giovedì 29 ottobre 2020

IL SACCO DI ROMA PER LA PRIMA VOLTA IN UEFA

Roma, stadio Olimpico, Tribuna Monte Mario, 1 giugno 1997 ore 18,20

Il momento più bello, l'apice, della mia quasi ventennale "carriera" di tifoso dell'Udinese: Roma-Udinese si è appena conclusa con un trionfale 3-0 per i bianconeri, dominatori assoluti della gara e le bandiere friulane sventolano festose nel settore riservato agli ospiti così come rimbombano nel catino dell'Olimpico i cori dei tanti tifosi giunti con ogni mezzo da Udine e che ora inneggiano alla conquista della qualificazione UEFA, mentre nella "mitica" curva Sud gli arrabbiatissimi tifosi giallorossi bruciano qua e là i loro vessilli. Ecco, in quel momento avrei voluto fermare il tempo per poter assaporare a lungo quella splendida sensazione, quel brivido lungo la schiena, quel groppo in gola, quella vera genuina e stupida gioia invece di accontentarmi di "cogliere" l'attimo fuggente.
Nella mia mente ho rivissuto tutta la "storia" da tifoso da quando nell'estate del 1978, dodicenne, andai la prima volta allo stadio friuli per un'amichevole (Udinese-Milan - giocava ancora Gianni Rivera) fino a questo "attimo d'immenso", passando per Causio, Zico, Edinho, Ciccio Graziani e i -9 di penalizzazione, le salvezze e le retrocessioni negli ultimi minuti dell'ultima giornata, le stagioni anonime in serie B e le tante, innumerevoli, delusioni che hanno costellato questa lunga storia. Lo so che è stupido, ma insieme ho rivisto tutta la mia vita che da sempre è scandita dagli eventi sportivi, i quali le fanno da rumoroso sfondo e ho capito che per certi versi sono rimasto il bambino di 19 anni fa che s'infiamma quando l'attaccante della propria squadra del cuore supera il portiere avversario come se fosse egli stesso a centrare il bersaglio. In tanti anni mai l'Udinese era riuscita a "volare" così in alto, mai l'avevo vista vincere lontano dal friuli,m mai l'avevo vista concludere da protagonista assoluta il campionato di serie A e qualificarsi per una competizione europea. Un sogno a lungo accarezzato e raggiunto proprio quando sembrava sopito per sempre. Un sogno che invece si è realizzato nella maniera più bella, sul campo della Capitale, a Roma, quella città che più di ogni altra custodisce ricordi ed attimi fra i più belli di tutta la mia vita. Così, ancora incredulo per l'indimenticabile giornata, quando i tifosi giallorossi, prima di iniziare le contestazioni verso i loro "beniamini" e la loro dirigenza,  hanno tributato alla nostra squadra un lungo applauso al termine della partita, ho percepito quegli applausi come se fossero diretti anche a me, alla mia stoica fedeltà ad un'ideale - l'attaccamento alla squadra della propria terra - probabilmente stupido, ma in grado di svilupparsi da solo dentro di me e che mi ha regalato oggi un attimo "d'immenso". Grazie Udinese, non importa più quello che sarà.

martedì 27 ottobre 2020

KAR IZJAVLJA? COSA DICHIARA ?



