pareggiare prima con azioni di rimessa. Si discute animatamente, vuol dire che siamo vivi e non ci siamo arresi, nonostante il pessimo primo tempo. Alla fine la decisione è presa: si torna in campo con la tattica iniziale e se nei primi 10 minuti le cose non cambiano, si attua subito l’idea di avanzare il Gallo, con un forcing collettivo nel finale se neanche questa modifica porterà al pareggio. In ogni caso, tutti rinnovano la volontà di dare tutto quello che resta nell’ultima frazione di gioco. Inizia la ripresa, con i nostri avversari che paiono voler controllare la partita, probabilmente stanno pagando il fatto di non aver dato fiato agli uomini campo. Noi prendiamo coraggio e incominciamo a farci vedere di più dalle parti di Luca Pascolini, il che fa aumentare ulteriormente la motivazione e la voglia di provarci fino in fondo. A metà della ripresa, il Gallo finta un tiro dalla distanza e invece allunga il pallone verso la linea di fondo sul lato sinistro dell’attacco, Marino Simonellig abbocca alla finta, e il Gallo, ora anticipando la chiusura di Franco Bassetti, mette in mezzo un pallone rasoterra che taglia l’area di rigore. Stefano Tomasin è superato e Luca Pascolini è rimasto fermo sulla linea di porta vicino al palo. Io, che ho seguito l’azione con un attimo di ritardo, riesco ad arrivare smarcato sul pallone ma devo andare in spaccata per riuscire a impattare la sfera e riesco sì a colpirla con forza ma purtroppo senza precisione, mandandola a sbattere contro il portiere, con il resto della porta spalancata. Avrei voluto morire. Avevo fallito l’unica, facile, occasione che avevamo creato in tutta la partita. Mi rialzo, sento l’urlo di disappunto del pubblico e vedo i volti delusi e arrabbiati dei miei compagni. Jo Pace, dalla nostra difesa mi urla, giustamente, di andare a cagare. Vorrei morire una seconda volta. Sento contemporaneamente salire dal fondo dello stomaco un’ondata di calore, fortissima. È rabbia! Il Ricreatorio sembra scuotersi per il passato pericolo e incomincia di nuovo a attaccare con forza, come nel primo tempo, in cerca del 2-0 che chiuderebbe definitivamente i giochi. A 10’ dal termine la tattica iniziale ci ripaga: siamo schiacciati nella nostra area a difesa di Tancredi, a parte me, circondato a metà campo da Tomasin e Bassetti. Si crea una mischia furibonda con il pallone che arriva al Gallo, al limite della nostra area, e lui senza pensare troppo la rinvia veloce rasoterra verso il centro del campo; questa volta sono riuscito a indovinare in anticipo come si sarebbe sviluppata l’azione e che direzione avrebbe preso la palla e riesco così a anticipare i due satanassi, portando avanti il pallone con il destro, passandogli in mezzo. I due hanno un lieve contatto tra loro, sufficiente a fargli perdere terreno e rallentare mentre io, palla al piede, leggermente spostato verso l’out di destra, posso correre libero, bello e incredulo verso la porta difesa da Luca Pascolini, con i satanassi che cercano di riprendermi. È straordinaria la capacità che ha il nostro cervello di elaborare tante informazioni e di gestire utilmente le emozioni in frazioni di tempo così limitate; dal momento in cui mi sono reso conto di aver superato i due difensori, lanciandomi di corsa verso la porta, e il momento in cui ho fatto partire il tiro saranno passati al massimo 3 o 4 secondi. In quel lasso di tempo il fuoco della rabbia per il goal mangiato prima aveva attivato i miei muscoli per correre sempre più veloce e mentre mi avvicinavo al portiere che, venendo verso di me per chiudermi lo specchio di tiro diventava sempre più grande, la paura di sbagliare rendeva le dimensioni della porta sempre più piccole.

