martedì 31 luglio 2018

RITORNO AL FUTURO - PARTE SECONDA

Mosca, dal nostro corrispondente. 
Tra i documenti ancora conservati negli archivi del celeberrimo ex servizio segreto per la sicurezza nazionale dell’Unione Sovietica (KGB) e recentemente resi accessibili ai ricercatori dal governo della Federazione Russa, un fascicolo ha destato sconcerto tra gli studiosi. 
Il plico, contrassegnato con la sigla AK-47, contiene i verbali di un interrogatorio tenutosi nel febbraio del 1984 nei confronti dello scienziato georgiano Anatoly Kinkhadze, misteriosamente scomparso nei mesi successivi. Il famoso fisico delle particelle all’epoca era a capo di un progetto denominato “Pojezdky Vremenami” (Viaggio nel Tempo) che aveva lo scopo di studiare la possibilità di realizzare, attraverso l’utilizzo di acceleratori nucleari, lo spostamento della materia nello spazio- tempo. Dall’esame dei documenti resi noti parrebbe che l’equipe dello scienziato fosse riuscita nell’intento già verso la fine del 1983 e che Kinkhadze si fosse prestato per diventare egli stesso il primo viaggiatore nel tempo della storia dell’umanità. 
Nel fascicolo è riportato il testo dell’interrogatorio, avvenuto in gran segreto il 2 febbraio 1984 nel palazzo della Lubjanka alla sola presenza dell’allora già molto malato segretario del PCUS Yuri Andropov e dei vertici KGB; lo scienziato avrebbe dichiarato di aver viaggiato nel tempo e di “ritornare” dal 15 febbraio 2009, solo 25 anni più in avanti. 
La lettura del verbale ha dell’incredibile: inizialmente allo scienziato sarebbe stato chiesto qual era la situazione del mondo e dell’economia capitalista, chi fosse a capo dell’acerrimo nemico (gli U.S.A.), chi ricoprisse la massima carica russa e chi fosse il Presidente della Repubblica Italiana. 
Kinkhadze riferì che l’economia capitalista era ormai giunta al tracollo, negli Stati Uniti c’era un Presidente di colore e che si stavano nazionalizzando persino le banche mentre in Italia il Presidente della Repubblica era il vecchio compagno Giorgio Napolitano ed al vertice della nazione russa c’era un certo Vladimir Putin, quello che al momento era solo un oscuro e zelante capitano del KGB. Nella stanza della Lubjanka pare che il segretario Andropov, udite quelle parole si sia commosso e dopo aver abbracciato i presenti, abbia chiesto che venisse portata una bottiglia di Vodka per brindare al successo mondiale della Rivoluzione comunista. 
Solo dopo molte insistenze lo scienziato georgiano riuscì a convincere la compagnia festante ad udire anche il resto del racconto: tanto che cosa poteva mai raccontare di più interessante e meraviglioso quel prossimo Eroe dei Popoli dell’Unione Sovietica? Chi aveva vinto le future edizioni della Coppa del Mondo di calcio? Nell’ordine e con crescente emozione Kinkhadze d’un fiato raccontò che nel febbraio 2009 l’Unione Sovietica non esisteva più dal 31 dicembre 1991 e che da quella data tutte le sue Repubbliche si erano proclamate stati indipendenti e sovrani , che il partito comunista era stato posto fuori legge, che il Patto di Varsavia era stato sciolto qualche anno dopo, che la C.E.E., divenuta Unione Europea, comprendeva 27 paesi tra cui Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Bulgaria, Romania, Lettonia, Lituania ed Estonia e diversi dei quali erano addirittura membri della N.A.T.O.; la presidenza di quell’Unione era momentaneamente retta dalla Repubblica Ceca, in quasi tutta l’Europa era in vigore un’unica moneta denominata Euro gestita da un’unica Banca Centrale ed un qualsiasi cittadino degli stati dell’Unione poteva recarsi in autovettura da Lisbona in Portogallo sino a Tallin in Estonia senza controlli di confine. Il muro di Berlino era stato abbattuto pacificamente dalla folla già nel 1989 e la Germania Ovest si era annessa la Germania Est dall’ottobre del 1990. Per non dire di come poi la tecnologia aveva modificato lo stile ed i modi di vita delle persone…chiunque nei paesi economicamente sviluppati possedeva un telefono portatile con cui in ogni momento poteva dialogare audio e video in tempo reale con il resto del mondo. 
Nella stanza pare che il clima di festa si fosse trasformato lentamente in un pesante silenzio, i presenti si guardavano delusi e sconsolati: la tanto attesa prova incontrovertibile che la Rivoluzione alla fine aveva trionfato ancora non c’era, quello scienziato si era evidentemente fuso il cervello durante l’esperimento ed aveva solo raccontato una marea di sciocchezze senza senso. 
Così il povero Anatoly Kinkhadze fu prima rinchiuso in un manicomio di Stato in una non meglio precisata località del Nagorno-Karabak e poi probabilmente rimase vittima degli psico- farmaci che gli furono somministrati in dosi sempre più massicce, vista l’insistenza con cui sosteneva la veridicità di quello a cui diceva di aver assistito. Il KGB fece “sparire” nei mesi seguenti tutti i membri dell’equipe di Kinkhadze coinvolti nel progetto e distrusse tutte le apparecchiature, gli studi e i calcoli utilizzati, nonché ogni prova dell’accaduto. 
Quanto riportato getta anche una sinistra luce sulla morte del segretario Yuri Andropov avvenuta il 9 febbraio 1984, una settimana esatta dopo aver assistito a quell’incredibile interrogatorio; tra le carte del leader scomparso fu rinvenuta la seguente poesia: “Siamo solo di passaggio in questo mondo, sotto la Luna / La Vita è un attimo. Il non-essereè per sempre / La Terra ruota nell’Universo / Gli uomini vivono e svaniscono…”. 
Sicuramente se Anatoly Kinkhadze fosse capitato nel futuro anziché nel febbraio 2009 nel giugno 2018, forse lo shock per il “povero” Andropov e i suoi sodali sarebbe stato minore, considerando che il presidente degli Stati Uniti è Donald Trump, il presidente italiano “l’ex democristiano” Sergio Mattarella, che quell’incredibile Unione Europea senza confini e dazi doganali era alle prese l’uscita della Gran Bretagna e che in molti stati si chiedeva a gran voce la fine di quell’altrettanto futuristica moneta unica con il ripristino dei controlli alle frontiere e che era stata già realizzata la costruzione di nuovi muri di filo spinato per evitare ingressi indesiderati. Per non dire dei dazi imposti dagli Stati Uniti al commercio mondiale con le ovvie ritorsioni degli altri paesi. Oggi, rispetto al 2009, il mondo avrebbe dei connotati molto più rassicuranti agli occhi di chi nel 1984 era a capo di un sistema poliziesco senza pluralismo politico. 

