lunedì 26 febbraio 2018

POLEMICHE,POLEMICHE, POLEMICHE

In campo italiano continua la polemica. Si dice che è stata una spedizione preparata male e condotta peggio. Si parte da molto lontano. Perché Alassio per il ritiro iniziale? Non si sapeva che Vigo era molto più fredda? E perché una composizione tecnica così cervellotica? Tre Tecnici (Bearzot, Maldini, Vicini) e nemmeno un preparatore atletico? E perché solo un medico? Decine di dirigenti accompagnatori e poi se Vecchiet si ammala bisogna chiamare un medico a Pontevedra per curare lui. 
Il Brasile, che di mondiali se ne intende, ha persino un dentista al seguito.

Sappiamo tutti com'è andata a finire...

lunedì 19 febbraio 2018

CONTI CHE NON TORNANO


Facciamo 4 conti …. Forze presenti ed operanti all'inizio della battaglia: 229 mila. Tolta da questa cifra 29.690, che sono i feriti e i congelati rimpatriati, restano 199.310 combattenti. Alla conclusione della battaglia mancavano all'appello 84.830 uomini. I superstiti furono dunque 114.485. L'URSS dopo la guerra ha restituito 10.030 prigionieri.
Sono state sufficienti 17 tradotte nel marzo del 1943 a riportare in Italia quello che rimaneva dell’ARMIR, l’Armata Italiana in Russia. Ne erano partite 225.
... ho sempre detto che la matematica è una brutta cosa… però, se 2+2 fa 4, a me i conti non tornano: nessuno mi ha detto ancora dove sono finiti 74.800 commilitoni… ma ho paura che questa sia un'altra storia…


VOCE DI KRUSCEV

Il Governo Italiano di tanto in tanto ci invia delle note in cui si chiede di sapere dove si siano cacciati i soldati italiani che hanno combattuto contro di noi, che hanno invaso il nostro paese e che non sono tornati in Italia. Forse non sa cos'è la guerra? La guerra è come il fuoco. E' facile saltarci dentro, ma è difficile saltarne fuori, ti bruci. E così sono bruciati in questa guerra i soldati italiani.

giovedì 15 febbraio 2018

VENTITRE. PIAZZA DI SPAGNA.