Decidere quanto avvicinarsi ancora alla porta controllando bene la sfera prima di tirare, scegliere come e dove indirizzare la palla in base alla posizione e ai movimenti del portiere, dosare la forza con cui calciare il pallone, raccogliere tutte le informazioni utili alle decisioni e il tutto in mezzo agli scossoni emotivi provocati dalla paura di sbagliare e di deludere ancora i compagni, dalla rabbia per l’errore precedente e dal desiderio di riscossa. Con i due satanassi già ormai prossimi alle mie caviglie e il portiere quasi tra i miei piedi. E allora? E allora, come guidato da comandi invisibili che arrivano dal cuore, ho chiuso gli occhi e ho calciato continuando la corsa, per riaprirli dopo il calcio e vedere i due satanassi sbattere contro Luca Pascolini e la palla andare rasoterra a infilarsi in rete, nell’ angolino vicino al palo opposto a quello di tiro. Ero ancora vergine e non conoscevo i piaceri del sesso. A distanza di molti anni, avendo colmato la lacuna esperienziale, posso dire che quello che provai dopo quel goal, emotivamente e sensitivamente, gareggia bene con i migliori orgasmi provati con le donne di cui mi sono innamorato. L’urlo del pubblico, tutti i compagni che mi rincorrevano festanti e mi saltavano in groppa, persino Tancredi Panetta, che era partito di corsa dalla sua porta urlando la sua gioia con le braccia in alto e pugni chiusi. Mi sembrava di essere nato una seconda volta, dopo aver conosciuto la morte 10 minuti prima.

Uno a uno e palla al centro. Non eravamo morti. Eravamo vivi e in corsa per vincere la finale! Il pareggio ha moltiplicato le nostre forze e adesso gli avversari sembrano preoccuparsi di non venire beffati, visto che la fine dei tempi regolamentari è vicina. Tempo supplementare. La nostra tattica di partenza sembra dare i suoi frutti perché i nostri cambi frequenti ci rendono ancora più freschi rispetto al Ricreatorio, che pur mantenendo sempre il comando delle operazioni non riesce più a rendersi pericoloso e facilita il nostro contenimento.

A metà dell’overtime, improvvisamente, arriva il siluro che pare affondarci definitivamente; l’ennesima mischia nella nostra area termina con un pallone allontanato dalla difesa e finisce sulla tre quarti, tra i piedi di Albano Meroi, che la stoppa e tira senza rincorsa. Non è un gran tiro, Albano ha calciato in fretta senza dare potenza, ma s’infila in mezzo ad una selva, con Pierluigi Sergio capace di ingannare Tancredi, aprendo le gambe all’ultimo momento facendo passare un pallone altrimenti innocuo e che invece conclude la corsa in rete. 2-1. Sensazione di gelo. Di nuovo la morte. Tancredi immobile in mezzo alla porta, tutti gli altri compagni come statue in silenzio, a parte Jo Pace in mezzo all’area a smoccolare e a grandi gesti invitare tutti a scuotersi e a portare in fretta il pallone a centrocampo. Sembra finita. Mancano 5’ al termine e fino all’ultimo giro di lancette non succede molto, a parte qualche nostro tiro velleitario scagliato da lontano più per disperazione che per convinzione. All’ultimo respiro ‘Uzzo, uno dei meno logorati dalla battaglia si lancia sulla fascia destra, guadagna il fondo superando in velocità Giuliano Miani e crossa indietro un pallone mezza altezza, al limite dell’area di rigore, per il Canta. Stop di petto e senza guardare tiro immediato di contro balzo, con la palla che con traiettoria dal basso verso l’alto centra il sette alla sinistra di Luca Pascolini. 2-2!!! Boato del pubblico e il Canta che viene sommerso dal mucchio selvaggio! Non si riprende neanche a giocare: Enrico Mosconi, l’arbitro della serata, fischia la fine e rimanda il verdetto ai calci di rigori.

L’aria è elettrica, il pubblico rumoreggia e noi siamo ancora ebbri di gioia, ma dobbiamo subito ritrovare la concentrazione per l’ultimo atto, quello più crudele, quello che difficilmente permette di recuperare gli errori. Bisogna decidere i rigoristi e tutti, a parte Mambrady, si dicono disponibili. Alla fine questo sarà l’ordine: Zippo, Beppe/Bepi, Jo, ‘Uzzo e ultimo il Gallo, il migliore dei nostri, infallibile dal dischetto. Si parte.