La domanda finale è, se gli studiosi saranno in grado di confermare quanto contenuto nel fascicolo AK-47, quale sorte oggi attenderebbe un novello Anatoly Kinkhadze di ritorno dal 31 luglio 2034?

lunedì 30 luglio 2018

LIBERI DI IMPRECARE

Presso i popoli latini il concetto di libertà in tutte le sue varie accezioni (politica, di pensiero, di parola ecc.) è espresso da un unico vocabolo che deriva dal termine latino LIBERTAS a suo volta originato dal nome LIBER che anticamente serviva per identificare, tra le altre cose, i figli di colui che aveva lo status di pater familias e godeva dei diritti di civis romanus. 
E così abbiamo LIBERTE’ in francese, LIBERTAD in spagnolo, LIBERDADE in portoghese, LIBERTATE in rumeno e naturalmente LIBERTA’ nella nostra lingua madre. 
Il concetto di LIBERTA’ nei popoli latini trova quindi matrice comune in uno status personale che attraverso l’appartenenza alla cellula di quella società, LA FAMIGLIA, garantisce l’esercizio delle facoltà personali che sono permesse dal PATER FAMILIAS in prima battuta e dal DIRITTO codificato dall’AUTORITA’ STATALE poi. 
Alla luce di ciò, qui se da un lato il concetto di LIBERTA’ si origina da una situazione in cui l’individuo è ammesso a godere di pieni diritti rispetto a chi nella stessa società non ne gode (gli schiavi) o ne gode solo parzialmente (gli schiavi affrancati) dall’altro tale godimento trae origine dalla concessione del PATER FAMILIAS prima e dall’autolimitazione del potere del sovrano poi. 