Ogni volta che Ruben veniva a Roma non rinunciava mai ad una sosta al numero 23 di Piazza di Spagna, dove all'immediata sinistra della scalinata di Trinità dei Monti si trova il Babingtons Tea Room, la storica sala da tè che aveva fatto conoscere ai romani la bontà di una bevanda che, fino al 1893, si poteva acquisire solo in farmacia. Sorseggiandola, in quella fredda mattinata di novembre, ripensava a ciò che aveva appena letto sulla Carta: "Quasi tutte le strade portano a Roma. Ma tutte, assolutamente tutte le strade di Roma portano a Piazza di Spagna. Alla Scalinata. Alla fontana del Bernini. Dei due Bernini (padre e figlio). E quindi da Babingtons. Fateci caso." Era vero anche per lui. Tutte le sue strade finivano per portarlo a Roma e a portarlo in quel luogo. Perché? Forse era la storia particolare di quel posto ad affascinarlo e a fare da calamita? Sicuramente valeva per Roma. Ma perché proprio Babingtons? Forse perché anche la storia delle origini di Babingtons lo affascinava e gli risuonava in qualche modo familiare:  nel 1893, due giovani signorine inglesi di buona famiglia, Isabel Cargill, figlia del capitano Cargill, fondatore della città di Dunedin in Nuova Zelanda e Anna Maria Babington, discendente di quell’Antony Babington impiccato nel 1586 per aver cospirato contro Elisabetta I avevano decise di "sbarcare" nella Città Eterna e di investire tutti  i loro risparmi per aprire nella capitale una sala da tè e di lettura da destinarsi alla comunità anglosassone. In realtà c'era dell'altro e proprio in quell'altro bisognava cercare rispondere alla domanda. Lui lo sapeva bene, ma in quella mattinata non voleva cercare, trovare la risposta gli provocava un moto di fastidio e poi l'attenzione della sua mente si era spostata sulle rovine del tempio di Hera a Olimpia, dove un mese prima un grumo del suo inconscio sembrava uscito da quei ruderi e lo aveva accompagnato per tutto il suo soggiorno, tra ciò che rimaneva della città delle Olimpiadi. Rientrato a casa, a Madrid, quel frammento d'inconscio era ridisceso nel Mare Magnum senza tempo, senza pensieri e senza parole che si celava dentro di lui. Naturalmente quella "libera uscita" non autorizzata non era stata indolore per il mondo della sua coscienza dominato da Kronos. In verità era stata un'esplosione: l'equilibrio precario che in un paio d'anni era riuscito a costruire sentimentalmente e proprio a partire da dove stava bevendo adesso quell'impareggiabile Tè indiano, si era completamente dissolto. - Quando materia e antimateria vengono a contatto l'esplosione non può che essere potentissima - considerò tra sé e sé mentre sentiva il calore della bevanda scendere nello stomaco. Ammise a sé stesso che non era stato sufficiente e né tanto meno utile tenere il più possibile a distanza la materia nigra, i grumi onirici, le pulsioni ancestrali dal Regno di Athena. Kairos chiedeva spazio a Kronos. - E ora? che farò ora? - s'interrogava Ruben posando gli occhi sulla finestra che faceva intravedere il via vai di turisti che salivano e scendevano la più celebre scalinata del Pianeta. Forse la migliore decisione da prendere era quella di "non decidere", di farsi guidare in quella nuova fase del Viaggio dai segreti che da sempre si celavano dentro la sua Anima. - Cercherò di intralciarla il meno possibile con i pensieri  - si convinse. Non desiderava più imporre le ragioni della Ragione. - Mia cara Athena, hai fatto molto in questi anni e mi hai visitato a lungo: è ora che tu lasci un po' di posto anche alle altre divinità che decideranno di farmi visita - Ruben voleva attenderle e accoglierle, con un ottimismo nuovo perché percepiva di poter e voler dare fiducia alle immagini che avevano iniziato a salire sempre più frequentemente dal suo inconscio. A partire dalla più ricorrente in quel periodo, quella in cui si vedeva bambino, qualche settimana prima di iniziare la scuola elementare, per la prima ed ultima volta in vacanza a Venezia con i suoi nonni paterni. In quell'immagine lui era seduto sulla poppa del vaporetto che da Piazza san Marco era in navigazione verso il Lido e ammirava una grande nave da crociera battente bandiera tedesca. Era un bambino colmo di gioia e di stupore. Felice di essere alla scoperta dei segreti e delle bellezze del mondo. Forse aveva capito perché si trovava per davvero in quel momento a Roma, e più precisamente al numero 23 di Piazza di Spagna.
     

