martedì 19 giugno 2018

MALEDETTA PRIMAVERA

La disfatta d'Africa e la tragedia di Grecia avevano già colpito molte famiglie in Italia, ma il clima nel paese conservava un'apparente illusione di normalità: i bombardamenti aerei erano ancora sporadici, il razionamento dei viveri meno duro che in Germania ed il suo mancato rispetto tollerato dalle autorità. Solo dal primo marzo 1941 la situazione incominciò a manifestare la sua criticità, con la fissazione a 400 g mensili il consumo di grassi quali olio e burro, ed il divieto di produrre pasticceria fresca, panna, panettoni e mascarpone. I quotidiani invitavano alla coltivazione di ortaggi nelle aree fabbricabili non utilizzate e si faceva propaganda per la pellicceria autarchica, ottenuta con il pollame nostrano… ma nonostante tutto questo, restavano in vigore le riduzioni ferroviarie per le località adibite alla pratica degli sport invernali e per quelle balneari. 
Entrata in guerra con l'idea di non doverla fare, l'Italia non voleva accettarne le esigenze ed iniziando a percepire che non sarebbe stata breve, già anelava silenziosamente alla pace.
Chi vuole comunque cercare a teatro quel minimo di normalità nella vita quotidiana, così sente cantare Wanda Osiris e Macario nella rivista "Primavera di donne": 

Che ci vuoi fare se nel taschin 

Non puoi trovare il becco d'un quattrin 

Quel che possiedi tu 

È la fame, ma mi sa 

Che quella vorresti regalar

In realtà il disagio è più profondo e nonostante nel giugno del 1943 gli iscritti al partito fascista siano ancora 23.281.622, la situazione ormai è difficile da controllare a suon di proclami e di retorica. 

Come quella del federale di Udine, che nei primi giorni del luglio 1943 ritira la tessera di una giovane donna con questa motivazione:

Signorinetta, unicamente presa dalla frenesia della vita così detta brillante, dimentica dei doveri del momento. In una lettera piena di intercalari esotici, di inaudita leggerezza, si vantava di alternare le sue giornate fra danze e gite… dimostrando così, col suo contegno, di essere indegna di tener alta la fronte davanti al dolore delle madri, delle vedove e delle spose."

venerdì 15 giugno 2018

OPERAZIONE BARBAROSSA


L'avanzata tedesca nell'estate del 1941 è devastante, l'esercito russo è stato colto completamente di sorpresa e nei primi giorni di dicembre le avanguardie germaniche giungono in vista delle cupole del Cremlino… L'esercito tedesco ha occupato un territorio che contiene il 40% dell'intera popolazione, dove si produce un terzo del grano e quasi la totalità dello zucchero, ha distrutto 180 divisioni, catturato 7 milioni di prigionieri… ma per ogni divisione distrutta, subito ne spunta un'altra ancora più agguerrita ed i soldati russi, dopo gli sbandamenti iniziali, combattono con una resistenza straordinaria e l'arrivo, prima delle piogge autunnali, che trasformano le poche strade in paludi, ed infine il terribile inverno russo, bloccano l'avanzata ed impediscono l'accerchiamento programmato.
La ferocia dei combattimenti è tremenda, Hitler dirama all'esercito direttive precise: "Non è fatto obbligo di perseguire azioni commesse da appartenenti alle forze armate contro civili nemici, anche se tali atti costituiscono reati previsti dal codice militare e nella lotta contro il bolscevismo non bisogna fare affidamento che il nemico si comporti secondo principi d'umanità, ci si deve aspettare dai commissari politici  un trattamento dei nostri prigionieri pieno d'odio, crudele ed inumano; pertanto essi dovranno essere passati per le armi non appena catturati."
Gli ordini vengono eseguiti in maniera zelante dai reparti speciali, le famigerate S.S.; così si legge su di un rapporto ai superiori scritto da un sergente al comando di un'unità composta di dieci uomini ed operante in Bielorussia:

26 giugno: arriva dal Reich l'annunciato trasporto di ebrei;
27 giugno: procediamo allo sgombero del ghetto di Slonim; in questa giornata 4000 ebrei sono consegnati alla terra;
2 luglio: ci prepariamo a ricevere un carico di ebrei; nuove fosse.
17 luglio: arriva un trasporto di ebrei che sono subito portati nella tenuta.
21,22,23 luglio: scaviamo nove fosse.
24 luglio: arriva dal Reich un nuovo trasporto di ebrei.
25-27 luglio: nuove fosse
28 luglio: partecipiamo ad un'operazione in grande stile nel ghetto di Minsk: 6000 ebrei sono portati alla fossa.
Nei giorni seguenti gli uomini vengono impegnati nella pulizia delle armi ed in lavori di manutenzione.
Un milite scelto viene dimesso dall'ospedale e su raccomandazione medica, inviato in licenza di convalescenza, periodo nel quale intende anche sposarsi.
Il comportamento di tutti gli uomini, sia in servizio che fuori servizio, è ineccepibile.



lunedì 11 giugno 2018

C'ERANO UNA VOLTA LA SCUOLA FEDERALE E IL CALCIO ALL'ITALIANA


C’era una volta una scuola di calcio “all’italiana” e i suoi Maestri si erano formati all’interno della Federazione, passandosi il testimone l’un l’altro e ogni volta apportando il proprio contributo personale per aggiornare il “modello” rispetto a quanto aveva lasciato il suo predecessore. Il periodo copre un arco temporale che va dal 1966, terminati gli ennesimi mondiali disastrosi, quelli che ci videro ancora eliminati al primo turno, questa volta ad opera degli sconosciuti nordcoreani, al novembre 1991, quando uno 0-0 in casa dell’URSS determinò l’eliminazione nelle qualificazioni per l’europeo di Svezia 1992. In quel quarto di secolo compreso tra i due eventi negativi conquistammo 1 campionato europeo (Roma 1968) 1 titolo mondiale (Spagna 1982), un secondo posto mondiale (Mexico 1970), un terzo posto mondiale (Italia 1990) e un quarto posto mondiale (Argentina 1978) a cui si possono aggiungere il quarto posto agli Eropei di Italia 1980 e la semifinale europea a Germania Ovest 1988. Risulta di tutta evidenza che fummo capaci di rimanere per 25 anni consecutivi al vertice del calcio mondiale e continentale, con alcuni fisiologici passaggi a vuoto, come l’eliminazione al primo turno ai Mondiali tedeschi del 1974 e l’eliminazione nelle qualificazioni a Euro 1984 da freschi campioni del mondo, mentre l’eliminazione agli ottavi di finale per “mano” della Francia di Platini a Mexico 1986 non fu poi un evento così disastroso come la vulgata tende a considerarlo, ma solo un torneo privo di acuti, terminato presto per il sollecito incrocio con una delle favorite della competizione. 
L’età dell’oro iniziò con l’incarico a Ferruccio Valcareggi – accompagnato per 4 gare dal “mago” della grande Inter Helenio Herrera – che dal 1966 al 1974 fece giocare la nazionale con la tradizionale marcatura “a uomo” – per passare il testimone al suo secondo Enzo Bearzot, che dopo la coabitazione con Fulvio Bernardini quale D.T., dal 1977 al 1986 seppe stupire il mondo prima in Argentina e poi in Spagna con la “zona mista” – marcatura a uomo degli attacanti più pericolosi dell’avversario e il resto a “zona” e per finire infine con la gestione di Azeglio Vicini, che prima nello staff di Valcareggi e Bearzot in qualità di osservatore e poi di allenatore dell’Under 21, riuscì ad integrare nella nazionale maggiore il “blocco” migliori talenti che aveva fatto crescere nella giovanile, migliorando ulteriormente lo schema “bearzottiano”. 
Questa fu la “scuola federale” di Commissari Tecnici che crescevano uno dietro l’altro, una scuola che non creava “allenatori” ma “selezionatori”, professionisti che non “inventavano” calcio ma che dovevano essere capaci di coniugare al meglio ciò che il campionato sapeva offrire, sia in termini di moduli che di uomini capaci di interpretarli e di fondersi in un gruppo vero. 
C’era grande consapevolezza di una verità talmente banale da diventare con il tempo incomprensibile: una selezione nazionale non è una squadra di club che deve disputare 50 partite in 9 mesi, guidata da un allenatore che ne può plasmare le dinamiche giornaliere e gli schemi di gioco. 