Anche nei popoli slavi il concetto di Libertà nelle sue diverse declinazioni trova espressione con un unico termine: SVOBODA invariabilmente in russo, ceco, slovacco, sloveno, bulgaro, SLOBODA in croato e serbo e WOLNOSC in polacco. 
L’origine del vocabolo è SWOBHO-DHYOS, termine composto in slavo antico di derivazione indoeuropea che indicava il “membro di una stessa tribù” e quindi come tale, soggetto agli usi della “singola tribù” per ciò che attiene l’esercizio dei diritti e l’assolvimento dei doveri. 

Nelle lingue germaniche e scandinave il termine che qui ci interessa è unico per definire il concetto: FREIHEIT in tedesco, FRIHET in norvegese e svedese, FRIHED in danese, FREEDOM in islandese e deriva dall’antico sassone FREIHALS che indicava coloro che avevano libero il collo, ovvero che non erano proprietà di alcuno e facevano anche qui parte a pieno titolo dell’unità cellulare in senso normativo, che non era la Famiglia ma bensì la tribù. 

L’unica popolazione che utilizza due termini diversi per riferirsi alla Libertà è quella inglese, ovvero LIBERTY o FREEDOM; se i due termini siano da considerare sinonimi o meno è questione ancora controversa e assai dibattuta tra gli studiosi di linguistica. 
Mi limito a riportare che l’esistenza dei due termini si spiega con la peculiarità della lingua inglese che per ragioni storiche si trova composta per il 30% di termini derivanti dal sassone antico, dal 60% dal franco-normanno e dal restante 10% dal greco antico e dal latino medioevale; evidente che il termine LIBERTY risulta dall’importazione del franco-normanno a base latina e FREEDOM di stretta derivazione sassone-scandinava. 
Come abbiamo notato il diverso significato originario del termine LIBERTA’ nel mondo latino rispetto a quello slavo-sassone, sembra dar maggior credito alla teoria per cui i tue termini in lingua inglese descrivano sfumature diverse a seconda della classe sociale che utilizzava il vocabolo: la classe nobiliare che usava la lingua di corte (ovvero il franco-normanno e il latino) ed il popolo che utilizzava il sassone. 

Concludo queste riflessioni con una veloce, ma credo significativa, puntata nel mondo arabo, ove l’unico termine in qualche modo traducibile con Libertà è HORRIYAH che significa in realtà AFFRANCAMENTO in senso giuridico; infatti il vocabolo HORRIYAH è comparso per la prima volta nel testo di un accordo commerciale datato 1774 intervenuto tra russi e turchi in riferimento a schiavi che venivano emancipati (Hurr). 
A tale proposito giova ricordare le tremende difficoltà che nel 1799 ebbero i comandanti dell’armata napoleonica in Egitto per spiegare invano ai notabili locali il reale significato e la portato di uno dei tre pilastri che costituiscono il trinomio della rivoluzione francese.

Personalmente, al di là di tutte le considerazioni che si possono fare sulla scorta di quanto suggerito dall'etimologia, la più bella, chiara ed efficace definizione di LIBERTA' che io abbia mai incontrato è quella vergata dal nostro ex Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che dicendoci con parole semplici cosa NON è un uomo libero ci porta dritti dritti al cuore della questione ben oltre ogni dotta disquisizione storica, giuridica, linguistica o metodologica :  

La libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Mi dica, in coscienza, lei può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. Sarà libero di bestemmiare, di imprecare, ma questa non è la libertà che intendo io.