Iniziano loro. Miani: 1-0; Zippo: 1-1; Sergio: 2-1; tocca a me. Il tratto dalla metà campo al dischetto è come la strada che in aula ti separa dal banco alla cattedra del professor Favoni, quando ti ha appena chiamato per un’interrogazione a sorpresa di matematica: da un lato cerchi di andarci il più piano possibile per allungare il tempo e tenere lontano il pericolo e le conseguenze dei possibili errori, mentre dall’altro vorresti aumentare il passo per toglierti di dosso al più presto quel macigno dal cuore esorcizzando la paura. Penso che non possiamo perdere, non avrebbe senso. Abbiamo pareggiato due volte, di cui la seconda all’ultimo istante. Ho già segnato il goal del primo pareggio alla faccia dei satanassi. Non sbaglierò. Prendo il pallone color giallo, lo porto a me come fosse la mia ragazza e lo bacio. L’ho visto sempre fare a Le Roi Michel Platinì, se lo fa lui, lo posso fare anch’io. Prendo la rincorsa e prima di partire decido in anticipo come e dove tirare. Non guarderò il portiere, penserò solo a mandare il pallone come e dove ho deciso, più forte che posso, se poi lui intuisce e riesce a prenderlo, bravo lui. Il cuore batte all’impazzata. Parto, è come lanciarsi dal salto dell’Edera, il punto più alto da cui ci si tuffa d’estate nel Natisone. Non si torna indietro. Calcio di piatto destro, forte a 10 cm dal suolo alla sinistra di Luca Pascolini che intuisce, ma non ci arriva. Goal! 2-2! Adesso mi sento leggero come una piuma e sorridente ritorno a metà campo, tra i miei compagni che mi abbracciano. Con sollievo, ma ancora con tensione. Siamo in perfetta parità e ancora tutto può succedere. E perdere adesso sarebbe tremendo. La lotteria dei rigori riprende. Franco Bassetti: 3-2; Jo Pace: 3-3; Albano Meroi: 4-3; ‘Uzzo: 4-4. Ultimi due della serie. Va al tiro Marino Simonellig. Tiro lento a mezz’altezza, Tancredi Panetta intuisce e respinge. È fatta!!! Lo pensiamo tutti e ci abbracciamo già come se avessimo vinto! Il Gallo Dorlì è il nostro infallibile rigorista, l’unico su cui avremmo puntato tutti i risparmi a occhi chiusi. La scelta di lasciarlo per ultimo sembra essere stata l’ennesima buona stella della serata. Siamo tutti pronti a scattare quando il Gallo parte per il tiro. Insolita rincorsa per lui. Lenta e incerta. Infatti scocca un dardo fiacco a mezz’altezza con facile parata del portiere, una fotocopia dell’errore di Marino Simonellig. Il Gallo è stato tradito dall’emozione, ha avuto il braccino corto del tennista al primo match point. Restiamo immobili. Come statue. Siamo tutti increduli per quello a cui abbiamo assistito, mentre il Gallo, consolato da Jo Pace in silenzio e a testa bassa ritorna verso di noi. Fortunatamente non c’è modo di rimanere a lungo in quella situazione emotiva: la lotteria riprende a oltranza e tutta l’attenzione adesso si sposta di nuovo sul patibolo del dischetto. Ci va per il Ricreatorio Bob Dressi: tiro forte e 5-4. Tutto il peso adesso è sulle spalle del Canta, che, al contrario del Gallo, non viene tradito dai nervi e calcia in porta il 5-5. Sembra proprio non finire mai. Il pubblico, che alla fine probabilmente è salito a 400 persone, di cui molte ora seguono dietro la porta, assiste con grande partecipazione emotiva. La tensione sale, se possibile, ancora di più.

Ora è il turno di Carletto Nobile. Lunga rincorsa, tiro forte ma centrale, Tancredi non sé mosso e respinge agevolmente la palla. Per fortuna non era una gara di tiri liberi a basket! Nuovo match-point per noi e se ne deve far carico Mambrady Bront, l’ultimo rimasto, l’unico che non voleva mai calciare i rigori e non lo faceva neanche nelle partitelle di allenamento. Questa volta non ha scelta. Non dice niente a nessuno, va con passo svelto verso il dischetto, prende la palla, la posiziona altrettanto velocemente. Lunghissima rincorsa. Tiro forte di piatto sinistro, a mezz’altezza, portiere da una parte e a pallone in rete dalla parte opposta. 6-5!! Game over!! Abbiamo vinto!!

