lunedì 30 novembre 2020

GALLI, OSTI, FANESI...

Dopo Sean Connery, Gigi Proietti e Diego Armando Maradona l'annus horribilis ci porta via anche Ernesto Galli e in questo caso proprio "per mano" del virus che ha devastato le nostre vite e le nostre abitudini più consolidate. Ernesto non aveva certo la fama dei tre "mostri sacri" citati in apertura, ma nel nordest d'Italia è un nome che richiama ricordi dolci ai tanti appassionati del mondo del pallone. Lo ricordano bene i vicentini che furono testimoni dell'epopea del "Real Vicenza", vincitore del campionato di Serie B 1976/77 e al secondo posto dietro la Juve nella serie A 1977/78 grazie all'esplosione di Paolo Rossi, non ancora "Pablito" e alle parate del numero 1 Ernesto Galli, appunto. Lo ricordano bene anche in Friuli, dove il "nostro", nato a Venezia il 25 luglio 1945, aveva mosso i primi passi nelle giovanili dell'Udinese dal 1964 al 1966 vincendo il campionato Primavera nel 1964 per poi ritornare a 34 anni a difendere i pali della porta bianconera nella stagione 1979/80, quella del ritorno in serie A dei friulani dopo 17 lunghe stagioni di C e una di B. Per quelli della mia generazione è l'Udinese di Galli, Osti, Fanesi, Leonarduzzi, Fellet, Catellani ... il tempo in cui tutte le formazioni delle squadre del cuore e della nazionale venivano recitate invariabilmente a memoria come le preghiere della messa domenicale.

Ernesto Galli con quell'Udinese giocò 20 partite incassando 25 reti, prima di cedere il posto a "Charlie" Della Corna per l'ultima fase del campionato, a seguito delle dimissioni dell'allora esordiente tecnico Corrado Orrico e al subentro di Dino D'Alessi, quando ormai la stagione era compromessa e in vista c'era la retrocessione in serie B. Retrocessione che fu evitata dalla magistratura sportiva nell'estate del 1980 a spese della Lazio, condannata in secondo grado a scendere di categoria per i pasticci dei suoi giocatori durante il primo scandalo delle scommesse clandestine.

Prima di cedere di schianto nel girone di ritorno, quell'Udinese ricca di debuttanti nella massima serie, si era fatta onore nella prima parte della stagione galleggiando vicina alla metà della classifica, perdendo poche partite e imponendo pareggi insperati alle grandi: 1-1 contro l'Inter futura campione d'Italia all'esordio sul terreno del Friuli, 1-1 al Comunale di Torino contro la Juve di Trapattoni, Causio, Bettega e mezza nazionale e 0-0 a San Siro contro il Milan campione in carica del "traditore" Massimo Giacomini, Albertosi, Franco Baresi e Collovati. 

In tutte queste circostanze Ernesto Galli fu protagonista assoluto sempre a mani nude e senza guanti, salvando più volte la porta friulana così come aveva fatto sui campi dell'Europa Orientale nelle prime partite di Mitropa Cup, trofeo poi vinto dalle zebrette friulane battendo per 2-0 gli ungheresi del Debrecen allo stadio Friuli nella primavera del 1980.

Nella foto Ernesto Galli con Paolo Rossi nel settembre 1979 prima di Perugia-Udinese, terza di campionato, quando i due protagonisti del "Real Vicenza" si trovarono contro per la prima volta. 

Finì 2-0 per gli umbri, grazie ad una doppietta di Pablito.

Riposa in pace Ernesto, per me rimarrai sempre quello di Galli, Osti, Fanesi...



 

venerdì 20 novembre 2020

QUANDO ZICO FU PIU' DIAVOLO DEL MILAN

Ci sono partite che lasciano il segno nella memoria e nell'immaginario collettivo a prescindere dall'importanza che queste hanno avuto nell'economia di un torneo o una competizione. Non si tratta di finali mondiali o di Champions League e neppure di match che permettono di vincere uno scudetto o conquistare una salvezza, gare che a prescindere da quanto poi è avvenuto in campo sono già di per sé ricche alla vigilia del pathos necessario per infilarsi nella memoria a lungo termine di tifosi, appassionati o addetti ai lavori. Una di queste sfide memorabili, senza vigilia memorabile o importanza postuma per la classifica, è senza dubbio un "lontano" Milan - Udinese disputato sul "prato" dello stadio Giuseppe Meazza domenica 8 gennaio 1984 e valevole quale ultima giornata del girone di andata della serie A a sedici squadre 1983/84.  Le due contendenti arrivavano alla vigilia appaiate in classifica all'ottavo posto con quindici punti e finiranno la stagione all'ottavo posto con 32 punti il Milan e al nono l'Udinese con 31, con sorpasso dei rossoneri proprio all'ultima giornata grazie al 2-1 inflitto ai bianconeri sul terreno del Friuli. Eppure quel Milan - Udinese entrò nella memoria, prima che passare alla storia, con lo stadio meneghino riempito da 68.359 spettatori, dato battuto in quell'annata solo dalla sfida con la capolista Juventus di Platini (78.479 presenti) e persino superiore alle presenze nel derby con l'Inter (67.597) e alla sfida con la Roma scudettata di Liedholm (60.497). A rinforzare la straordinarietà di quel dato, nella precedente partita giocata dai rossoneri sul terreno amico contro il Torino, al momento quarto in classifica, si erano registrati sugli spalti 35.087 presenze: la metà dei fortunati che si godettero quel Milan-Udinese.