Febbraio 2007

Ho annullato tutti gli impegni della giornata, sono salito in macchina e di gran carriera sono partito dalla mia Cividale in direzione del valico italo-sloveno di Stupizza-Robič, destinazione Mlinsko, un piccolo villaggio attraversato dalla strada che unisce Kobarid a Tolmin.
La giornata quasi primaverile, lo splendido paesaggio della Val Natisone e della Soča, la vista delle cime del Matajur e del Krn, appena “sporcate” dalla neve, questa volta non mi hanno rasserenato l’animo come accade di solito, ma hanno suscitato nella mia mente il vivo pensiero che quel paesaggio paradisiaco, neppure 100 anni fa, fu lo sfondo per uno dei più sanguinosi mattatoi della prima guerra mondiale. Neppure l’agevole attraversamento del confine è riuscito a rincuorarmi: anzi, appena lasciato il posto di polizia sloveno il mio pensiero non si è rivolto all’ormai imminente abolizione anche fisica del confine stesso, ma bensì mi sono ritornate in mente immagini inquiete della mia infanzia, ovvero quando con mio padre ogni sabato, ci recavamo in macchina in “Jugo” a fare il pieno di benzina e a comperare la carne. Un brivido mi è corso lungo la schiena, per un attimo all’altezza di Robič, dove la repentina uscita di un cacciatore dal bosco è stata scambiata dai miei sensi per l’attraversamento dei miliziani che all’epoca pattugliavano il confine con la stella rossa sulla bustina, il kalashnikov imbracciato minacciosamente e scrutavano in modo assai poco amichevole le auto di passaggio; constatare prontamente che la loro vecchia caserma sulla sinistra, con la scritta “Naš Tito” ben in evidenza, ha lasciato il posto ad un Casinò dalla benaugurate insegna di “Aurora” mi ha solo parzialmente sollevato, così come il pagamento in euro del caffè nella gostlina “pri Franku” mi ha fatto solo venire in mente i tempi in cui mio padre nascondeva nei calzini i dinari per pagare carne e benzina e così ho rivissuto anche la tensione che regnava dentro la nostra Fiat 128 quando i finanzieri ci indirizzavano la frase di rito ”Cosa dichiara?”, i doganieri jugoslavi ci rivolgevano parole incomprensibili invitando il papà ad aprire il bagagliaio della macchina e subito dopo, superato il blocco, mia madre si arrabbiava con lui perché voleva sempre portare “i bambini” appresso e cercava di farsi promettere che non l’avrebbe più fatto.
Dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dell'Unione Sovietica si è potuto accedere agli archivi militari di quel periodo e oggi sappiamo che in Ungheria erano stanziate le armate corazzate sovietiche che assieme a quelle ungheresi avevano il compito, in uno scenario di eventuale conflitto contro la NATO, di invadere il nostro paese attraversando la Slovenia per entrare successivamente in Italia dalla "porta di Gorizia".
Dall'analisi delle forze in campo, l'Alto comando sovietico aveva stimato, prevedendo il solo uso delle armi convenzionali, di far arrivare i suoi mezzi corazzati a Milano in 4 giorni dall'ora Zero. 
I nostri  Comandi, nella medesima analisi, ritenevano un successo militare riuscire a resistere e trattenere in Friuli per 2 giorni l'Armata Rossa nella sua corsa verso la Lombardia, considerando lo squilibrio degli armamenti a disposizione ed in modo particolare l'arretratezza di quello a disposizione dei nostri soldati rispetto a quello delle truppe del Patto di Varsavia.  
Fortunatamente tutto questo scenario resta oggi solo materia per romanzi. 


(DAL RACCONTO "LA VESTALE DI MLINSKO" GIA' PUBBLICATO NEL BLOG)

venerdì 23 ottobre 2020

QUANDO A CIVIDALE C'ERA IL GENERALE

Il 28 ottobre 2016, con la cerimonia di trasferimento della bandiera di guerra dell’8° Reggimento Alpini dalla Caserma Francescatto alla Caserma Feruglio di Venzone, veniva meno la millenaria presenza di reparti militari a Cividale del Friuli, insediamento sorto proprio come Castrum in età romana e solo in seguito elevato a Forum da Gaio Giulio Cesare nel 50 a.C.; questa presenza fu particolarmente intensa durante la prima guerra mondiale e a partire dal 1950, quando nel secondo dopoguerra la situazione geo-politica del confine orientale fece sì che la regione e la città di Cividale, venissero a trovarsi sul punto di contatto tra due mondi contrapposti e per 40 anni sul punto di scontrarsi con le armi. Questa circostanza portò alla decisione di stanziare in maniera stabile sul territorio del Friuli Venezia Giulia i 2/3 dell’intero esercito italiano per creare una barriera contro un’eventuale invasione delle truppe del Patto di Varsavia; così ogni paese della regione vide sorgere o raddoppiare, triplicare, quadruplicare il numero di siti destinati all’ospitalità di truppe, armi e installazioni difensive. Si calcola che ogni anno dal 1950 al 1989 fosse mediamente presente una forza di 200.000 uomini su di un territorio di un milione e duecentomila persone scarse, senza contare le forze di polizia, i carabinieri e la guardia di finanza. Si può stimare, per difetto, che in quei quarant’anni non meno di 5 milioni di ragazzi italiani siano transitati in Friuli per il servizio di leva; sicuramente tutto questo contribuì a risollevare l’economia disastrata della regione, uscita a pezzi sotto ogni punto vista – morale, economico, civile e sociale - dopo le tragiche vicende del periodo 1943-47, ma chiese in cambio un nuovo tributo in termini di disagio sociale, considerando che la presenza militare impediva un “normale” sviluppo della ricettività turistica o delle relazioni di comunità come nelle altre parti d’Italia. Tornando nello specifico alla mia città, in quel periodo, vide la contemporanea presenza di ben 4 Caserme sul territorio comunale, più una subito oltre il confine con il Comune di Premariacco a Ipplis, per una presenza media di circa 3.000 uomini, tra ufficiali, sottufficiali e militari di truppa su di un’area abitata da 11.500 locali.

