C’è chi dice che gli eventi
destinati a lasciare traccia nella nostra vita sono solitamente gravidi di
segni premonitori e che il loro arrivo è annunciato da significative anomalie
nell’ambiente che ci circonda.
Nella mia vita il “Messaggero degli Dei” è sempre stato il
caldo umido ed il momento in cui ha scelto di fare i suoi annunci è la sera.
Chi non ricorda in Friuli
l’opprimente cappa di caldo umido che appesantiva l’aria la sera del 6 maggio
1976 e i segni di nervosismo manifestato dagli animali da stalla o da cortile
nei minuti precedenti lo scatenarsi del sisma?
E che dire della mattina del 21 agosto 1968, quando dopo una notte
insonne per l’incredibile umidità e l’alta temperatura, mi ritrovai a vagare
nelle vie di Praga invasa da centinaia di tank sovietici spuntati
all’improvviso per soffocare il “socialismo dal volto umano”?
Non parliamo poi del 12 agosto
1961 a Berlino: altra notte insonne tormentata dalla calura e dai rumori che
giungevano dalla strada di fronte, per poi constatare sporgendomi dalla
finestra la mattina del 13, madido di sudore, che la strada era divisa da un
alto reticolato sorto all’improvviso durante la notte, ad opera dei soldati
della DDR.
Avevo compiuto da poco 10 anni la
sera dell’8 settembre del 1943, quando poco dopo le 19,30, la voce tremula
del Maresciallo Badoglio annunciò alla
Radio l’armistizio con gli anglo-americani, rompendo il silenzio e la noia di
una giornata interamente trascorsa in casa a cercare riparo dall’opprimente
calura.
Ero completamente
stravolto, con la camicia incollata come una seconda pelle per l’eccessiva
sudorazione, il tardo pomeriggio del 24 agosto 1954 nell’atrio della stazione
centrale di Trieste nell’attimo in cui i miei occhi incrociarono per la prima e
decisiva volta quelli di una bellissima ragazza inglese in divisa del Royal
Army… solamente il mattino seguente, dopo una notte ancora più calda dell’afa
in una camera di un piccolo albergo situato sulle rive, scoprii che il suo nome
era Helen, che lavorava nell’Amministrazione del Governo Militare Alleato e che
si trovava in stazione per tornare a casa, in Cornovaglia, visto che era
prossima la fine dell’amministrazione alleata ed il ritorno della città
all’Italia.
Era “naturalmente” sera
e faceva ancora un caldo bestiale il tardo pomeriggio del 08 agosto 1992
quando, rientrato a casa dopo una gita alle grotte di Postumia fatta con un
vecchio amico alla ricerca di un po’ di refrigerio, trovai sul tavolo del
soggiorno le due lettere che avrebbero sconvolto per sempre la mia ormai
prossima vecchiaia, scatenando una serie di eventi al cui confronto, quelli già
sopra descritti, furono poca cosa rispetto agli effetti che procurano negli
anni a venire quelle due missive sul mio microcosmo.
La prima lettera era
composta da un unico foglio bianco all’interno di una busta bianca non
affrancata che semplicemente era indirizzata “A Bepi”, mentre la seconda era
una raccomandata con ricevuta di ritorno, la busta ben sigillata era di un
verde scuro minaccioso e riportava per esteso il mio nome, cognome e indirizzo
e soprattutto il mittente: Ufficio Tecnico Erariale di Udine.
La prima che decisi di leggere fu
quella che ai miei occhi sembrava la più minacciosa, ovvero quella contenuta
nella busta verde scuro; il contenuto era di poche righe, e recitava più o meno
così: “Con la presente si notifica che saranno introdotte al Catasto le
mutazioni di cui al frontespizio. Si rende noto che avverso a quanto indicato,
gli interessati potranno ricorrere presso le Commissioni Tributarie di Primo
Grado, nelle forme previste dagli art. 6 e 7 del DPR 3/11/81 n. 739, entro 60
giorni dalla sottoscrizione della presente notifica. Il Funzionario Delegato.”
Dall’esame del “frontespizio” non ci capii molto, riuscì solo a realizzare
che si trattava di qualcosa avente a che fare con il vecchio rudere che, contro
il parere di amici e familiari tutti, avevo deciso di acquistare nelle
vicinanze dello Judrio, a poche centinaia di metri dal confine italo-jugoslavo,
visto che veniva citata, assieme a cifre, sigle e numeri vari, una
costruzione in Comune di Prepotto nonché
la sua via ed il numero civico.