Cornice straordinaria per una partita tra due squadre di media classifica, con i rossoneri neo-promossi in serie A e senza immediate ambizioni di "grandeur" dopo aver vinto il campionato cadetto a seguito la sciagurata retrocessione sul campo nel torneo 1981/82 e dall'altra parte bianconeri friulani poco pratici per recitare ruoli di alta classifica. Un evento già straordinario considerando che il "tutto esaurito" non lo avevano provocato i diavoli di casa, bensì l'arrivo dell'Udinese. O meglio, l'Udinese di Zico, alla sua prima recita nel catino di San Siro, meglio noto come la "Scala" del Calcio italiano.

L'Udinese di quell'annata era partita con grandi ambizioni agli ordini del Mister Enzo Ferrari e giocava ogni match per vincerlo, sia in casa che fuori, potendo contare dalla cintola in alto su un fuoriclasse di statura mondiale come Zico e altri campioni del calibro del Barone Franco Causio, di Pietro Paolo Virdis e Massimo Mauro. Sfortunatamente non era dotata adeguatamente nel reparto difensivo per reggere quella potentissima trazione anteriore e quindi, a vittorie roboanti facevano compagnia rovesci troppo frequenti per poter impensierire in classifica le squadre battistrada, quell'anno nell'ordine finale Juventus, Roma e Fiorentina.

Il Milan neo-promosso, sotto la guida del mago del Perugia dei miracoli Ilario Castagner, era altrettanto votato all'offesa senza adeguate coperture e poco "mestiere", essendo costituito da un mix di giovanotti di sicuro avvenire ma che ancora non avevano espresso tutto il loro potenziale tipo Battistini, Tassotti, Evani, Filippo Galli, di vecchi "draghi" alle ultime recite sui massimi palcoscenici, vedi Spinosi e "Flipper" Damiani, oggetti misteriosi come il centravanti britannico Luther Blisset e qualche certezza come Franco Baresi ed il terzino belga Gerets.

Lo spettacolo che andò in scena "Alla Scala" del Calcio quell'umido, freddo e grigio pomeriggio di inizio gennaio fu molto più simile ad un kolossal hollywoodiano che ad un opera classica: molto più un "Rocky" che una Turandot: i quasi settantamila di fede rossonera furono testimoni entusiasti di un match dove le due contendenti cercavano continuamente di assestare all'altra il colpo del KO, senza curarsi minimamente di tenere la guardia alta. E alla fine i pugni che centrarono il volto dell'avversario non furono pochi. E gli ultimi, specialmente, furono davvero potenti e... indimenticabili.

Fuor di metafora: una partita con continui capovolgimenti di fronte, difese sotto pressione e spesso distratte, giocate tecniche individuali da antologia e errori grossolani.

L'andamento del match pareva pendere decisamente dalla parte rossonera, con i diavoli milanesi già in vantaggio al 8' del primo tempo grazie ad un rigore trasformato da Franco Baresi e assegnato per una "spallata" in piena area di rigore di Cesarone "Armaron" Cattaneo ai danni di Sergio Battistini.

Da lì in poi friulani all'arrembaggio e capaci di pareggiare al 40' con sua Maestà Zico pronto a scagliare in rete sulla linea di porta un'inzuccata del "tamburino sardo" Pietro Paolo Virdis, che aveva anticipato il portiere Piotti e indirizzato la palla verso la rete.

Invece di rallentare il ritmo e consolidare il pari in vista della fine della prima frazione, i bianconeri si buttano ancora in avanti scriteriati, vicinissimi all' 1-2 ma invece puniti al 43' dal rossonero Verza, messo nelle condizioni di calciare a pochi metri dalla rete difesa dal "povero" Brini un pallone danzante nell'area friulana da diversi secondi senza che nessun difensore riuscisse a rinviare lontano.

Copione invariato nella ripresa: Udinese sempre all'assalto e Milan in contropiede con le occasioni più nitide per assestare il colpo del KO, vicinissimo al 52' con "Flipper" Damiani capace di onorare al meglio il suo "nickname" calciando solo davanti a Brini un pallone che prima colpisce un palo e poi l'altro senza varcare la linea di porta. 

A nove minuti dalla fine il "gancio" del KO definitivo lo piazza uno degli attori meno pronosticati della recita,  la "meteora" Luther Blisset, che all'asciutto da tempo immemore, scaraventa il pallone in fondo al sacco per quello che oltre ad essere il suo terzo gol dall'inizio del campionato sembra essere il 3-1 finale per il Milan.

Sembra.

Perchè all'84', con lo stadio festante, certo di aver ormai preso lo "scalpo" dell'Udinese di Zico, non fa i conti con la sapienza e la classe sopraffina di due campioni che, quella domenica, vestivano i colori friulani.

Al limite dell'area milanista il Barone Causio, con un gesto tecnico da leccarsi i baffi, "scodella" verso il centro dell'area piena zeppa di difensori un pallone per Re Zico; Franco Baresi con il braccio sfiora la palla e ne accentua ancora di più la parabola, l'arbitro Mattei di Macerata, sempre sia lodato, concede la regola del vantaggio: la sfera arriva davanti al Galinho che, spalle alla porta, con una sforbiciata magistrale prima che questa tocchi terra, indirizza il pallone nell'angolino dove Ottorino Piotti, immobile al centro della porta, altro non può fare che guardarlo entrare in rete a fil di palo.