E forse c’era un'altra motivazione di fondo, altrettanto banale: un tecnico “fuori dal mercato” dava maggiori garanzie nella scelta degli uomini rispetto alle logiche e agli interessi particolari delle singole società e dei primi “procuratori” comparsi dopo l’abolizione del vincolo sportivo nel 1981. 
Al termine del 1991 l’allora Presidente della FIGC Antonio Materrese decise che era tempo di cambiare rotta, che lo “schema federale” era obsoleto per i tempi e volle affidare la guida della nazionale ad un uomo “nuovo”, estraneo alla federazione: il santone Arrigo Sacchi, il profeta del Milan berlusconiano, che capace di vincere tutto in europa – ma un solo scudetto in Italia - abbandonando la filosofia del “calcio all’italiana” sarebbe stato anche capace di trasformare il “Club” Italia in una squadra in grado di trionfare su tutti i campi sciorinando uno spettacolare gioco d’attacco, antitetico al superato difensivismo di scuola federale. 
Da allora ad oggi, in 27 anni, si sono succedute ben 12 gestioni tecniche che, tranne due casi (Maldini e Di Biagio), sono state scelte attingendo al mercato degli allenatori di club: Arrigo Sacchi (1991-1996), Cesare Maldini (1997-1998), Dino Zoff (1998-2000), Giovanni Trapattoni (2000-2004) Marcello Lippi I (2004-2006) Roberto Donadoni (2006-2008) Marcello Lippi II (2008-2010) Cesare Prandelli (2010-2014), Antonio Conte (2014-2016), Giampiero Ventura (2016-2017), Luigi Di Biagio (2018) e buon ultimo Roberto Mancini (2018-?)
Risultati di questo tourbillion di tecnici “a mercato”, oltre la loro brevità temporale rispetto ai “magnifici” tre predecessori: 1 titolo mondiale (Germania 2006), un secondo posto mondiale (USA 1994), due secondi posti europei (Belgio-Olanda 2000 e Polonia-Ucraina 2014). 
E da ultimo, l’unica mancata qualificazione ad un mondiale a partire dal 1958. 
Naturalmente le cause della “decrescita” sono molte e complesse, forse tra queste c’è anche il cambio di strategia della FIGC che ha smantellato la "scuola federale" e l'abbandono della filosofia che c'era alle spalle; certo, il modello che abbiamo conosciuto come "calcio all'italiana" fa da tempo parte della storia del calcio, come ne fanno parte altri stili di gioco che hanno visto trionfare i loro "inventori" e i loro migliori  interpreti in altre epoche più lontane o più vicine e quindi non è più proponibile nel calcio moderno.
E anche questo forse è il motivo per cui non vinciamo più: abbiamo perso l'identità e l'idea di chi siamo, di chi vogliamo essere e di come fare per diventarlo.  
Non solo nello sport, che ne è diretta conseguenza.

venerdì 8 giugno 2018

FINE DI UN'EPOCA, COCCI SPARSI E PIATTI ANCORA DA LAVARE.

Se per chi viveva al sud l'8 settembre significò un'imminente fine della guerra, per chi viveva al nord fu l'inizio di una terribile occupazione straniera segnata da deportazioni, rappresaglie e stragi. Per certuni fu l'inizio della lotta per la liberazione dallo straniero ed il riscatto del Paese, per altri ancora l'inizio di una battaglia per l'affermazione di un nuovo modello sociale e non solo una battaglia patriottica. Per qualcuno ancora rappresentò il momento di vendicare il tradimento del Re, seguendo il destino di Mussolini a fianco dell'esercito tedesco. La maggioranza si adattò a sopravvivere, giorno per giorno, in base alle diverse vicissitudini che la sorte le riservò ed in base al diverso luogo in cui si trovava in quella drammatica giornata. La vicenda certamente più tragica la vissero gli italiani di Trieste, della Venezia Giulia e dell'Istria: per loro la guerra non finì neppure il 25 aprile 1945 e per 300.000 di essi significò persino la perdita della propria terra, l'abbandono per sempre della propria casa e persino la negazione e l'oblio della propria triste storia. Per loro, il regime fascista, aveva lasciato un'ulteriore debito da scontare: fronteggiare l'odio etnico ed ideologico germogliato ed esploso dopo vent'anni di forzata e dura nazionalizzazione, compiuta nei confronti di uomini e donne  di altri popoli - sloveni e croati - che vivevano in gran numero all'interno dei confini nazionali del tempo. 

