lunedì 11 giugno 2018

C'ERANO UNA VOLTA LA SCUOLA FEDERALE E IL CALCIO ALL'ITALIANA


C’era una volta una scuola di calcio “all’italiana” e i suoi Maestri si erano formati all’interno della Federazione, passandosi il testimone l’un l’altro e ogni volta apportando il proprio contributo personale per aggiornare il “modello” rispetto a quanto aveva lasciato il suo predecessore. Il periodo copre un arco temporale che va dal 1966, terminati gli ennesimi mondiali disastrosi, quelli che ci videro ancora eliminati al primo turno, questa volta ad opera degli sconosciuti nordcoreani, al novembre 1991, quando uno 0-0 in casa dell’URSS determinò l’eliminazione nelle qualificazioni per l’europeo di Svezia 1992. In quel quarto di secolo compreso tra i due eventi negativi conquistammo 1 campionato europeo (Roma 1968) 1 titolo mondiale (Spagna 1982), un secondo posto mondiale (Mexico 1970), un terzo posto mondiale (Italia 1990) e un quarto posto mondiale (Argentina 1978) a cui si possono aggiungere il quarto posto agli Eropei di Italia 1980 e la semifinale europea a Germania Ovest 1988. Risulta di tutta evidenza che fummo capaci di rimanere per 25 anni consecutivi al vertice del calcio mondiale e continentale, con alcuni fisiologici passaggi a vuoto, come l’eliminazione al primo turno ai Mondiali tedeschi del 1974 e l’eliminazione nelle qualificazioni a Euro 1984 da freschi campioni del mondo, mentre l’eliminazione agli ottavi di finale per “mano” della Francia di Platini a Mexico 1986 non fu poi un evento così disastroso come la vulgata tende a considerarlo, ma solo un torneo privo di acuti, terminato presto per il sollecito incrocio con una delle favorite della competizione. 
L’età dell’oro iniziò con l’incarico a Ferruccio Valcareggi – accompagnato per 4 gare dal “mago” della grande Inter Helenio Herrera – che dal 1966 al 1974 fece giocare la nazionale con la tradizionale marcatura “a uomo” – per passare il testimone al suo secondo Enzo Bearzot, che dopo la coabitazione con Fulvio Bernardini quale D.T., dal 1977 al 1986 seppe stupire il mondo prima in Argentina e poi in Spagna con la “zona mista” – marcatura a uomo degli attacanti più pericolosi dell’avversario e il resto a “zona” e per finire infine con la gestione di Azeglio Vicini, che prima nello staff di Valcareggi e Bearzot in qualità di osservatore e poi di allenatore dell’Under 21, riuscì ad integrare nella nazionale maggiore il “blocco” migliori talenti che aveva fatto crescere nella giovanile, migliorando ulteriormente lo schema “bearzottiano”. 
Questa fu la “scuola federale” di Commissari Tecnici che crescevano uno dietro l’altro, una scuola che non creava “allenatori” ma “selezionatori”, professionisti che non “inventavano” calcio ma che dovevano essere capaci di coniugare al meglio ciò che il campionato sapeva offrire, sia in termini di moduli che di uomini capaci di interpretarli e di fondersi in un gruppo vero. 
C’era grande consapevolezza di una verità talmente banale da diventare con il tempo incomprensibile: una selezione nazionale non è una squadra di club che deve disputare 50 partite in 9 mesi, guidata da un allenatore che ne può plasmare le dinamiche giornaliere e gli schemi di gioco. 
E forse c’era un'altra motivazione di fondo, altrettanto banale: un tecnico “fuori dal mercato” dava maggiori garanzie nella scelta degli uomini rispetto alle logiche e agli interessi particolari delle singole società e dei primi “procuratori” comparsi dopo l’abolizione del vincolo sportivo nel 1981. 
Al termine del 1991 l’allora Presidente della FIGC Antonio Materrese decise che era tempo di cambiare rotta, che lo “schema federale” era obsoleto per i tempi e volle affidare la guida della nazionale ad un uomo “nuovo”, estraneo alla federazione: il santone Arrigo Sacchi, il profeta del Milan berlusconiano, che capace di vincere tutto in europa – ma un solo scudetto in Italia - abbandonando la filosofia del “calcio all’italiana” sarebbe stato anche capace di trasformare il “Club” Italia in una squadra in grado di trionfare su tutti i campi sciorinando uno spettacolare gioco d’attacco, antitetico al superato difensivismo di scuola federale. 
Da allora ad oggi, in 27 anni, si sono succedute ben 12 gestioni tecniche che, tranne due casi (Maldini e Di Biagio), sono state scelte attingendo al mercato degli allenatori di club: Arrigo Sacchi (1991-1996), Cesare Maldini (1997-1998), Dino Zoff (1998-2000), Giovanni Trapattoni (2000-2004) Marcello Lippi I (2004-2006) Roberto Donadoni (2006-2008) Marcello Lippi II (2008-2010) Cesare Prandelli (2010-2014), Antonio Conte (2014-2016), Giampiero Ventura (2016-2017), Luigi Di Biagio (2018) e buon ultimo Roberto Mancini (2018-?)
Risultati di questo tourbillion di tecnici “a mercato”, oltre la loro brevità temporale rispetto ai “magnifici” tre predecessori: 1 titolo mondiale (Germania 2006), un secondo posto mondiale (USA 1994), due secondi posti europei (Belgio-Olanda 2000 e Polonia-Ucraina 2014). 
E da ultimo, l’unica mancata qualificazione ad un mondiale a partire dal 1958. 
Naturalmente le cause della “decrescita” sono molte e complesse, forse tra queste c’è anche il cambio di strategia della FIGC che ha smantellato la "scuola federale" e l'abbandono della filosofia che c'era alle spalle; certo, il modello che abbiamo conosciuto come "calcio all'italiana" fa da tempo parte della storia del calcio, come ne fanno parte altri stili di gioco che hanno visto trionfare i loro "inventori" e i loro migliori  interpreti in altre epoche più lontane o più vicine e quindi non è più proponibile nel calcio moderno.
E anche questo forse è il motivo per cui non vinciamo più: abbiamo perso l'identità e l'idea di chi siamo, di chi vogliamo essere e di come fare per diventarlo.  
Non solo nello sport, che ne è diretta conseguenza.

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