Indimenticabile. Lo stadio Meazza trattiene il respiro e in diversi settori sono in molti i tifosi milanisti che si alzano in piedi ed applaudono la prodezza del brasiliano: sembra davvero di essere a Teatro! Riguardare i filmati d'epoca mi mette ancora i brividi.

Sul campo il Milan accusa il colpo e la paura della beffa paralizza i giocatori.

E, come spesso accade in questi casi, la "beffa" arriva puntuale solo 3 minuti dopo, quando Franco Causio detto anche "Brazil", riceve un passaggio filtrante del brasiliano anagrafico, Re Zico, e con una micidiale finta di corpo disorienta il suo marcatore al limite dell'area per poi entrarvi e calciare una "rasoiata" ad incrociare, a filo d'erba e gonfiare la rete rossonera. 3-3. Game Over e standing ovation. Splendido bis del Barone Causio che solo due anni prima, nell'ultimo Milan - Udinese, sempre in gennaio,' aveva segnato all'89' il gol della vittoria friulana costata poi la panchina a Gigi Radice. 

In 6 minuti dal gol del 3-1 si è passò al 3-3 finale.

A fine gara un Ilario Castagner ancora incredulo e arrabbiato per l'esito finale, dichiarò che senza il gol del 3-1 la partita sarebbe finita 2-1. Morale: mai stuzzicare il can che dorme e mai tirare i remi in barca quando navighi in un mare dove ci sono gli squali. (leggasi i grandi campioni).

In una tribuna d'onore delle grandi occasioni, oltre che al presidente Federale Federico Sordillo e il CT campione del Mondo in carica Enzo Bearzot, alla fine spiccarono i commenti "eccezzziunali veramente" di Diego Abbatantuono, ancora in versione "Ras della Fossa". 

Con l'inserimento del tabellino del memorabile match che non servì a vincere nulla, con i voti che assegnò ai protagonisti Franco Mentana sulla Gazzetta dello Sport del 9 gennaio, concludo il mio viaggio nel mondo delle meraviglie del campionato italiano anni '80.


Milan - Udinese 3-3

8' rig. Franco Baresi (M), 40' Zico (U), 43' Verza (M), 81' Blisset (M), 84' Zico (U), 87' Causio (U).

MILAN: Piotti 6, Tassotti 5, Evani 5, Icardi 6,5, F. Galli 7, F. Baresi 5,5, Carotti 7, Battistini 7, Blisset 6, Verza 7, Damiani 6. - Entrati: Spinosi s.v., Manzo 6

Allenatore: Castagner 

UDINESE: Brini 5,5, Galparoli 5,5, Cattaneo 6, De Agostini 5,5, Edinho 5, Miano 6, Causio 7,5, Marchetti 5,5, Mauro 5,5, Zico 8, Virdis 6 - Entrati: Danelutti s.v. e Pradella s.v.

Allenatore: Ferrari

Arbitro: Mattei di Macerata 7,5

venerdì 13 novembre 2020

LA MIGLIOR UDINESE DI SEMPRE

 

Qual è stata la migliore Udinese di sempre? Domanda dalla risposta univoca quanto mai ardua “per definizione”, ammesso e non concesso di trovare un accordo sull’altrettanto complessa questione di cosa si debba intendere per “migliore” (miglior piazzamento? quella capace di esprimere il gioco “migliore”? quella che ha lasciato la traccia “migliore” nella mente e nel cuore dei suoi tifosi? quella che ha lasciato il segno “migliore” fuori dalla friulanità? Ecc…)

Altra variabile decisiva alla risposta “univoca” poi è l’età dell’intervistato: per cui quelli della generazione prima della mia probabilmente risponderanno l’Udinese 1954/55 (quella di “Raggio di Luna” Selmosson capace di arrivare seconda dietro al Milan di Liedholm), quelli della mia l’Udinese 1983/84 (il primo anno di Zico) oppure quella 1997/98 (con Bierhoff e Zaccheroni in Uefa per la prima volta e terzi in campionato) e quelle a seguire probabilmente si divideranno tra il 2004/2005 o il 2010/2011 (rispettivamente le annate simbolo di Luciano Spalletti e Francesco Guidolin, in grado di conquistare da outsider i preliminari di Champions League, piazzandosi al quarto posto finale). La mia risposta, utilizzando il cuore del tifoso, è facile su entrambe le questioni: la squadra “migliore” è quella che “ti ha fatto sognare di più” e quindi l’Udinese “migliore” di tutti i tempi fu quella che prese il via nella stagione 1983/84 vincendo per 5-0 contro il Genoa alla prima giornata sul campo di Marassi, non importa se poi, strada facendo disattese gran parte delle aspettative, sia sul piano squisitamente tecnico e agonistico (si piazzò al nono posto della classifica finale con un risultato insipido e inferiore all’anno precedente) che su quello societario (abbandono del gruppo Zanussi e addio del general manager Franco Dal Cin).