La caduta del Muro di Berlino, la fine della guerra fredda, la dissoluzione della Jugoslavia e l’ingresso della Slovenia e degli altri paesi dell’est nell’Unione Europea e nella NATO hanno mutato completamente lo scenario e fatto venir meno l’esigenza originaria, per cui a velocità sostenuta i vari Governi hanno dato il via ed eseguito lo smantellamento capillare “dell’occupazione” chiudendo le caserme e buttando via la chiave, abolendo la leva obbligatoria e ridimensionando anche la presenza delle forze di polizia sul territorio con l’intento di diminuire il debito pubblico galoppante; se fino al 1989 il nostro Esercito poteva contare su circa 240.000 uomini di cui 150.000 erano militari di leva, attualmente i 90.000 appartenenti alle forze armate sono costituiti per i due terzi abbondanti da ufficiali e sottufficiali. Tanti comandanti e pochi soldati, che in un certo senso è quello che sta accadendo in tanti altri ambiti della società italiana. Naturalmente l’economia locale ha avuto un primo contraccolpo negativo dal mutato scenario, ma via via è iniziata la riconversione del Friuli in un posto “normale” d’Italia e ha preso piede anche l’idea che ci siano molti tesori storici, artistici e paesaggistici da mostrare ai “Forests” (i forestieri) in maniera vantaggiosa.

Voglio soffermarmi su un decennio particolare, quello dal 1975 al 1986, quando Cividale del Friuli fu addirittura sede di un Comando Brigata, con la presenza di un Generale nella Caserma Francescatto, ricordando i reparti militari e il luogo in cui erano acquartierati. Caserma “Francescatto”: Comando della Brigata Meccanizzata “Isonzo” e 76° Battaglione Fanteria Meccanizzata “Napoli” (Brigata sciolta nel 1986 con passaggio delle consegne alla Brigata Meccanizzata “Mantova” con Comando in Udine – Battaglione sciolto nel 1997); Caserma “Zucchi-Lanfranco”: 59° Battagliane Fanteria Meccanizzata “Calabria” (Battaglione trasferito nel 1989 e sciolto nel 1991); Caserma “Vescovo” – Purgessimo: 120° Battaglione Fanteria d’Arresto “Fornovo” – distaccamento (Battaglione trasferito nel 1986 per incorporazione nella Brigata Meccanizzata “Garibaldi” e poi sciolto nel 1991); Caserma “Miani” di Grupignano: 52° Battagliano Fanteria d’arresto “Alpi” – distaccamento delle famose cravatte rosse (Battaglione trasferito nel 1991 nella Caserma “Zucchi-Lanfranco”, poi trasferito nel 1993 a Portogruaro e infine sciolto nel 1996).

Un grazie colmo di gratitudine a tutti quei ragazzi, sicuramente almeno pari a 100.000, che in quel periodo storico hanno “abitato” la mia Città e hanno lasciato un pezzo della loro gioventù tra il Natisone e le nostre vallate e di cui credo, oggi, serbano un buon ricordo, anche se non sempre noi friulani ci siamo dimostrati campioni di ospitalità.

Le vicende storiche vissute in queste terre, credo che possano rappresentare una circostanza attenuante e una valida ragione per spiegare la diffidenza che ci caratterizza a prima vista.

Ogni volta che vorrete tornare, vi saremo amici. Troverete una Cividale ancora più bella di come l'avete lasciata.




martedì 13 ottobre 2020

A UDINE ARRIVA LO "ZICO DEL BASKET"

 