E da lì in poi scene che in sedicesimo ripetevano quelle viste in TV l’estate prima per la finale Mundial di Madrid, vinta dagli azzurri di Enzo Bearzot. A premiarci non c’era Re Juan Carlos ma l’Assessore allo Sport del Comune di Cividale Giovanni Sale e la coppa che ci consegnò davanti a tutto il pubblico non era la coppa del mondo; ma a differenza di questa, la nostra era fatta in modo tale da poter essere riempita di spumante che a turno bevemmo tra canti, salti e abbracci, prima di lasciare il campo per tornare a casa prima della mezzanotte invece di andare a fare baldoria a Lignano per tutta la nottata. Quello era il sogno. La realtà è che eravamo negli anni ’80 ed eravamo tutti minorenni.

GIOIA e DELUSIONE. Forse quella sera ho capito la differenza in profondità, vincendo in quel modo insperato e romanzesco il grande torneo notturno che ero riuscito ad organizzare. La gioia era la sensazione indescrivibile di soddisfazione per aver raggiunto una cosa da sempre desiderata e che stava per sfumare senza apparente rimedio. Guardando invece in faccia gli avversari, sconfitti nel momento in cui la vittoria desiderata sembrava essere al sicuro nelle loro mani, capii a fondo cos’era la delusione. Osservando bene le loro facce scure e inespressive, la gioia dentro di me saliva ancora di più: avevo allo specchio quello che mi poteva capitare e che per merito e fortuna invece non mi è era successo.

lunedì 10 giugno 2019

NOTTURNO 1983

24 giugno 1983 – Dopo una splendida giornata a Grado arrivo al campo giusto in tempo per assistere alla finalina del ¾ posto del grande torneo notturno di calcio a 7 che sono riuscito ad organizzare sulla pista di pattinaggio annessa al campo sportivo comunale. Che bei momenti, tanti giovani e meno giovani sugli spalti del “Martiri della Libertà”, gran tifo, gran finale ai calci di rigore con festosa invasione di campo al termine dell’incontro. E domani tocca alla mia squadra, che si batterà per il titolo!! Forza!!

25 giugno 1983 – Arrivo al campo mezz’ora prima del fischio d’inizio, di corsa dopo essere riuscito a fuggire da una riunione familiare in cui si festeggiavano gli 80 anni del nonno materno e lo spettacolo che mi attende mi toglie il fiato: le gradinate intorno al recinto di gioco sono già gremite in ogni ordine di posto e gente continua ad arrivare. Ci saranno non meno di 300 persone! Entro negli spogliatoi e i compagni di squadra, già cambiati, mi rimproverano per il ritardo; la tensione è palpabile: vogliamo vincere a tutti i costi ma sappiamo anche che l’avversario, il “Ricreatorio” è sulla carta più forte di noi. Luca Pascolini in porta non è un fenomeno, ma garantisce bene l’essenziale che ci si può attendere da un portiere, ovvero quello di non prendere i goal facilmente evitabili. Per i miracoli ci pensa la linea difensiva, costituita da due satanassi che avrebbero fatto colpo sicuro sul Paròn Nereo Rocco: non ti mollano per un attimo e non si fanno scrupoli a colpire le tue caviglie quando non riescono a prendere il pallone; Stefano Tomasin e Franco Bassetti, erano anche abili nel partecipare all’azione offensiva, sganciandosi in avanti nei tempi giusti e a costruire gioco partendo dalla difesa. Sono la garra fatta persona. In mezzo al campo domina indiscutibilmente il più forte giocatore del torneo: Albano Meroi, il loro capitano. Potenza fisica straripante, visione di gioco, carisma inarrivabile, tecnica individuale eccellente e tiro al fulmicotone. E grinta da vendere. Alla sua destra giostra Marino Simonellig, ala veloce e dal dribbling fatale nello stretto, mentre alla sua sinistra si muove il più giovane di tutti, ma assai promettente, Giuliano Miani, altra ala dotata di gran tiro e capace di vedere molto bene la porta. Terminale d’attacco Pierluigi Sergio, nostro compagno nella Cividalese Allievi, non molto mobile, ma sempre pronto a mordere come un cobra in area di rigore e a castigare il minimo errore difensivo. Tallone d’Achille dei nostri avversari è la panchina troppo corta e non all’altezza dei titolari, dove siedono solo Bob Dressi e Carletto Nobile, il più forte play maker che il basket della città ducale abbia mai prodotto – ma fortunatamente stasera si gioca con i piedi. Noi invece siamo l’ossatura della Cividalese Allievi che nell’ultima stagione ha vinto il campionato zonale con l’aggiunta del miglior portiere di tutti i campetti: “Franco Tancredi” Pierluigi Panetta. 