Il 25 aprile 1945, mentre gli alleati avevano sfondato finalmente la linea Gotica irrompendo nella pianura padana e con i Tedeschi ormai in rotta, il Comitato di Liberazione Nazionale diede l'ordine d'insurrezione generale per tutte le formazioni partigiane del nord Italia. La resa senza condizioni dell'esercito tedesco in Italia viene firmata il 29 aprile nel comando Alleato di Caserta; Mussolini, catturato mentre cerca la fuga in Svizzera vestito da caporale tedesco, è già stato fucilato dai partigiani il 27 aprile ed esposto al pubblico scempio il 29 aprile in Piazzale Loreto a Milano, appeso a testa in giù dal traliccio di un distributore di benzina, assieme all'amante ed alcuni gerarchi. Hitler si suiciderà nel bunker della cancelleria di Berlino il 30 aprile, mentre le truppe sovietiche sono ormai giunte a pochi isolati di distanza. La guerra in Europa finisce ufficialmente il 7 maggio 1945, quando nella vecchia scuola elementare di Reims, rappresentanti di quello che era il Reich tedesco, firmano la capitolazione. Ovunque si continuerà a morire ancora per diverse settimane, troppi sono i conti i sospeso, che molti vogliono regolare senza i tempi e le garanzie della giustizia ordinaria; per gli sconfitti si aprirà la stagione che molti secoli prima, il condottiero dei Galli Brenno, aveva riassunto nel celeberrimo "Vae Victis!"… guai ai vinti!

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
- t'ho visto-  dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero,
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
Quando il fratello disse all'altro fratello:
"Andiamo nei campi"

da "Uomo del mio tempo" di Salvatore Quasimodo

giovedì 7 giugno 2018

MILESTONE

Che sabato, "quel" sabato! L'atmosfera di quella fantastica giornata è la cosa che più mi ha colpito: c'era qualcosa di non so che nell'aria, prima la grande attesa e la grande tensione, poi via che lo spettacolo procedeva, la certezza che la vittoria non ci sarebbe sfuggita maturava in modo sempre più convinto, ed infine, nel momento del mio discorso, quel successo tanto sperato si materializzava ai nostri occhi! Ora tutto appartiene già ai ricordi: l'interminabile pomeriggio in teatro, la preoccupazione di vedere la sala semi-deserta, il "chi si estranea dalla lotta è un gran figlio di mignotta" urlato insieme nei camerini prima di iniziare, i complimenti di tutti dopo il trionfo, la nostra esaltazione alla chiusura del sipario del primo atto, gli inchini finali, gli applausi a scena aperta, gli abbracci, la maxi bevuta in pizzeria con tutto il cast finalmente unito. 
Come dimenticare quelle sensazioni così profonde, quelle emozioni così forti? Non devo fare niente, perbacco! guai a dimenticarle: dovranno rappresentare, come benissimo hanno fatto quelle de "LA GIARA", il risultato dei sacrifici e dovranno essere per sempre uno stimolo per il futuro.
Ora però bisognerà dimostrare che la nostra è "vera gloria" ed è qui, che inizia il difficile; si dovrà sempre rispettare quel principio di umiltà e di spirito di sacrificio che sono la ricetta del successo, nutrendosi di quello spirito di "non appagamento" e di "lotta continua" che ci animano ora e che non dovremmo perdere neanche in seguito.

23 DICEMBRE 1983

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