Riavvolgiamo il nastro e andiamo con la mente a fine maggio del 1981: al termine delle prime due tribolate stagioni di serie A (salvezza grazie ad un ripescaggio nella prima e all’ultimo minuto dell’ultima giornata grazie alla classifica avulsa nella seconda), che facevano seguito a ben 17 campionati di serie C e uno di B, la proprietà dell’Udinese passa di mano dall’imprenditore veneto “dei gelati” Teofilo Sanson al gruppo Zanussi di Pordenone. Registi dell’operazione l’allora Sindaco di Udine Angelo Candolini e il giovane e ambizioso direttore sportivo dell’Udinese, il trentottenne originario di Vittorio Veneto, Franco Dal Cin. Il cambio di passo s’incomincia facilmente intuire sin dalle prime battute: all’inizio degli anni ’80 il gruppo Zanussi è un colosso europeo nel campo della produzione degli elettrodomestici, dà lavoro a 35.000 dipendenti e il suo Presidente, il cavaliere del lavoro di origini romane Lamberto Mazza assumendo anche la presidenza del club friulano, fa subito intendere che l’Udinese è diventata una delle aziende del gruppo e pertanto dovrà raggiungere risultati adeguati e in linea con il ruolo di testimonial di un importante impresa industriale che opera sui mercati internazionali. Entusiasta del progetto è senza dubbio Franco Dal Cin, che si adopera altrettanto sollecitamente per vincere la sfida di portare in 3 anni un club di provincia a competere in Italia e in Europa ai massimi livelli. Per la stagione 1981/82 il primo “step” verso l’obiettivo finale prevede il raggiungimento di una tranquilla salvezza e la creazione di un nucleo tecnico-agonistico all’altezza della categoria e così, durante il mercato estivo e autunnale, vengono acquistati giocatori già esperti e affermati quali il veterano della nazionale Franco Causio dalla Juventus,  Carlo Muraro e Franco Pancheri dall’Inter già campione d’Italia,  Cesare Cattaneo dall’Avellino, Dino Galparoli dal Brescia, l’ex nazionale brasiliano Orlando Pereira dal Vasco de Gama, Roberto Bacchin dal Bari e  Angelo Orazi dal Catanzaro. I nuovi vengono a dare esperienza e sostanza ad un gruppo di giovani usciti dalla Primavera campione d’Italia e confermati in prima squadra tra cui i veneti Manuel Gerolin, Fausto Borin e i friulani Paolo Miano, Gianfranco Cinello e Giorgio Papais.  

Alla guida tecnica viene confermato Enzo Ferrari, l’allenatore quarantenne di San Donà di Piave che la stagione precedente aveva condotto la primavera al titolo nazionale e, subentrando da esordiente all’inizio del girone di ritorno a Gustavo Giagnoni in prima squadra, aveva “ribaltato” un gruppo già destinato alla retrocessione e, inserendo il blocco della giovanile, l’aveva traghettato ad una spettacolare rimonta conclusasi con la salvezza.

La tifoseria riempie uno stadio Friuli la cui capienza è stata portata sulla soglia dei 40.000 posti e assiste entusiasta al raggiungimento dell’obiettivo stagionale: comoda salvezza conquistata con tre giornate d’anticipo sciorinando spesso nelle partite casalinghe uno spregiudicato gioco d’attacco e stropicciandosi gli occhi con le giocate del capitano Franco Causio che, ben lungi dall’essere “bollito”, riconquista la nazionale in partenza per i mondiali e vince il premio della stampa sportiva quale miglior giocatore per rendimento di tutta la seria A.

L’obiettivo societario dichiarato per la stagione seguente è quello di consolidare definitivamente la presenza nella massima serie, con una squadra in grado di competere ora con le prime otto della classifica e ancor prima che inizi il mercato estivo sono già stati opzionati (e poi perfezionati) gli acquisti di giocatori di caratura internazionale come il nazionale brasiliano Edinho dalla Fluminense, il capitano della nazionale jugoslava Ivica Surjak dal Paris Saint-Germain, il centravanti titolare neo campione d’Italia della Juventus Pietro Paolo Virdis, l’esperto bomber del Torino Paolo Pulici, il portiere Roberto Corti del Cagliari e, strappandolo alla concorrenza delle “Big”, il giovane talento Massimo Mauro dal Catanzaro. Parallelamente i migliori della stagione conclusa vengono confermati, lo stadio Friuli ingrandito con l’aggiunta di altri 5.000 posti in piedi rialzando le curve e agli abbonati per la stagione 1982/83 data la possibilità di sottoscrivere anche azioni societarie diventando così soci del Club in analogia con quanto avveniva (e avviene) nelle polisportive come il Real Madrid ed il Barcellona.

Anche il secondo step verso l’obiettivo finale viene centrato con precisione “ingegneristica”: i quasi 20.000 abbonati assistono ad un sesto posto finale con sole 4 sconfitte nell’arco delle 30 partite stagionali e al conseguimento del record dei pareggi: ben 20, spesso vittorie mancate di un soffio. La qualificazione in coppa Uefa (allora si qualificavano solo 2 squadre) mancata solo nelle ultime giornate, e i grossi club costretti a “fare le barricate” quando scendono sul terreno del Friuli per non uscire sconfitti, sembrano essere segnali di un sicuro viatico al conseguimento dell’obiettivo finale per la stagione 1983/84.