Fabrizio Titti Filippig, Manfredi Manbrady Bront, Stefano Jo Pace, Marco Zippo Lanzutti formano la difesa, Paolo Uzzo Dorliguzzo, Luca ‘Canta Cantarutti scorazzano a metà campo, Albano Gallo Dorlì si muove tra il centrocampo e l’attacco e io, Beppe per i compagni ma Bepi per il nostro allenatore Renato Tuzzi detto il Trap, cerco di finalizzare l’azione in avanti. Durante il riscaldamento non riesco a capire se è più forte la tensione per la paura di perdere o per la voglia di vincere o l’eccitazione per il clima elettrico che arriva dagli spalti e si trasferisce in campo. La nostra idea è quella di affrontare la partita sulla difensiva, chiudendo tutti gli spazi con attenzione, ruotare spesso chi è in campo con chi è in panchina per garantirci maggiore freschezza e sfruttare il vantaggio di poter contare su di una panchina più lunga rispetto a loro. Ogni volta che recuperiamo la palla l’ordine del giorno è quello di farla arrivare al Gallo che poi potrà scegliere se liberare il suo sinistro di Dio per scagliare i suoi missili dalla distanza oppure servirmi in profondità se sarò riuscito a smarcarmi nei pressi di Luca Pascolini. Per quanto mi riguarda il mio compito sarà quello di fare movimento continuo per portare via i difensori, liberando lo spazio per i Cruise del Gallo e di essere pronto a ribattere in rete eventuali respinte del portiere. Idee chiare e voglia di vincere. Ce la possiamo fare. Ce la vogliamo fare e il pubblico sembra essere meglio disposto verso di noi con i suoi incitamenti. Si parte. Come tutte le finali la tensione la fa da padrona nelle prime mosse, con loro che, dopo una fase di studio, prendono sollecitamente in mano le operazioni e il possesso palla, mentre noi diligentemente cerchiamo di attuare il piano tattico deciso prima della partita, alzando le barricate. Pochi palloni arrivano al Gallo e ancor meno ne vedo io davanti. A metà del primo tempo il nostro fortino salta già in aria: punizione indiretta a metà campo che Albano Meroi tocca velocemente per Giuliano Miani appostato sull’estrema sinistra, mentre Titti si fa incontro per chiudergli lo spazio, Giuliano sposta velocemente la palla sul sinistro e ancora più velocemente fa partire un tiro violento a fil di cemento, a incrociare da sinistra, che va sbattere contro la base del palo destro della nostra porta per terminare la sua corsa in rete, lasciando immobile Tancredi Panetta, in grado solo seguire con la coda dell’occhio la traiettoria della palla. Siamo sotto e accusiamo il colpo. I piani iniziali sono saltati e finiamo il primo tempo sotto di un goal, con gli avversari che hanno in pugno la partita, senza aver rischiato nulla; io ho corso poco e per lo più a vuoto, senza praticamente vedere palla.