martedì 13 febbraio 2018

COME IL QUATTRO A SAN GOTTARDO

Aveva camminato per giorni e almeno per 8 ore al giorno; i giorni erano stati così tanti che Ruben non ricordava neanche quanti fossero stati esattamente: gli pareva di essere in cammino da... una Vita. Aveva camminato sotto il sole che spacca fino a dare la sensazione di sciogliere pensino i pensieri e quello che invece sembra baciarti la pelle e darti il pieno di energia; era stato bombardato dalla pioggia, quella pesante che pare prenderti continuamente a ceffoni e da quella sottile sottile, quasi invisibile e che ti bagna completamente senza fartelo capire; i suoi passi erano stati a volte sospinti dal vento a favore che metteva le ali ai piedi e a volte ostacolati dal flusso contrario che gli dava la sensazione di non riuscire ad avanzare di un metro senza bruciare tutti gli zuccheri immagazzinati nel corpo. Durante il cammino i suoi occhi erano stati avvolti dalle tenebre di notti così oscure da far risplendere le stelle quasi come fossero dei piccoli soli, altre volte invece accecati da una luce che pareva bruciare persino la retina. Aveva assistito ad albe e tramonti che toglievano il fiato, tanto erano in grado di tacitare persino quella voce dentro di lui che si muoveva tra gli snodi della materia grigia e accendere invece quella proveniva misteriosamente dalle anse dei visceri. Aveva dormito all'addiaccio, talvolta in qualche hotel a 5 stelle e altre volte in mezzo al groviglio informe di altre persone disposte alla meno peggio, come in un ospedale da campo dopo il passaggio dei bombardieri della Luftwaffe. Aveva cantato, da solo e con viandanti occasionali, aveva parlato con sé stesso e con molti sconosciuti incontrati lungo il cammino. E dopo quel tempo imprecisato era arrivato alla fine: l'Oceano si allungava come una enorme coperta sotto la rupe sulla quale si era seduto; una coperta mossa da qualche Essere misterioso che continuamente si muoveva al disotto e si agitava, talvolta in modo lieve e in altri momenti con movimenti imprevedibili ed impetuosi. Il Vento che arrivava da Ovest era dolce e gli accarezzava il viso e i capelli. "Si è più soli con la propria solitudine o vicino a qualcuno che ti fa sentire solo?" S'interrogò Ruben nell'istante in cui il suo Viaggio era arrivato al termine. "E' stata più grande la sofferenza per i propri desideri insoddisfatti o per la costante svalutazione subita da chi ti è stato vicino? E' stato più duro convivere nei e con i propri labirinti della mente o con i muri che ti avevano costruito intorno coloro a cui chiedevi invano attenzione?" La risposta tardava ad arrivare. Quell'Essere che si agitava sotto la coperta dell'Oceano probabilmente era troppo intento a dormire e a muoversi nel suo sonno, realizzò Ruben accendendosi una sigaretta . "Meglio la ghigliottina o la sedia elettrica?" ironizzò mentre un sorriso si dipinse sul volto e gli occhi iniziavano a farsi più umidi. Alzò gli occhi al cielo e rimase intento ad osservare le nubi che molto basse e scure correvano sopra di lui, desiderose di svuotare sopra la terra il contenuto che portavano in grembo. Anche da loro nessuna risposta, troppo indaffarate a compiere la missione che gli aveva affidato Madre Natura. Rivolse allora lo sguardo alle sue mani e ai suoi piedi che, nudi, erano sospesi sopra l'Oceano e la risposta arrivò con la stessa velocità e lo stesso rumore del fulmine che doveva essersi sprigionato qualche chilometro dietro di lui. "Meglio convivere con la propria solitudine.". 
"C'è qualcosa che non va? C'è qualcosa che posso fare per lei?" la voce preoccupata di una ragazza interruppe altrettanto bruscamente quel flusso di pensieri. Ruben si voltò e vide una giovane donna sconosciuta con lunghi e ribelli capelli rossi, mossi come la coperta che avvolgeva il Dio del Mare sotto i suoi piedi, occhi nocciola degni di un cerbiatto, un ampio sorriso capace illuminare la più oscura delle notti, con il piccolo naso all'insù e le guance ornate da efelidi che  sul suo volto avevano lo stesso effetto della prima fioritura primaverile nei prati dopo l'inverno. 
"No, grazie. Tutto a posto. Non c'è proprio nulla che tu possa fare per me." Disse Ruben sorridendo. Mentre due lacrime sgorgarono dai suoi occhi per scendere prima lentamente e poi, come un torrente di montagna, lungo le guance scavate dagli anni e dalla Vita.          

giovedì 8 febbraio 2018

PARADOSSO DEL SILENZIO















POSTULATI:
 - sia x il numero di opinioni che si possono esprimere al verificarsi di un accadimento umano o naturale;
- sia l'importanza attribuibile a ciascuna opinione esprimibile quale funzione di x
definibile come y = 1/x;
- sia x un numero appartenente all'insieme N dei numeri naturali;
- sia x sempre > 0

COROLLARIO
ne consegue che se il valore di x tende a + infinito il valore a cui tenderà f (x) è 0.

PER CUI - TESI:
com'è bello restare in Silenzio quando tutti fanno rumore, se e solo se, c'è almeno uno che fa rumore e tale bellezza cresce al crescere del numero delle persone che rumoreggiano.

immagine: LA TRIBUNA DEGLI UFFIZI (1772 - 1778) di Johann Zoffany (Francoforte 1733 - Strand-on-the-Green, Londra 1810) - Royal Collection, Windsor (UK)



mercoledì 7 febbraio 2018

PAGINE BUIE SENZA DIGNITA'

COMANDO DELLA DIVISIONE DI FANTERIA GRANATIERI DI SARDEGNA
Ufficio del Capo di Stato Maggiore

OGGETTO: Disarmo popolazione Lubiana
Alla Regia Questura di LUBIANA
26 febbraio 1942 XX

1) Gli uffici governativi, banche ecc. retti ESCLUSIVAMENTE da italiani nonché le case abitate SOLO da italiani non debbono essere sottoposti a perquisizione anche per tenere alto il prestigio della razza difronte alla popolazione

2) Analogamente gli italiani riconosciuti durante i fermi debbono essere subito messi in libertà e trattati con VISIBILE deferenza.