SANDRO PERTINI   (SanGiovanni di Stella (SV), 25 settembre 1896 - Roma, 24 febbraio 1990)

venerdì 27 luglio 2018

AMORI E OSPITALITA' IN SALSA FRIULANA


Se vuoi comprendere un popolo, inizia a studiarne il linguaggio, perché al suo interno si celano i suoi valori e la sua cultura. E quando faccio questa considerazione, da friulano "purosangue" da almeno 4 generazioni, mi vengono i brividi quando rilevo che in quella che era la lingua madre dei miei genitori e dei loro avi non esistono la parola "AMORE" e la parola "OSPITE": "amor" è recepimento dell'italiano amore e viene scarsamente utilizzato nella lingua parlata; peggio ancora con "ospit", che proprio non si può sentire! Amore è tradotto con: "ti vuei ben" - ti voglio bene. Si capisce subito che questa espressione è completamente vuota di qualsiasi contenuto che possa fare anche un lontano cenno al "sentire" dell'amor cortese o dell'amore romantico. Scordiamoci nella "Piccola Patria" nel corso dei secoli e dei secoli un appassionato "ti amo" in "marilenghe": anche gli eventuali sostenitori e praticanti dello Sturm und Drang, ne erano privi degli strumenti linguistici. Con la questione dell'Ospite la situazione si fa ancora più "ostile". Semplicemente non esiste e non viene neanche mutuata da altra lingue, con buona pace di Zeus che poneva l'ospitalità quale primo dovere di tutti i mortali, puniti in maniera tremenda quando ne violavano la norma.Esiste però il termine "FOREST", con l'accento ben marcato sulla E - che in italiano possiamo avvicinare a Forestiero: ben diverso da Ospite; FOREST è quanto di più lontano esista dal concetto di persona che viene accolta con il piacere dell'ospitalità - appunto.
FOREST indica a priori una persona pericolosa e indesiderata e della quale liberarsi prima possibile.
Friulani introversi, freddi, cattivi e inospitali dunque? Possiamo dire friulani segnati dalla sorte di aver occupato un territorio che nei secoli dei secoli è stato la prima porta d'accesso per tutti coloro che scendevano nella penisola italica e molto raramente lo facevano con intenzioni pacifiche. Anzi. E friulani popolo legato alla terra e che ha sempre trovato conforto alle bizze della natura e degli uomini nella Chiesa cattolica, nei suoi precetti e nelle sue tradizioni, che non proprio vanno in "simpatia" con l'amor cortese e lo sturm und drang. 
Quindi per il friulano il mondo esterno, tendenzialmente sempre ostile a prescindere, iniziava dove finiva il cancello della proprio cortile e tendenzialmente "forest" diventava automaticamente chiunque non facesse parte del proprio nucleo familiare legale. Una "Piccola Patria" divisa in tanti piccoli, microscopici, "feudi" autonomi, autosufficienti e ben poco permeabili gli uni con gli altri.
Tutt'altra storia durante i periodi delle grandi migrazioni, quando un enorme numero di friulani, che oggi chiameremo migranti economici, si trasferirono in massa in Francia, Belgio, Svizzera, nel nord e nel sud America e in Australia; in quelle terre lontane sono stati in grado di creare quello che non hanno mai saputo fare in Patria: una rete comunitaria e di solidarietà strutturata ed organizzata fuori dal comune, con la creazione dei famosi "Fogolars"- focolari.    
Se poi ci avventuriamo nei campi e nei prati, sulle montagne e sulle colline, tra fiumi, rogge  e torrenti, pratiche dell'agricoltura e utensili della casa, troveremo una ricchezza e una varietà di termini propri che ben poco hanno da invidiare alle altre lingue di popoli ben più numerosi e dislocati su territori molto più vasti.  
Ricordo anni fa quando la Regione Friuli Venezia Giulia propose il brand: "FRIULI: OSPITI DI GENTE UNICA" Che dire, unici sicuramente, quanto a ospitalità c'è molto da lavorare anche se la globalizzazione e la secolarizzazione hanno trasformato e continuano a modificare in profondità anche la gens furlana.
Del resto la Regione ha sede a Trieste, tutt'altra storia. Proprio tutta un'altra storia e un'altra lingua. (o dialetto? quello triestino intendo :-)).