Durante l’intervallo tutto il gruppo in panchina discute su cosa fare. C’è chi vorrebbe alzare un difensore sulla linea mediana per far avanzare il Gallo più vicino alla porta e chi invece propende per mantenere inalterato l’assetto e l’idea iniziale per evitare lo 0-2 che taglierebbe le gambe, per buttarsi eventualmente tutti in attacco gli ultimi 10 minuti, nel caso non si riesca a pareggiare prima con azioni di rimessa. Si discute animatamente, vuol dire che siamo vivi e non ci siamo arresi, nonostante il pessimo primo tempo. Alla fine la decisione è presa: si torna in campo con la tattica iniziale e se nei primi 10 minuti le cose non cambiano, si attua subito l’idea di avanzare il Gallo, con un forcing collettivo nel finale se neanche questa modifica porterà al pareggio. In ogni caso, tutti rinnovano la volontà di dare tutto quello che resta nell’ultima frazione di gioco. Inizia la ripresa, con i nostri avversari che paiono voler controllare la partita, probabilmente stanno pagando il fatto di non aver dato fiato agli uomini campo. Noi prendiamo coraggio e incominciamo a farci vedere di più dalle parti di Luca Pascolini, il che fa aumentare ulteriormente la motivazione e la voglia di provarci fino in fondo. A metà della ripresa, il Gallo finta un tiro dalla distanza e invece allunga il pallone verso la linea di fondo sul lato sinistro dell’attacco, Marino Simonellig abbocca alla finta, e il Gallo, ora anticipando la chiusura di Franco Bassetti, mette in mezzo un pallone rasoterra che taglia l’area di rigore. Stefano Tomasin è superato e Luca Pascolini è rimasto fermo sulla linea di porta vicino al palo. Io, che ho seguito l’azione con un attimo di ritardo, riesco ad arrivare smarcato sul pallone ma devo andare in spaccata per riuscire a impattare la sfera e riesco sì a colpirla con forza ma purtroppo senza precisione, mandandola a sbattere contro il portiere, con il resto della porta spalancata. Avrei voluto morire. Avevo fallito l’unica, facile, occasione che avevamo creato in tutta la partita. Mi rialzo, sento l’urlo di disappunto del pubblico e vedo i volti delusi e arrabbiati dei miei compagni. Jo Pace, dalla nostra difesa mi urla, giustamente, di andare a cagare. Vorrei morire una seconda volta. Sento contemporaneamente salire dal fondo dello stomaco un’ondata di calore, fortissima. È rabbia! Il Ricreatorio sembra scuotersi per il passato pericolo e incomincia di nuovo a attaccare con forza, come nel primo tempo, in cerca del 2-0 che chiuderebbe definitivamente i giochi. A 10’ dal termine la tattica iniziale ci ripaga: siamo schiacciati nella nostra area a difesa di Tancredi, a parte me, circondato a metà campo da Tomasin e Bassetti. Si crea una mischia furibonda con il pallone che arriva al Gallo, al limite della nostra area, e lui senza pensare troppo la rinvia veloce rasoterra verso il centro del campo; questa volta sono riuscito a indovinare in anticipo come si sarebbe sviluppata l’azione e che direzione avrebbe preso la palla e riesco così a anticipare i due satanassi, portando avanti il pallone con il destro, passandogli in mezzo. I due hanno un lieve contatto tra loro, sufficiente a fargli perdere terreno e rallentare mentre io, palla al piede, leggermente spostato verso l’out di destra, posso correre libero, bello e incredulo verso la porta difesa da Luca Pascolini, con i satanassi che cercano di riprendermi. È straordinaria la capacità che ha il nostro cervello di elaborare tante informazioni e di gestire utilmente le emozioni in frazioni di tempo così limitate; dal momento in cui mi sono reso conto di aver superato i due difensori, lanciandomi di corsa verso la porta, e il momento in cui ho fatto partire il tiro saranno passati al massimo 3 o 4 secondi. In quel lasso di tempo il fuoco della rabbia per il goal mangiato prima aveva attivato i miei muscoli per correre sempre più veloce e mentre mi avvicinavo al portiere che, venendo verso di me per chiudermi lo specchio di tiro diventava sempre più grande, la paura di sbagliare rendeva le dimensioni della porta sempre più piccole.

Decidere quanto avvicinarsi ancora alla porta controllando bene la sfera prima di tirare, scegliere come e dove indirizzare la palla in base alla posizione e ai movimenti del portiere, dosare la forza con cui calciare il pallone, raccogliere tutte le informazioni utili alle decisioni e il tutto in mezzo agli scossoni emotivi provocati dalla paura di sbagliare e di deludere ancora i compagni, dalla rabbia per l’errore precedente e dal desiderio di riscossa. Con i due satanassi già ormai prossimi alle mie caviglie e il portiere quasi tra i miei piedi. E allora? E allora, come guidato da comandi invisibili che arrivano dal cuore, ho chiuso gli occhi e ho calciato continuando la corsa, per riaprirli dopo il calcio e vedere i due satanassi sbattere contro Luca Pascolini e la palla andare rasoterra a infilarsi in rete, nell’ angolino vicino al palo opposto a quello di tiro. Ero ancora vergine e non conoscevo i piaceri del sesso. A distanza di molti anni, avendo colmato la lacuna esperienziale, posso dire che quello che provai dopo quel goal, emotivamente e sensitivamente, gareggia bene con i migliori orgasmi provati con le donne di cui mi sono innamorato. L’urlo del pubblico, tutti i compagni che mi rincorrevano festanti e mi saltavano in groppa, persino Tancredi Panetta, che era partito di corsa dalla sua porta urlando la sua gioia con le braccia in alto e pugni chiusi. Mi sembrava di essere nato una seconda volta, dopo aver conosciuto la morte 10 minuti prima.