Dopo il clamoroso arrivo a Udine del fuoriclasse brasiliano Zico nell’estate del 1983, nell’ottobre 1984 l’ambiente sportivo udinese balzò nuovamente agli onori della cronaca, ottenendo ancora una volta l’insolita attenzione dei media nazionali. Protagonista questa volta non fu l’Udinese Calcio targata Zanussi, bensì l’Associazione Pallacanestro Udinese – APU, targata Australian; la società udinese, ai cui vertici c’erano due ex giocatori dell’epoca d’oro arancione quali Gianni Fiorini come presidente e Giambattista “Nino” Cescutti in veste di direttore sportivo, era ritornata nella massima serie dopo 7 stagioni dalla retrocessione e dall’abbandono del Cav. Rino Snaidero, sorprese tutti annunciando un acquisto sensazionale dal mondo dell’NBA, dopo un’estate turbolenta dal punto di vista tecnico-societario con la partenza del general manager Andrea Fadini, dell’allenatore Lajos Toth ed il ritiro dello sponsor Gedeco 5-3-5. L’avvio della stagione era stato difficoltoso, con la sollecita eliminazione dalla coppa Italia e due sconfitte nelle prime tre gare di campionato, e così alla decisione di “tagliare” il centro americano Andrè Gaddy dimostratosi non all’altezza del compito di sostituire uno degli artefici della promozione e beniamini della tifoseria, il pivot James Percival Hardy trasferitosi anche lui a Siena insieme a Fadini e Toth, si accompagnò quella di rinforzare il roster con un autentico “crack” per il nostro torneo. Per centrare il difficile obiettivo della permanenza nella massima serie, allora retrocedevano le ultime 4 della classifica sulle 16 partecipanti, in estate la dirigenza dell’APU aveva ingaggiato per la guida tecnica nientemeno  che il sessantenne “santone” serbo-bosniaco Aza Nikolić, meglio noto come il “Professore”, coach carico di gloria, di scudetti e coppe dei campioni in quel di Varese affidandogli un roster che ai confermati Dražen Dalipagić, Lorenzo Bettarini, Tiziano Lorenzon, Claudio Luzzi Conti e Achille Milani aggiungeva la “vecchia volpe” Fabrizio “Ciccio” Della Fiori da Cantù, Davide Turel da Gorizia, il cavallo di ritorno Luigi “Gigi” Cagnazzo da Siena e gli emergenti Giuseppe “Beppe” Valerio, Michele Buosi e Giampaolo Graberi a completare la rosa. Il lavoro estivo di costruzione del team si era incartato sulla figura ritenuta determinante per rendere l’Australian competitiva in A1, ovvero quella del secondo straniero a cui affidare il ruolo di “califfo” sotto canestro e dopo infinite trattative con gli agenti di oltreoceano e la prova fallita con il centro Ken Bannister, a ridosso dell’inizio del campionato veniva tesserato l’esordiente Andrè Gaddy, un venticinquenne di Brooklin di 2,08 m, proveniente dagli Albany Patroons, squadra militante nel campionato CBA. Una scommessa, insomma. La scommessa non pagò, con il giovane americano, travolto forse dalle eccessive aspettative e dalla mancanza di una valida spalla che lo aiutasse ad ambientarsi, “tagliato” dopo tre sole partite alla vigilia della trasferta di Pesaro contro la Scavolini. E a questo punto, ecco l’annuncio: direttamente dai Los Angeles Lakers arriva Swen Nater, il cambio di Kareem Abbdul Jabbar!!! Un pivottone di 211 cm con alle spalle uno score di 13 punti e 13, 1 rimbalzi in 233 partite nell’ABA e di 12,2 punti e 10,8 rimbalzi in 489 partite nell’NBA e il titolo di miglior rimbalzista sia nell’ABA per il 1975 e nell’NBA per il 1980, a cui aggiungere due titoli conquistati nell’NCCA con la mitica UCLA di Los Angeles.!!! Il “re” della “doppia doppia” che durante il l’All Star Game ABA del 1974 in meno di mezz’ora di gioco aveva messo a segno 29 punti e catturato 22 rimbalzi!!