martedì 24 luglio 2018

LO SGUARDO DI MEDUSA

“Hanno scommesso sulla rovina di questo Paese. E hanno vinto”. 
Cit. Il Capitale Umano, regia di Paolo Virzì, 2014 
Le famiglie italiane: i più ricchi diventano più ricchi, ma se non calpestassero la gente e le leggi perderebbero tutto in meno di 24 ore. Non c'è più middle-class, i più poveri naturalmente rischiano di essere ancora più poveri, e sperano di sbarcare il lunario facendo il grande salto. Possono essere marci e pronti a vendere la loro famiglia con l'illusione di potere e ricchezze in un Paese a cui è rimasto ben poco da offrire. - Recensione da www.film.it 

Naturalmente l'analisi va presa per quello che è: una generalizzazione e come tale ha i limiti di tutte le generalizzazioni. Ci sono anche situazioni diverse. Divenute assolutamente minoritarie, di "nicchia", tanto per usare un'espressione cara ai contemporanei.
La vera Speranza non sta nelle "nicchie" ma è come sempre riposta nei giovani e nella loro capacità di diventare, oggi più che mai, dei novelli "Perseo", tagliando la testa delle Meduse genitoriali che li tengono pietrificati con i loro esempi, più che con i loro sguardi. Al sottoscritto, rientrante fra quelli che sono divenuti, divengono e sono destinati a diventare sempre più poveri, resta solo l'amarezza di aver visto vanificati i personalissimi, fragili, scomposti, ingenui, erronei e tardivi sforzi per evitare questo "presente". Un tempo, per placarmi, mi bastava ricordare una battuta del Sergente Lorusso - Diego Abatantuono in un altro celebre film di Gabriele Salvatores - Mediterraneo: "Avete vinto voi - gli ho detto - ma non vi darò mai la soddisfazione di considerarmi vostro complice. E me ne sono andato via dall'Italia". Non mi basta più, guardando mio figlio e ripensando a tutti i miei allievi con cui negli ultimi anni ho avuto la fortuna di condividere l'aula. Anche perché dall'Italia, me ne sono andato solo con la testa. Chiedo loro Perdono.

