giovedì 12 settembre 2019

IL TESTAMENTO DEL REGISTA

Fare parte di una compagnia teatrale è una delle esperienze più esaltanti che si possano maturare: significa imparare a conoscere sé stessi, ad interagire con gli "altri" e avere la possibilità grazie allo schermo del palcoscenico, di far emergere senza inibizioni, in un ambiente "protetto", i lati più nascosti del nostro "io", potendo anche sperimentare modalità comportamentali che non ci sono "familiari" nella vita di tutti i giorni. "Fare teatro" non significa imparare a recitare bene, avere una buona dizione, saper rispettare i canoni imposti dalla regia; "fare teatro" è mettere in gioco quell'unico ed irripetibile patrimonio che ognuno di noi possiede indistintamente: la propria anima. 
Una buona dizione, una buona memoria, un bel portamento altro non sono che "tecniche" al servizio della propria anima: pensare di "essere" attori praticando la sola tecnica vuol dire trasformare la possibilità di vivere un'Arte, quella del fare teatro, nella certezza di eseguire un compito scritto e pensato da altri. 
Tutto questo vi scrivo non per incitarvi a disprezzare od ignorare le "tecniche", che sono elementi necessari, anche se non sufficienti, per essere dei bravi interpreti; lo faccio con l'intento di esternarvi il mio modo di vivere il Teatro, visto che da oggi ci troveremo insieme a costruire un nuovo spettacolo ed io avrò il difficile, ma esaltante compito, di esserne il regista. 
Ad attenderci in questi mesi ci saranno di certo difficoltà e momenti "grigi", ma se sapremo coltivare tra noi il rispetto e la tolleranza reciproca, il premio sarà quello di vivere un'esperienza indimenticabile che ci renderà tutti più ricchi e …."VIVI", non dimenticando mai che, se attori e tecnici ameranno il loro lavoro e si divertiranno nel vivere lo spettacolo, il pubblico altro non potrà fare che mettersi in coda… 

Il Regista

mercoledì 4 settembre 2019

CAMERIERE?! CHAMPAGNE!


“Le illusioni rendono tossici gli amori, li portano a farci male, sono il più grande nemico dell’anima, sono demoni” esordì Raffaele Morelli con tono pacato ma allo stesso tempo risoluto, con l’aria di chi voleva mettere il punto esclamativo alla vexata quaestio, prima ancora che la discussione potesse entrare nel vivo. “Ben detto Raffaele! E io aggiungo che la passione è una grande fabbrica di illusioni: solo chi è riuscito a liberarsene può raggiungere la libertà.” Così esclamò Simone Weil, applaudendo il luminare italiano e proponendo un brindisi ai presenti. “Mi sembrate tutti e due matti! Non posso credere che un uomo italiano e una donna francese arrivino ad una conclusione così cinica: le illusioni sono per l’anima quello che l’atmosfera è per la terra. Toglietele quella tenera coltre d’aria e vedrete le piante morire, i colori svanire.” Replicò invece in modo brusco e accorato Virginia Woolf; sul convivio scese di colpo un lungo silenzio che solo la voce di Nicolas de Chamfort ebbe il coraggio di rompere: “La natura ha concesso le illusioni ai savi come ai matti, perché i savi non fossero troppo disgraziati per colpa della loro saviezza.” Udita la chiosa del francese gli altri tre, prima sommessamente poi senza freni, iniziarono a ridere davvero come matti in modo tale da attrarre l’attenzione di tutti i presenti nel salone al punto che, dal tavolo vicino, Peppino di Capri, all'indirizzo del personale di sala concluse ad alta voce con:”Cameriere! Champagne...”


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