Così si arriva ai primi giorni di giugno del 1983 quando, lasciando tutto il mondo sportivo – e non solo – a bocca aperta, il general manager Franco Dal Cin annuncia che l’Udinese ha acquistato dal Flamengo di Rio de Janeiro, con un contratto triennale, niente meno che Arthur Antunes de Coimbra detto Zico, l’asso brasiliano che assieme a Michel Platini e Diego Armando Maradona divide la fama di essere “il più forte del mondo”. A livello mediatico una sorta di Lionel Messi o di Cristiano Ronaldo dei giorni nostri, per aiutare un po’ i più giovani a capire al meglio di cosa si trattasse. I tifosi friulani, ancora inebriati dalla vittoria mundial dell’estate precedente, dove i friulanissimi Bearzot e Zoff avevano condotto la nazionale italiana ad una imprevisto e leggendario titolo mondiale in Spagna, passano un mese e mezzo “di fuoco” tra l’incredulità prima, la rabbia poi e infine una gioia pazzesca. La federazione, presa in contropiede, all’inizio si mette di traverso e chiude le frontiere ai giocatori stranieri, respingendo il tesseramento del campione brasiliano all’Udinese e quello dell’altro nazionale carioca Toninho Cerezo alla Roma per presunte irregolarità formali e regolamentari. Scoppia il finimondo: adunate oceaniche di piazza, cartelli “O Zico o Austria”, mobilitazione del mondo politico regionale e persino l’intervento del Presidente della Repubblica “più amato dagli italiani” Sandro Pertini; a fine luglio un comitato di tre insigni giuristi - Massimo Severo Giannini, Giuseppe Guarino e Rosario Nicolò - nominati dal CONI accolgono i ricorsi di Roma e Udinese e danno via libera al loro arrivo immediato, con Re Zico che raggiunge i nuovi compagni all’Hotel Nevada di Tarvisio in preparazione per la stagione 1983/84.

Seguiranno nei giorni successivi la famosa passerella in auto d’epoca per le vie di Udine gremite di tifosi festanti e la dichiarazione sul palco di piazza XX settembre che lui è venuto all’Udinese per “portare lo scudetto”, con il Presidente del coordinamento degli Udinese Club, Gian Raffaele Antonucci, pronto a chiosare “Che ne direste se cambiassimo il nome di questa piazza in Piazza Zico?”.

Udine finisce al centro dell’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica, non solo sportiva, di tutto il mondo e nell’ambiente nazionale l’ipotesi ventilata dal brasiliano inizia ad essere presa in seria considerazione: la squadra friulana è arrivata sesta alla fine della scorsa stagione ed è piena di giocatori esperti dai “piedi buoni” di livello internazionale e di alcuni giovani giocatori italiani che si sono già distinti nella massima categoria. A ben vedere, per dare maggiore e definitiva competitività alla squadra, servirebbero un difensore e un centrocampista di più qualità e forse un tecnico più esperto a gestire la nuova situazione venutasi a creare, ma nel frattempo i risultati del precampionato autorizzano a “credere nel sogno”. L’Udinese si presenta imbattuta ai nastri di partenza della nuova stagione, passando per la prima volta i gironi della Coppa Italia espugnando il San Paolo di Napoli, collezionando una serie di “scalpi” prestigiosi battendo al Friuli nell’ordine: l’Hajduk Spalato (3-1), il Vasco de Gama (3-0), il Real Madrid (2-1), l’America di Rio (3-0) e pareggiando per 1-1 sul campo dell’altrettanto ambiziosa Sampdoria di Mancini, Wierchowod, Bordon, Brady e Francis. Gli abbonati, ancor oggi record per la società, avevano superato le 26.000 unità. Dopo le prime due giornate di campionato l’Udinese è in testa alla classifica a punteggio pieno assieme alla Roma, ma con miglior differenza reti e Zico è già in testa alla classifica dei marcatori con due doppiette. I friulani sono richiesti in tutta Italia e nel mondo disputare amichevoli, il Barcellona in marzo viene a Udine e perde per 4-1, mentre a fine campionato la squadra è invitata negli Stati Uniti e in Australia per disputare una serie tornei e di amichevoli. Ecco, per me, quello è stato l’apice della storia del club: il momento in cui sognare era divenuto lecito. Durò poco. Il colosso svedese Electrolux acquistò il pacchetto di maggioranza del gruppo Zanussi nella primavera del 1984 e liquidò l’uscita del Cav. Lamberto Mazza dalla direzione pordenonese con le azioni dell’Udinese Calcio Spa; il Club pertanto usciva dalle strategie e, soprattutto, dalle disponibilità finanziarie di un gruppo industriale per passare nelle mani di un privato, con le conseguenze facilmente immaginabili. Il general manager Franco Dal Cin, che nel frattempo aveva già opzionato inutilmente per la stagione 1984/85 il brasiliano Junior del Flamengo e Fulvio Collovati dell’Inter, colse subito la mala parata e prima che il campionato 1983/84 finisse lasciò l’incarico per accasarsi con i nerazzurri milanesi. Lamberto Mazza avocò a sé l’intera gestione, facendo entrare nel consiglio di amministrazione anche il figlio Stefano e dovette adeguare i programmi sportivi alla mutata situazione societaria. Che certo non erano più quelli di “vincere lo scudetto e giocare le coppe europee” ma ritornava ad essere quello di consolidare la permanenza in serie A. A fine stagione venne esonerato l’allenatore Enzo Ferrari e non fu rinnovato il contratto al capitano Franco Causio che seguì Dal Cin a Milano, mentre Pietro Paolo Virdis fu ceduto al Milan. Venne imbastita una trattativa con il Torino anche per la cessione di Zico, che non andò in porto per la riluttanza del brasiliano e per i malumori della piazza, ancora non del tutto pronta a scendere così bruscamente dal treno dei sogni.