Avevo acquistato quel rudere
nella primavera del 1990 con la “folle” idea di festeggiare la recente caduta
del muro di Berlino, vaticinando che non sarebbero passati molti anni ancora
prima che quella catapecchia, una volta ristrutturata, si sarebbe venuta a
trovare in una zona di grande interesse turistico ed eno-gastronomico e non più
in un luogo dimenticato, situato alla fine del “mondo libero” e con l’effetto
di vedere il suo valore commerciale almeno quadruplicato: un buon investimento,
insomma.
Mia moglie l’aveva avversato in
ogni modo, diceva che ero uno scrittore amabilmente pazzo e che di investimenti
immobiliari e di economia non ci avevo mai capito nulla e quindi dovevo lasciar
fare valutazioni di quel genere a “quelli del mestiere”. - “Lascia perdere,
non è roba per te” - mi ripeteva
continuamente, con un ossessione pari solo alla mia ostinazione ad andare
avanti nell’idea, che ormai non capivo più se era dovuta dalla convinzione
nella bontà delle mie argomentazioni oppure per semplice puntiglio, per
l’orgoglio di dimostrare che, all’occorrenza, non ero solo uno “scrittore
amabilmente pazzo”.
Ero e sono sempre stato un
testardo a cui piaceva remare contro la corrente, per cui avevo proceduto
all’acquisto del rudere e pure ben felice di farlo contro il “mondo” intero.
Ripiegai la lettera, la riposi
nella busta verde scuro e me la infilai nel taschino della giacca. – “Roba
per il commercialista” – pensai, senza neppure cercare di interpretare il
significato di quanto avevo letto – “faccio prima ad interpretare la
simbologia dei gereoglifici del Libro egizio dei Morti” – e mi ripromisi di
chiamare il professionista nei giorni seguenti.
Era quindi giunto il momento di
aprire l’altra busta, quella bianca, di estrarre il foglio e di leggere:
Caro e amato Bepi
se la vostra compagnia di
bandiera per una volta rispetterà il timetable, quando leggerai queste righe io
sarò già in Cornovaglia; scusami se non ho avuto il coraggio di anticiparti
questa decisione prima di agire, spero davvero tu un giorno possa, se non
comprendermi, almeno perdonarmi.
Ho deciso di vivere gli anni
che mi separano dalla dipartita da questo mondo , in solitudine, nella terra e
nei luoghi che mi hanno visto fare la comparsa e muovere i primi passi; mi è
divenuta insopportabile l’idea che tu mi veda invecchiare e di vederti
invecchiare, di assistere al lento, inesorabile, progressivo spegnersi delle
nostre vite.
Voglio mantenere intatto il
vissuto del nostro stupendo amore, da quel giorno in cui i nostri occhi si
incrociarono alla stazione di Trieste durante quegli anni tempestosi sino ad
oggi, sino a questi anni forse troppo quieti.
Voglio che mi ricordi così e
non più oltre, il giorno che anche tu lascerai questo mondo.
I nostri figli da tempo oramai
conducono le loro vite senza il bisogno di due prossimi vecchietti da visitare, o peggio da dover accudire, in
adempimento ad un penoso “dovere” morale: non sopporto l’idea di rappresentare
per nessuno, neanche per un minuto, una sorta di santuario da visitare durante
le feste comandate ed in ogni caso non voglio lasciare loro questa eredità.
Fino a ieri avevo l’energia di
quell’imprenditore, che pur affannato da mille problemi e con tanti debiti da
pagare, lotta come un leone per il raggiungimento dei suoi obiettivi e la realizzazione dei suoi
progetti; oggi mi sento come quel capitalista che deve solo controllare
l’incasso delle sue rendite presunte: è finita l’energia e mancano gli stimoli.
So che detesti l’economia e
non arrabbiarti per l’uso di questa metafora.
Da quando ci siamo conosciuti
ho imparato da te ad amare persino
l’Italia, così diversa dalla mia Inghilterra, ad ammirare le sue diversità, a
provare simpatia per le sue genti che vivono ogni giorno come una grande recita
in un grande teatro a cielo aperto e a
sorprendermi ogni giorno nell’assistere allo schizofrenico cambiamento di quei
canovacci che spaziano dalla farsa alla tragedia senza soluzione di continuità
e spesso, consapevolezza.