IL GENERALE DI DIVISIONE COMANDANTE
Taddeo ORLANDO

martedì 6 febbraio 2018

BERLIN. POTSDAMER PLATZ.


In questo luogo simbolo della riunificazione tedesca rilevo che ciò che mi suscita qualche emozione e fa scaturire interesse è il tentativo, tutto mentale, di immaginare com'era questo luogo prima che Renzo Piano progettasse il nuovo quartiere commerciale e che l'efficienza organizzativa teutonica trasformasse quelle idee in ferro, vetro e cemento riempendo il vuoto creato in precedenza dal Berliner Mauer. Quasi un tentativo di fare un viaggio immaginario nel tempo. In un tempo preciso, quando ero un giovanotto pieno di sogni, probabilmente di troppe aspettative e guardavo alla Berlino divisa tra Est e Ovest come ad uno dei luoghi più affascinanti del pianeta: forse neanche l'idea della Città celeste, in quegl'anni, avrebbe potuto provocare un'estasi pari alla possibilità di visitare Berlino prima del 1989. Oggi, dopo che ho imparato a vivere giorno per giorno senza più pormi progetti a lunga scadenza, tutti questi palazzi, questa omologazione ad un unico schema di vita basato sul consumo materialistico spinto al parossismo, non mi smuove "nulla" nel presente. Totale indifferenza. Encefalogramma piatto. Se invece metto in moto l'immaginazione e cerco di ricreare nella mente quello che c'era prima e provo ad immergermi in questa dimensione quasi onirica ecco... allora succede qualcosa di magico. Qualcosa sale dalle Viscere, fa vibrare lo stomaco e sale alla gola. Mi sento di nuovo un Essere Umano perché riesco a provare ancora delle emozioni, prima che il movimento onirico venga di nuovo congelato dal gelo paralizzante del presente. E torno nel Regno delle Ombre o meglio degli Automi, dove il mi Cuore resta sepolto e bloccato in una bara di ghiaccio grande e fredda come questi palazzi che hanno riempito un vuoto che prima era fatto di silenzi che urlavano e parlavano al Cuore. Tanto forte quanto era la disperazione.    

lunedì 5 febbraio 2018

CAPORETTO E DINTORNI

Cento anni fa la battaglia di Caporetto: la disfatta per gli italiani, il miracolo per gli austro-ungarici. L'ultima grande vittoria militare della monarchia asburgica, che di lì ad un anno avrebbe finito di esistere per sempre dopo quasi 1000 anni. Per l'esercito italiano la disfatta fu tale che ancor oggi nel linguaggio comune l'espressione "Caporetto" assume il significato di disastro ben oltre gli aspetti militari. Quali le ragioni di quella tremenda batosta? Il pesante logoramento dei "nostri" soldati, provati da due anni di continui assalti verso un nemico piazzato su posizioni difensive dominanti, attacchi ripetuti senza mai cambiare schema. E quando di colpo da attaccanti si videro attaccati non erano preparati e vennero travolti. Quali invece le ragioni del miracolo austro-ungarico? La forza della disperazione per essere prossimi oramai a crollare e l'aiuto di forze fresche a rinforzo, le armate tedesche del generale Von Below. E l'effetto sorpresa, unito ad un'accurata preparazione che diede potere decisionale anche ai singoli comandanti di piccoli reparti. Ma dopo Caporetto le truppe italiane trovarono nella ritirata sul Piave la capacità di resistere e riscattarsi mentre per gli Austriaci il tentativo di sfondare anche sul Piave si trasformò nella disfatta e nella dissoluzione dell'Impero.
La mia vita fino ad oggi è stata un procedere attraverso tante Caporetto, vissute sia da parte italiana che da parte imperiale: mi piacerebbe assaporare, prima di lasciare questa valle di lacrime, per una volta almeno, l'ebbrezza del Piave e della vittoria finale. E per una volta, solo da parte italiana.

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