E ora tutti si chiedono: cosa sarà ora in grado di fare la neopromossa udinese adesso che al cannoniere di Mostar Dražen “Praja” Dalipagić si è unito sotto le plance “The Swan” Swen Nater??? Persino la Gazzetta dello Sport, solitamente refrattaria a dare luce a tutto ciò che non sia calcio metropolitano – immaginiamoci una notizia di basket che arriva dalla provincia – titola, di spalla, in prima pagina: “A Udine arriva lo Zico del basket”. E chi fa notare che il centro americano di origini olandesi viaggia oramai verso le 35 candeline e le ginocchia sono ormai logorate da tante battaglie, viene tacciato subito di essere il solito “menagramo massa passȗt”. La leggenda narra che quando sbarcò a Ronchi dei Legionari proveniente da Los Angeles, via Fiumicino, chiese se l’aeroporto fosse quello di proprietà del Presidente del suo nuovo club, osservando la totale assenza di aerei sulla pista dell’impianto. Di certo invece chiese, e ottenne, dietro la minaccia di non disfare neppure le valigie e rientrare subito negli States, di cambiare l’alloggio che gli era stato destinato per la sua permanenza in Friuli: una villetta a schiera in un complesso residenziale appena sorto in quel di Moimacco. La dirigenza, capita l’antifona, lo trasferì in località Morena dove si trovava la residenza di Zico, quello del calcio. Ci schieriamo totalmente dalla parte del buon Swen: il salto da San Diego a Moimacco sarebbe stato difficile anche per Bob Beamon, specialmente in una uggiosa giornata ottobrina dopo un volo transatlantico. L’avvio in campionato fu entusiasmante con l’Australian capace di espugnare il 21 ottobre 1984 il difficile campo della Scavolini Pesaro per 107 – 94 nel giorno in cui l’Udinese di Zico interrompeva al Friuli una serie di 3 sconfitte consecutive battendo per 1-0 la Sampdoria di Vialli e Mancini. E la domenica successiva, in un “Carnera” pieno come un uovo e alla fine in visibilio, gli udinesi si issavano al terzo posto della classifica strapazzando per 110 – 85 i malcapitati marchigiani dell’Honky Fabriano. I sogni di gloria finirono lì, con l’Australian sconfitta consecutivamente per le successive 11 partite, la panchina del Prof. Nikolić “saltata” già il 9 dicembre e con il direttore sportivo Nino Cescutti che si mise il cappello di capo allenatore fino alla fine di una stagione che si concluse al penultimo posto con un record di 7 vittorie e 23 sconfitte e una retrocessione in A2 divenuta praticamente certa già alla fine del girone d’andata. Con una nota curiosa, quella di essere la prima e probabilmente l’unica squadra al mondo a retrocedere potendo vantare il vincitore della classifica dei marcatori, Dalipagić, con una media di 30,8 punti a partita e quella dei rimbalzisti, Nater, con una media 13,6 carambole a partita. In ogni caso Swen, le cui ginocchia logore e il fiato corto non consentirono di salvare una squadra troppo fragile in difesa e serva del “fucile” di Dalipagić che si azionava a ripetizione, fece la sua parte più che dignitosamente concludendo la stagione confermandosi anche in Italia come il “signore” della “doppia doppia” – 17,2 punti e 13,6 rimbalzi di media nelle 27 partite disputate, con una percentuale del 59,2% dal campo e del 87,3% dai liberi e una media di 1,2 stoppate date a partita.

L’annata, peraltro, non fu fortunata neanche per il Zico del calcio, tormentato dagli infortuni e a segno solo 3 volte in 16 gare disputate, con l’Udinese in lotta per la salvezza fino a tre giornate dalla fine e con la necessità di lasciare l’Italia prima dell’ultima di campionato con sei giornate di squalifica e un’accusa di evasione fiscale.

Memorabile in quella stagione fu la prestazione che Swen Nater offrì al Palalido di Milano il 17 marzo 1985 contro la capolista e futura vincitrice dello scudetto, l’Olimpia di Dan Peterson targata Simac; probabilmente stimolato dalla sfida diretta con Joe Barry Carroll, il giovane astro proveniente dall’NBA, il centro dell’Australian annichilì l’avversario mettendo a segno 37 punti e portando l’ormai derelitta compagine friulana ad un passo dal clamoroso successo esterno, solo sfiorato nel 87-83 finale a favore dei milanesi.

Il 28 marzo 1985 davanti a qualche centinaio di tifosi presenti sulle gradinate del “Carnera”, con una onorevole sconfitta per 90-98 contro i campioni uscenti della Virtus Granarolo Bologna e 28 punti infilati nel canestro dei felsinei, si concluse l’avventura di Swen Nater in Italia il quale, fatte questa volta per davvero le valigie, nei giorni successivi ritornò a San Diego per godersi il sole e la pensione, avendo deciso di chiudere la sua carriera professionistica.

Concludo il racconto “regalando” agli amanti delle statistiche il tabellino del vittorioso debutto dello “Zico del Basket” in quella memorabile, quanto lontana, domenica 21 ottobre 1984

 SCAVOLINI PESARO – AUSTRALIAN UDINE     94 – 107

Arbitri Di Lella e Maggiore di Roma

 SCAVOLINI

Gracis 4, Magnifico 11, Pietkiewicz 3, Del Monte, Tillis 19, Zampolini 21, Costa 6, Silvester 30, Minelli, Dimatore.

Allenatore Don Casey

 AUSTRALIAN

Dalipagić 33, Nater 11, Lorenzon 11, Della Fiori 25, Milani 4, Cagnazzo 9, Bettarini 14, Turel, Luzzi Conti.

Allenatore Nikolic



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