Nel 2015 ebbi occasione di conversare con Enzo Ferrari sulle gioie e i dolori di quel periodo, su cosa fosse mancato a quella squadra per raggiungere l’obiettivo finale e mi confermò di aver creduto anche lui nella fattibilità dell’impresa, che riuscì invece al Verona 1984/85. A suo dire remarono contro la cattiva gestione del brasiliano, costretto a disputare un gran numero di amichevoli per questioni finanziarie, ma inutili dal punto di vista tecnico, che lo portarono ad una serie di infortuni decisivi per il suo rendimento e per l’apporto che avrebbe potuto ancora dare nella fase finale e cruciale del campionato, il mancato acquisto di un paio di buoni elementi a centrocampo e in difesa ma più di tutto il cambiamento societario che scombinò tutta l’architettura su cui si era basato il progetto e con la quale era stato ben condotto fino a quel momento.

Quella stagione, in cui l’Udinese aveva sempre veleggiato tra il quarto e il quinto posto, subito a ridosso di Juventus e Roma che si contesero il titolo, si concluse con il piazzamento al nono posto, “grazie” alla sconfitta casalinga con il Milan nell’ultima giornata e ad una serie concomitante di risultati sfavorevoli nelle partite in cui erano impegnate le altre squadre di medio-alta classifica. A fine partita, il Presidente Lamberto Mazza comparve sul megaschermo dello Stadio Friuli – uno dei primi realizzati d’Europa – per annunciare agli increduli tifosi ancora delusi per l’esito del torneo, che se avessero voluto continuare a vedere Zico in una grande Udinese avrebbero dovuto versare nelle casse sociali a titolo di prestito almeno 4 miliardi di vecchie lire. Fu l’inizio della fine. Nella stagione successiva, la squadra indebolita e con Zico bersagliato da continui infortuni – giocò solo 16 partite segnando 3 reti – lottò per salvarsi sino alle ultime giornate, con il brasiliano costretto a rientrare in fretta e furia al Flamengo ad una giornata dal termine del campionato con l’accusa di evasione fiscale e costituzione di capitali all’estero. Accolto come un Messia e costretto dall’inadeguata gestione atletica e dalle alchimie giuridico-finanziarie del suo trasferimento all’Udinese a tornare acciaccato in Brasile, scappando pure come un ladro.

Ad ogni buon conto, ecco la rosa con tra parentesi le presenze e le reti in campionato, della mia “migliore” Udinese di sempre, capace di vincere 11 partite, pareggiarne 9 e perderne 10, segnando 47 reti e subendone 40 nelle 30 giornate del torneo di serie A 1983/84.

Portieri

Fabio Brini (25, -35), Fausto Borin (5, -5)

Difensori

Dino Galparoli (30,1), Cesare Cattaneo (25,0), Edinho (29,4), Attilio Tesser (8,0), Franco Pancheri (20,0)

Centrocampisti

Luigi De Agostini (25,1), Paolo Miano (26,1), Manuel Gerolin (21,0), Alberto Marchetti (24,1), Massimo Mauro (30,2), Franco Causio (cap.- 30,3), Sandro Danelutti (8,0), Loris Dominissini (11,0)

Attaccanti

Zico (24,19), Pietro Paolo Virdis (29,10), Loris Pradella (13,1), Gino Masolini (1,0)

Staff Tecnico

Enzo Ferrari (allenatore)

Narciso Soldan (allenatore in seconda)

Cleante Zat (preparatore atletico)

Fauso Bellato (medico sociale)

Gianfranco Casarsa (Massaggiatore)

 

Sono sicuro che molti storceranno il naso sulla mia scelta perché è vero che quella squadra non vinse nulla e anzi a fine campionato la delusione fu grande per il mediocre piazzamento, che male ricompensava le grandi attese della vigilia.

Nella più che trentennale e successiva gestione della famiglia Pozzo furono raggiunti risultati strepitosi, sempre mettendo in pista formazioni capaci invece di raccogliere sul campo molto e molto di più di quanto era lecito attendersi alla partenza. Tutte quelle formazioni ci hanno sorpreso e ci hanno regalato gioie e importanti traguardi inattesi, ma a ben vedere nessuna ci ha mai fatto sognare per davvero, perché sapevamo sempre che comunque a fine anno sarebbero state smantellate e che sarebbe sempre “mancato il centesimo per fare l’euro” per vincere uno scudetto o “solamente” una Coppa Italia. Altri tempi e altro calcio. Tutto vero. Non è più tempo di sogni ma di realismo. Anche per il tifoso.

Concludo raccontando un aneddoto per tentare di spiegare ai più giovani, che non hanno potuto vivere la parabola dell’Udinese targata Zanussi, il motivo della mia scelta.  Nell’estate del 2019 mi trovavo per un paio di settimane in Irlanda, a Cork, per frequentare un corso di aggiornamento e dividevo l’appartamento con un giovane brasiliano di una trentina d’anni. Ci presentammo e naturalmente al canonico “Where’re you from?” risposi altrettanto canonicamente “Italy, about 150 km north-east away from Venice”; il mio interlocutore, di San Paulo, non fu soddisfatto e mi chiese di essere più preciso e così, obtorto collo, aggiunsi: “Near Udine, you surely don’t know it.” E lui: “Oh yes! Surely i know! Udine, Zico, Udinesi!!”.

giovedì 12 novembre 2020

L'ULTIMO CAPITOLO DEL GRANDE SCHERMO DUCALE

Gli anni '70 del 1900 sono stati l'ultimo decennio in cui a Cividale le sale cinematografiche rappresentavano un importante luogo di aggregazione sociale per tutte le fasce di età e per le famiglie cividalesi.  