Uno a uno e palla al centro. Non eravamo morti. Eravamo vivi e in corsa per vincere la finale! Il pareggio ha moltiplicato le nostre forze e adesso gli avversari sembrano preoccuparsi di non venire beffati, visto che la fine dei tempi regolamentari è vicina. Tempo supplementare. La nostra tattica di partenza sembra dare i suoi frutti perché i nostri cambi frequenti ci rendono ancora più freschi rispetto al Ricreatorio, che pur mantenendo sempre il comando delle operazioni non riesce più a rendersi pericoloso e facilita il nostro contenimento. 

A metà dell’overtime, improvvisamente, arriva il siluro che pare affondarci definitivamente; l’ennesima mischia nella nostra area termina con un pallone allontanato dalla difesa e finisce sulla tre quarti, tra i piedi di Albano Meroi, che la stoppa e tira senza rincorsa. Non è un gran tiro, Albano ha calciato in fretta senza dare potenza, ma s’infila in mezzo ad una selva, con Pierluigi Sergio capace di ingannare Tancredi, aprendo le gambe all’ultimo momento facendo passare un pallone altrimenti innocuo e che invece conclude la corsa in rete. 2-1. Sensazione di gelo. Di nuovo la morte. Tancredi immobile in mezzo alla porta, tutti gli altri compagni come statue in silenzio, a parte Jo Pace in mezzo all’area a smoccolare e a grandi gesti invitare tutti a scuotersi e a portare in fretta il pallone a centrocampo. Sembra finita. Mancano 5’ al termine e fino all’ultimo giro di lancette non succede molto, a parte qualche nostro tiro velleitario scagliato da lontano più per disperazione che per convinzione. All’ultimo respiro ‘Uzzo, uno dei meno logorati dalla battaglia si lancia sulla fascia destra, guadagna il fondo superando in velocità Giuliano Miani e crossa indietro un pallone mezza altezza, al limite dell’area di rigore, per il Canta. Stop di petto e senza guardare tiro immediato di contro balzo, con la palla che con traiettoria dal basso verso l’alto centra il sette alla sinistra di Luca Pascolini. 2-2!!! Boato del pubblico e il Canta che viene sommerso dal mucchio selvaggio! Non si riprende neanche a giocare: Enrico Mosconi, l’arbitro della serata, fischia la fine e rimanda il verdetto ai calci di rigori. 

L’aria è elettrica, il pubblico rumoreggia e noi siamo ancora ebbri di gioia, ma dobbiamo subito ritrovare la concentrazione per l’ultimo atto, quello più crudele, quello che difficilmente permette di recuperare gli errori. Bisogna decidere i rigoristi e tutti, a parte Mambrady, si dicono disponibili. Alla fine questo sarà l’ordine: Zippo, Beppe/Bepi, Jo, ‘Uzzo e ultimo il Gallo, il migliore dei nostri, infallibile dal dischetto. Si parte.