lunedì 16 luglio 2018

GUFI SFIGATI

Finalmente è finito! Il campionato del mondo di Russia 2018 si è concluso con il trionfo dei "Blues" guidati da "Gastone" Didier Dechamps a spese degli irriducibili croati, costretti a rivestire nell'ultimo atto, loro malgrado, i panni di "Paolino Paperino": fare il pieno di simpatia da parte di tutto il mondo non francofono, o quasi, ma ritornare in Patria a "tasche vuote". E così finalmente noi italiani finiremo di essere costretti ad uscire ogni sera a cena da single con i migliori amici e le loro fidanzate, avendo maturato un'ulteriore consapevolezza: anche come "gufi" siamo proprio sfigati.
Si chiude un mondiale che a tutti noi, orfani dell'Inno di Mameli, ha veramente lasciato un beffardo retrogusto ancora più amaro: è stato il trionfo del tanto bistrattato calcio all'italiana, proprio nell'edizione in cui i suoi massimi - un tempo - esecutori erano assenti. Le due finaliste hanno lastricato la strada verso la finale con prestazioni caratterizzate da una grande capacità di attendere l'avversario tutti dietro la linea della palla, chiudergli ben bene tutti i varchi, per poi infilarlo negli spazi con ripartenze - diciamo pure contropiedi - mortali come il morso improvviso di un serpente. Oppure sfruttando al massimo le palle che, di "inattivo", hanno solo il nome: calci piazzati dalla "tre quarti" per falli subiti in azioni magari di "alleggerimento" e calci d'angolo. Come spesso già accaduto in passato, le squadre che hanno cercato di vincere i match decisivi con il gioco d'attacco, vedi il Belgio o il Brasile o con il possesso palla, vedi Spagna, si sono dovuti accontentare al più dei complimenti degli esteti, ma: "zero tituli." 
Quindi Onore - pure a denti strettissimi e con potentissimo mal di pancia - ai vincitori, capaci nella prima ora di gioco della finale di segnare due gol senza mai tirare in porta per poi buttarne dentro altri due nel giro di qualche minuto ai primi e - forse ultimi - due tentativi! E' il football bellezza! (o la bellezza del football?). Quanto a noi, per l'occasione, sfigati guardoni, è tempo di gioire - forse. Da oggi si riparte in "cerca" di allori con tanta voglia di lasciarci alle spalle questo mese orrendo.
Certo, considerata l'età media della squadra campione del mondo e gli ampi margini di miglioramento di diversi suoi uomini chiave, temo che per un po' saremo costretti a frenare la loro "grandeur" solo opponendogli i nostri datati trionfi che, numericamente, doppiano ancora i loro; quanto al  "tornare a cena" con qualche top model, simpatica ed intelligente... il timore di un lungo digiuno è molto forte al pensiero che al momento tutte le nostre speranze di rispolverare gli "antichi fasti" sembrano basate esclusivamente sulla "rinascita" di Supermario Balotelli.
Urgono idee. Urgono umiltà e facce nuove. E tanta pazienza. E coraggio. E forse di aprire le porte a chi ha fame.

    

giovedì 12 luglio 2018

HRVATSKA! QUANDO IL NOME DICE TUTTO.

Onore alla Croazia! Dal 1962, quando nella finale di Santiago del Cile fu la Cecoslovacchia a contendere vanamente la coppa Rimet al Brasile, nessuna squadra dell'est Europa era mai arrivata all'ultimo atto di un mondiale che vide in quell'occasione, tra l'altro, il miglior risultato in assoluto della Jugoslavia, quarta nella classifica finale. Squadra tosta, con "attributi" sconfinati quella croata, poche balle e che rappresenta una nazione di soli 4 milioni di abitanti. Sempre sotto nel punteggio dagli ottavi e sempre in grado di recuperare alla "lotteria" dei rigori, dove con grandi doti tecniche e psicologiche - e con l'aiuto della Dea bendata, ovvio - è riuscita anche a metabolizzare la delusione del rigore vincente sbagliato da Modric a pochi minuti dalla fine dei supplementari contro i danesi negli ottavi e al pareggio dei russi a pochi giri di lancetta dalla fine dell'overtime nei quarti di finale. Ieri il capolavoro contro la "perfida Albione", rimontata e superata ancora una volta nell'extra-time e questa volta senza bisogno della "roulette russa" - proprio il caso di dirlo - dei penalties. Domenica l'ultimo ostacolo per entrare davvero nella Storia: diventare il primo paese dell'est europa a fregiarsi del titolo di campione del mondo. Non sarà facile. L'avversario sembra il peggiore che potesse capitare: La jeune France! Eh si, perchè i "galletti" guidati da Didier Dechamps arrivano alla finale con un percorso netto: fuori Argentina, Uruguay e Belgio senza dover ricorrere agli straordinari, sciorinando velocità, talento ed energia.
Una cosa sicuramente la nazionale (e la nazione) croata non ha proprio nulla da invidiare all'avversario: lo smisurato orgoglio di appartenenza e forse anche un po' lo sciovinismo. Noi, italiani, in questo frangente sfigati vicini di casa di tutti e due i contendenti, lo sappiamo anche troppo bene.
E per questo, personalmente, domenica sarà assai arduo decidere da che parte rivolgere la propria simpatia: ragioni di parentela familiare mi spingono verso les Blues mentre desiderio di novità verso i balcanici. In ogni caso sarà come scegliere tra la ghigliottina e la fucilazione con successivo vilipendio di cadavere.  
Due pensieri finali a margine dell'evento. Il primo: ve la immaginate cosa sarebbe oggi la Jugoslavia se a questa Croazia si potessero sommare lo sloveno Handanovic, i bosniaci Pjanic e Dzeko e il serbo Milinkovic-Savic, così solo per citarne qualcuno a caso? Il secondo: mi sono ricordato che ieri era l'11 luglio - non più del 1982 - e se ieri ho scritto che assistere a questi mondiali per noi italiani era come uscire ogni sera a cena con il proprio migliore amico e la sua ragazza dopo che la tua ti aveva lasciato, assistere alla finale sarà come essere costretti ad assistere alle loro "effusioni" il giorno dell'anniversario del primo "incontro" con la tua ex. E anche per questo, grazie "azzurri"!!