Gli anni d'oro furono invece gli anni 50' e i 60', con la presenza costante di tre sale funzionanti e frequentate abitualmente al limite della capienza: il "Cinema - Teatro Ristori", 600 posti ca. in via Ristori e di proprietà comunale, gestito dalla famiglia Cumini, il "Cinema Ducale" 500 posti ca. in Piazza Picco, di proprietà e gestione della Parrocchia di Santa Maria Assunta ed infine del "Cinema Impero" 200 posti ca. in Corso Mazzini, di proprietà privata e gestito dalla famiglia Cumini nell'ultimo periodo.

L'inizio del calo degli spettatori si ebbe con l'avvio della diffusione della televisione in quasi tutte le case a partire dalla seconda metà degli anni '60, il diffondersi delle automobili e di nuove forme di attrazione alternative, l'arrivo della TV a colori a fine anni '70, il cambiamento delle politiche distributive delle case di produzione cinematografiche con l'uscita delle prime visioni solo nei centri più densamente popolati ed infine, il decisivo "colpo di grazia" a metà degli anni '80: l'arrivo e la diffusione di videoregistratori e cassette VHS che consentivano la visione dei film praticamente "on demand" nella propria abitazione.

Negli anni '70 le tre sale cividalesi si erano ben differenziate, servendo gusti ed esigenze differenti: se al "Ristori" si proiettavano tutte le "prime Visioni" e successivamente le pellicole di maggior successo uscite nelle sale udinesi, il "Ducale" offriva film per "famiglie cristiane" e comunque con tematiche e soluzioni non in conflitto con la morale cristiano-cattolica, mentre il Cinema "Impero", con l'eccezione della Pasqua e del Natale, si rivolgeva al pubblico "adulto" con la proposta di proiezioni esclusivamente e rigorosamente V.M. 18 e talvolta V.M. 14. 

Il primo a gettare la spugna fu il "Ducale" nell'estate del 1979: oramai l'affluenza del pubblico era troppo scarsa, non riusciva neanche a pareggiare i costi della gestione e la Curia aveva già deciso di cedere alla ditta Vidussi oltre all'immobile, anche tutta l'area del Ricreatorio, con annesso Teatrino adiacente. Tutta l'area e gli immobili vennero demoliti nell'estate del 1990 per essere poi riqualificati a fini commerciali.

Il "Ristori" venne chiuso nel 1986 per essere ristrutturato con la finalità di renderlo più idoneo all'uso teatrale e concertistico: un vero e proprio ritorno alle origini, dopo la radicale trasformazione subita nei decenni precedenti, dove ci si era mossi in senso contrario per seguire il boom economico dell'industria cinematografica e mutato un Teatro all'italiana con i palchi in una moderna, per il tempo, e più capiente sala cinematografica. Nei decenni successivi alla riapertura e fino ai giorni nostri, tutti infelici e di breve durata si sono rivelati alcuni tentativi di riavviare qualsiasi forma di proiezione.

L' "Impero" fu l'ultimo a "cedere le armi", cessando l'attività all'inizio degli anni '90; in questo caso l'arrivo dei megaschermi nelle caserme e poi la successiva chiusura di ben 3 delle 4 basi militari cittadine con la drastica riduzione della clientela connessa ne decretarono la fine: i pochi "aficionados" locali non bastavano più a garantire la sostenibilità economica neppure di quel cinema di "nicchia".

Il Ristori esponeva il manifesto della pellicola in programmazione su piazza Diaz, mentre il Ducale sul lato sinistro dell'Arsenale Veneto verso Borgo San Pietro mentre l'Impero, esclusivamente per le proiezioni natalizie e pasquali o per quelle rare "erga omnes" in Largo Boiani, di fronte alla farmacia Minisini - le proiezioni "ordinarie" erano invece "pudicamente" esposte solo sulla vetrata d'ingresso in Corso Mazzini.

Il mio ricordo, quasi commosso, va sicuramente al Cinema "Ducale", il luogo in cui da bambino mi sono innamorato del Cinema in tante domeniche pomeriggio passate usufruendo dei biglietti omaggio che Monsignor Corrado Puppa elargiva a chi "serviva messa" alla funzione domenicale delle 10:30 in Duomo, ovvero quella capitolare, cantata e dall'interminabile rituale con diversi passi in latino. Una vera e propria "prova di resistenza" per un ragazzino di 10 anni, che senza quell'incentivo sicuramente non sarebbe mai stata vinta ogni domenica.

Fu in quella grande sala con platea e galleria capaci di contenere più di 500 posti a sedere e con l'ampio foyer dove stazionavano i manifesti dei film di prossima programmazione e una biglietteria fornitissima di caramelle, che vidi per la prima volta film come "Gli Aristogatti", "Fantasia",  "Torna a casa Lessie", "I cannoni di Navarone", "Dove osano le aquile", "Pomi d'ottone e manici di scopa", "2001 odissea nello spazio", "La fuga di Logan", "Il giorno più lungo" e tutte le pellicole di James Bond con Sean Connery e una lunga lista di "cazzotti" con Bud Spencer e Terence Hill.