Iniziano loro. Miani: 1-0; Zippo: 1-1; Sergio: 2-1; tocca a me. Il tratto dalla metà campo al dischetto è come la strada che in aula ti separa dal banco alla cattedra del professor Favoni, quando ti ha appena chiamato per un’interrogazione a sorpresa di matematica: da un lato cerchi di andarci il più piano possibile per allungare il tempo e tenere lontano il pericolo e le conseguenze dei possibili errori, mentre dall’altro vorresti aumentare il passo per toglierti di dosso al più presto quel macigno dal cuore esorcizzando la paura. Penso che non possiamo perdere, non avrebbe senso. Abbiamo pareggiato due volte, di cui la seconda all’ultimo istante. Ho già segnato il goal del primo pareggio alla faccia dei satanassi. Non sbaglierò. Prendo il pallone color giallo, lo porto a me come fosse la mia ragazza e lo bacio. L’ho visto sempre fare a Le Roi Michel Platinì, se lo fa lui, lo posso fare anch’io. Prendo la rincorsa e prima di partire decido in anticipo come e dove tirare. Non guarderò il portiere, penserò solo a mandare il pallone come e dove ho deciso, più forte che posso, se poi lui intuisce e riesce a prenderlo, bravo lui. Il cuore batte all’impazzata. Parto, è come lanciarsi dal salto dell’Edera, il punto più alto da cui ci si tuffa d’estate nel Natisone. Non si torna indietro. Calcio di piatto destro, forte a 10 cm dal suolo alla sinistra di Luca Pascolini che intuisce, ma non ci arriva. Goal! 2-2! Adesso mi sento leggero come una piuma e sorridente ritorno a metà campo, tra i miei compagni che mi abbracciano. Con sollievo, ma ancora con tensione. Siamo in perfetta parità e ancora tutto può succedere. E perdere adesso sarebbe tremendo. La lotteria dei rigori riprende. Franco Bassetti: 3-2; Jo Pace: 3-3; Albano Meroi: 4-3; ‘Uzzo: 4-4. Ultimi due della serie. Va al tiro Marino Simonellig. Tiro lento a mezz’altezza, Tancredi Panetta intuisce e respinge. È fatta!!! Lo pensiamo tutti e ci abbracciamo già come se avessimo vinto! Il Gallo Dorlì è il nostro infallibile rigorista, l’unico su cui avremmo puntato tutti i risparmi a occhi chiusi. La scelta di lasciarlo per ultimo sembra essere stata l’ennesima buona stella della serata. Siamo tutti pronti a scattare quando il Gallo parte per il tiro. Insolita rincorsa per lui. Lenta e incerta. Infatti scocca un dardo fiacco a mezz’altezza con facile parata del portiere, una fotocopia dell’errore di Marino Simonellig. Il Gallo è stato tradito dall’emozione, ha avuto il braccino corto del tennista al primo match point. Restiamo immobili. Come statue. Siamo tutti increduli per quello a cui abbiamo assistito, mentre il Gallo, consolato da Jo Pace in silenzio e a testa bassa ritorna verso di noi. Fortunatamente non c’è modo di rimanere a lungo in quella situazione emotiva: la lotteria riprende a oltranza e tutta l’attenzione adesso si sposta di nuovo sul patibolo del dischetto. Ci va per il Ricreatorio Bob Dressi: tiro forte e 5-4. Tutto il peso adesso è sulle spalle del Canta, che, al contrario del Gallo, non viene tradito dai nervi e calcia in porta il 5-5. Sembra proprio non finire mai. Il pubblico, che alla fine probabilmente è salito a 400 persone, di cui molte ora seguono dietro la porta, assiste con grande partecipazione emotiva. La tensione sale, se possibile, ancora di più. 

Ora è il turno di Carletto Nobile. Lunga rincorsa, tiro forte ma centrale, Tancredi non sé mosso e respinge agevolmente la palla. Per fortuna non era una gara di tiri liberi a basket! Nuovo match-point per noi e se ne deve far carico Mambrady Bront, l’ultimo rimasto, l’unico che non voleva mai calciare i rigori e non lo faceva neanche nelle partitelle di allenamento. Questa volta non ha scelta. Non dice niente a nessuno, va con passo svelto verso il dischetto, prende la palla, la posiziona altrettanto velocemente. Lunghissima rincorsa. Tiro forte di piatto sinistro, a mezz’altezza, portiere da una parte e a pallone in rete dalla parte opposta. 6-5!! Game over!! Abbiamo vinto!! 

E da lì in poi scene che in sedicesimo ripetevano quelle viste in TV l’estate prima per la finale Mundial di Madrid, vinta dagli azzurri di Enzo Bearzot. A premiarci non c’era Re Juan Carlos ma l’Assessore allo Sport del Comune di Cividale Giovanni Sale e la coppa che ci consegnò davanti a tutto il pubblico non era la coppa del mondo; ma a differenza di questa, la nostra era fatta in modo tale da poter essere riempita di spumante che a turno bevemmo tra canti, salti e abbracci, prima di lasciare il campo per tornare a casa prima della mezzanotte invece di andare a fare baldoria a Lignano per tutta la nottata. Quello era il sogno. La realtà è che eravamo negli anni ’80 ed eravamo tutti minorenni. 

GIOIA e DELUSIONE. Forse quella sera ho capito la differenza in profondità, vincendo in quel modo insperato e romanzesco il grande torneo notturno che ero riuscito ad organizzare. La gioia era la sensazione indescrivibile di soddisfazione per aver raggiunto una cosa da sempre desiderata e che stava per sfumare senza apparente rimedio. Guardando invece in faccia gli avversari, sconfitti nel momento in cui la vittoria desiderata sembrava essere al sicuro nelle loro mani, capii a fondo cos’era la delusione. Osservando bene le loro facce scure e inespressive, la gioia dentro di me saliva ancora di più: avevo allo specchio quello che mi poteva capitare e che per merito e fortuna invece non mi è era successo.

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