martedì 10 luglio 2018

LE PARTITE DEGLI ALTRI

I giorni successivi al fatidico Italia-Svezia, 13 (!) novembre 2017 (!), inutile dirlo, furono tremendi. Fuori dai mondiali! Mai successo nella vita della mia generazione! L'idea che potesse accadere non era stata presa in considerazione, eppure, confesso che in realtà la "catastrofe" era attesa: la pressione sugli azzurri era enorme e gli "azzurri" non sono da un bel po' abituati a confrontarsi con situazioni del genere. Gran parte della squadra, a partire dal C.T., era (ed è) composta da giocatori che militano in squadre di club che non disputano partite internazionali di alto livello e chi lo fa, tolti Buffon e Chiellini, oramai in vista del vitalizio garantito dall'ENPALS, è comunque nelle seconde linee. Insomma, la sVentura era razionalmente e ampiamente pronosticabile. Per il cuore no. Eravamo (e siamo) l'Italia. Quattro volte campioni del mondo. Gli occhi della mia generazione sono pieni di immagini di maglie azzurre, con bordi tricolori e Inno di Mameli, che hanno scritto la storia della coppa del mondo. Non potevamo non esserci anche noi a Russia 2018. Magari poi uscire subito al primo turno come le ultime due volte. Ma per esserci ci saremmo stati di sicuro. Non esiste una primavera senza fiori sugli alberi, un'estate senza frutti sui rami, un autunno senza foglie gialle e un inverno senza rami secchi. Invece è successo. Terribile. Disorientante.
Ripresi dalla routine di tutti i giorni, passato l'infausto novembre, abbiamo cercato di dimenticare, di rimuovere. I sorteggi dei gironi di dicembre, sono stati un nuovo pugno in faccia. Con chi siamo capitati? Con nessuno.. ah, già, noi non ci siamo... Niente pagine su pagine della Gazzetta riempite di pronostici, di studio degli avversari, di possibili giochi di marcature e calcoli su come era meglio piazzarsi in vista della fase ad eliminazione in diretta. Niente. Niente di tutto questo. Un dito infilato nella piaga per rendere difficile la metabolizzazione.
Poi è passato l'inverno ed è arrivata la primavera, con la ferita che pareva ormai rimarginata. Il peggio sembrava passato. In fondo eravamo ancora tutti vivi, salvati dai guai del quotidiano.
Ogni tanto affiorava il pensiero: "Chissà come vivrò il mondiale senza l'Italia?" E poi ottimismo: "Ma si, chi lo guarderà? Non ci siamo, lo shock ormai è alle spalle. Sarà come se il mondiale 2018 non sia mai stato."
Poi il 14 giugno il mondiale è iniziato per davvero. E come l'abbiamo vissuta? Io all'inizio male, malissimo, ragazzi. Poche balle, vedere giocare gli altri e soprattutto vedere le loro tifoserie colorate che facevano festa sugli spalti è stato un pugno al cuore. La domanda "Quando gioca l'Italia?" sorgeva spontanea dall'inconscio, poi la mente la ricacciava indietro come un cazzotto nello stomaco. Male, ragazzi, molto male.
Altro che "nessuno guarderà le partite, al massimo dalle semifinali in poi." Mi sono trovato a guardare più partite oggi che in Sudafrica e in Brasile, dove, penosamente c'eravamo anche noi.
Adesso che siamo alla vigilia delle semifinali, il dolore del pugno allo stomaco si è attenuato.
Resterà il ricordo di serate al bar guardando "le partite degli altri" come tanti "opinionisti" scegliendo di volta in volta per chi "simpatizzare". Provando anche inaspettatamente qualche piccola emozione.
Un po' come uscire a cena tutto il mese insieme al tuo migliore amico e alla sua ragazza, perché la tua ti ha lasciato da un po' di tempo.
Ecco, per me Russia 2018 è stato questo.
Esperienza, mi auguro, da non ripetere. Mai. Mai più.