L'ultima volta che ci misi piede fu nel gennaio del 1979, quando per la chiusura, la Parrocchia derogò ai suoi "standard" proponendo "Grease" con John Travolta e Olivia Newton John  pochi mesi dopo il debutto nazionale,  in funzione di ottenere un bel "sold out" e con i denari freschi dell'incasso, probabilmente tacitare qualche fornitore, ormai stanco di aspettare. Operazione riuscita, per il passo d'addio il Cinema Ducale traboccava di spettatori. Sicuramente tutti i teen-ager della città.

Negli anni che seguirono e fino ad oggi nessuna forma di proiezione sostitutiva, neppure i più sofisticati home theater con super impianti dolby surround e pollici dello schermo come se piovesse, sono stati in grado di regalarmi le emozioni e i sogni che ancora adesso mi regala il Cinema.

Specialmente quando la sala è grande e  piena zeppa di spettatori. Circostanza rara, ben prima del Covid. 



 


  

  

 



   



lunedì 9 novembre 2020

NOVE NOVEMBRE

Ricordare il 9 novembre 1989 significa per me ripensare ad un momento in cui l’impossibile può diventare non solo possibile ma addirittura reale, contro ogni previsione. Avere 23 anni nella primavera 89/90 e respirare quel clima di ottimismo e slancio verso un futuro che ci pareva pieno di pace, sicurezza, prosperità e abbattimento delle distanze sociali tra ricchi e poveri è stato magnifico. Anche a distanza di 31 anni, quando è sin troppo evidente che quel clima di euforia si è completamente perduto nelle pieghe di un futuro, divenuto presente e passato prossimo, molto diverso da quanto avevamo ritenuto ingenuamente più certo, che possibile. E ogni anno che passa, cresce la nostalgia per quel "sentire" che si è diluito nello scorrere del tempo e del verificarsi dei fatti della Storia ed della nostre Vite.

giovedì 5 novembre 2020

UNIVERSITAS STUDIORUM FOROIULIENSE













Esiste un legame storico tanto lontano quanto significativo tra Praga e Cividale del Friuli e che al giorno d'oggi può sembrare solo una curiosità al di fuori dei contesti accademici; questo legame fa riferimento alle figure di Carlo IV di Lussemburgo, re di Boemia e Imperatore del Sacro Romano Impero dal 1349 al 1378 e al suo fratellastro Nicolò di Lussemburgo, già prevosto della diocesi di Praga e Patriarca d'Aquileia dal 1350 al 1358.

Figlio di Giovanni di Lussemburgo e di madre ignota,  Nicolò nacque verso la fine del 1321 e con grande tenacia Carlo IV, si adoperò affinché egli subentrasse a Bertrando di Saint-Geniès, nella veste di patriarca di Aquileia. Assecondò le aspettative dei cittadini di Cividale pregando l'imperatore e fratellastro di concedere alla città il privilegio di fondazione dell’Università. Il re e imperatore accolse le richieste e fece assumere il valore legale di “Studium” delle arti liberali e del diritto ad gruppo di Maestri che già operavano in città dal 1294 su invito del Magnifico Consiglio cittadino, ma soprattutto concesse alla nuova Università cividalese la facoltà di assegnare titoli dottorali (Praga, 1° agosto 1353)

Si pensi che l'Università di Padova è stata fondata nel 1222, gli Statuti ufficiali di quella bolognese risalgono al 1317, mentre quelli di Cambridge, Oxford e Parigi rispettivamente nel 1209, 1249 e 1170.  

La costante lotta di potere con Udine, le liti tra le diverse famiglie friulane e i continui disordini sociali non permisero il decollo e il consolidamento dell'attività accademica e così lo Studium fu chiuso nel 1419, un anno prima della fine del Patriarcato e dell'annessione della Città alla Repubblica di Venezia. Quel momento segnò l'inizio di un declino economico e culturale che proseguì lento e inesorabile nei secoli dei secoli, per Cividale in primis, ma a stretto giro di posta anche per Udine e tutto il Friuli storico.
Il Friuli, per avere la sua Università, dovette aspettare 557 anni, quando a seguito della raccolta di 125.000 firme dopo il terremoto del 1976, lo stato italiano decretò la nascita dell'Università degli sudi di Udine il 6 marzo 1978.

La storia non si fa con i se e con i ma. 
In ogni caso non può che essere ricca di fascino la domanda "Come sarebbe stata la storia di Cividale e del Friuli se quell'Università fosse riuscita a superare i tormenti dell'avvio in quei secoli e a sopravvivere fino ai giorni nostri come gli istituti accademici più famosi e a lei coevi?"

Per quanto attiene alla realtà storica non possiamo far altro che prendere atto che non sono andati a buon fine i tentativi recenti di portare qualche facoltà dell'ateneo udinese nella città ducale - sostanzialmente per il netto rifiuto del corpo docente - e neppure vita lunga ha avuto l'insediamento della Scuola di Specializzazione in Beni Storico-artistici nell'ex Monastero di Santa Maria in Valle. 

Il Futuro? è sempre tutto da scrivere.

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