mercoledì 4 luglio 2018

COSA FA LA SOMMA?

Gli italiani sottostimano la quota di popolazione sopra i 65 anni e sovrastimano quella di immigrati e di persone con meno di 14 anni. Oggi abbiamo circa 2 pensionati per ogni 3 lavoratori. Questo rapporto è destinato a salire nei prossimi anni. Secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale a legislazione invariata, a partire dal 2045 avremo addirittura un solo lavoratore per pensionato. Oggi un reddito pensionistico vale l’83% del salario medio. In queste condizioni, con un solo lavoratore per pensionato, quattro euro su cinque guadagnati col proprio lavoro andrebbero a pagare la pensione a chi si è ritirato dalla vita attiva. Tutti sono d’accordo sul fatto che bisogna contrastare l’immigrazione irregolare. Bene, ma si dimentica un fatto importante: per ridurre l’immigrazione clandestina il nostro Paese ha bisogno di aumentare quella regolare. Tanti i lavori per i quali non si trovano lavoratori alle condizioni che le famiglie possono permettersi nell’assistenza alle persone non-autosufficienti, tanti i lavori che gli italiani non vogliono più svolgere. Nel lavoro manuale non qualificato sono oggi impiegati il 36% dei lavoratori stranieri in Italia, contro solo l’8% dei lavoratori italiani e lo Skills Outlook dell’Ocse segnala una forte polarizzazione nella domanda di lavoro, con richieste di personale sia altamente qualificato che addetto a mansioni ai livelli più bassi della scala retributiva. Un problema dell’oggi Il declino demografico è un problema molto più vicino nel tempo di quanto si ritenga. Ai ritmi attuali, nell’arco di una sola legislatura, la popolazione italiana, secondo scenari relativamente pessimistici, ma non inverosimili, potrebbe ridursi di circa 300.000 unità. E’ come se sparisse una città come Catania. Dimezzando i flussi migratori in cinque anni perderemmo, in aggiunta, una popolazione equivalente a quella odierna di Torino, appesantendo ancora di più il rapporto fra popolazione in età pensionabile e popolazione in età lavorativa. A questo proposito l’Istat ha recentemente segnalato come da noi “si continuano a destinare risorse troppo scarse a tutela dei principali rischi sociali”: la spesa per le famiglie, il sostegno in caso di disoccupazione, la formazione, il reinserimento nel mercato del lavoro ed il contrasto alla povertà ci vedono agli ultimi posti in Europa (ISTAT, Rapporto annuale 2014). Senza l’immigrazione, secondo le stime di Eurostat, perderemmo 700.000 persone con meno di 34 anni nell’arco di una legislatura.

(Stralci dalla Relazione annuale 2018 del Presidente INPS)

+

Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50 in G.U. n. 91 del 19 aprile 2016 - s.o. n.10 
Codice dei contratti pubblici - detto "Codice degli appalti"

=

???


Nota: entrambe gli addendi non sono stati generati da una f(x) dove x sono i migranti. Irregolari o regolari. 

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