Forse sono anche stanca delle
vostre recite, che tanto mi hanno affascinato in passato, e desidero un ritorno
ai silenzi, al verde e al rumore del mare che s’infrange sulle alte scogliere
della mia Cornovaglia: ero giunta a Trieste nel 1950, 42 anni fa, per
contribuire all’Amministrazione Alleata della tua città e per impedire che
“passaste” sotto Tito, come avevate tutti grande timore e permettere che la
vostra democrazia, ai primi vagiti, potesse crescere e consolidarsi.
Ho compiuto la missione, che
dici Bepi? E’ tempo che io rientri in Patria, non ti pare?
Sono certa, per come ho
imparato a conoscerti, ad amarti e a capire il tuo grande amore per la libertà
ed il rispetto delle scelte individuali altrui, che se anche non condividerai
questa mia decisione, la rispetterai, così come accoglierai questa mia ultima
richiesta, ovvero di non cercarmi oltre,
perché sai che ti porterò per sempre nel mio cuore.
Ti amo
Helen
P.s.: prima di partire ho accettato una raccomandata per te, spero di non
aver sbagliato!
Uscii sul terrazzo con quel foglio tra le mani e mi
lasciai cadere su una delle poltrone da cui ero solito, ogni sera, perdere il
mio sguardo all’orizzonte del golfo di Trieste cercando di veder annegare
insieme al disco infuocato del sole, anche tutti i cattivi pensieri del giorno.
“Prima roba per il
commercialista… e adesso? Per chi? Per lo psicologo?” – fu la prima cosa
che mi venne in mente, prima di iniziare a leggere e rileggere centinaia di
volte la lettera di Helen, ben oltre l’inabissarsi del sole in fondo
all’Adriatico. Leggevo, rileggevo e vedevo scorrere le immagini di tutta una
vita, delle avventure di due “imprenditori” che pieni di debiti, ma ricchi di
energia e progetti avevano superato anni “bui e tempestosi” e che ora messa in sicurezza l’impresa in
acque riparate, uno dei due aveva deciso unilateralmente e senz’appello che la
rendita di quel capitale accumulato non era più di suo interesse.
Una cosa su tutte però mi faceva
imbestialire: Helen aveva ragione.
Mi conosceva talmente bene da
sapere che avrei rispettato la sua decisione, che non l’avrei cercata e che
neppure avrei tentato di farle cambiare idea, sebbene invecchiare insieme per
me non era un’idea insopportabile, ma costituiva il progetto ultimo della mia
vita e non mi consideravo affatto come un capitalista teso alla percezione
delle rendite derivanti dal patrimonio accumulato, bensì pensavo alla vecchiaia
come ad un periodo di nuove emozioni, avendo la possibilità di concludere la
mia parabola vivendo in pace tempi nuovi ed impensabili nella mia città,
Trieste, dopo essere stato costretto a girare il mondo e l’Italia come
giornalista della RAI.
Rispettai, come avevo sempre
fatto, anche quell’ultimo colpo di testa di Helen: del resto mi ero innamorato
di lei proprio per quella sua totale incapacità al compromesso e alla
mediazione, di quel suo agire immediato e deciso, senza ripensamenti e senza
curarsi delle conseguenze, quando era convinta di una propria idea e di un
proprio sentimento.
Io invece, totalmente incapace a
qualsiasi “colpo di testa”, sempre pronto a mediare, sempre teso a capire il
punto di vista degli altri, specialista ad ingoiare anche i rospi più grandi
pur di evitare “spargimenti di sangue”,
in lei avevo trovato tutto ciò che non ero e che forse avrei voluto
essere.
Non era stato forse un micidiale
“colpo di testa” decidere a 20 anni di rimanere a Trieste, un luogo tormentato
che all’epoca non si sapeva bene neppure di chi fosse e alle dipendenze di chi
fosse destinato, per amore di un coetaneo di cui a malapena capiva la lingua,
squattrinato e ricco solo di progetti per un futuro incerto, invece di
rientrare a casa sua, in Inghilterra, nazione vincitrice dell’ultima guerra
mondiale? La decisione di lasciarsi alle spalle la sua vita ed i suoi affetti
sulla soglia dei 60 anni per ritornare
in Cornovaglia, rientrava perfettamente nella sua logica.
Accettai quella scelta fino in
fondo: ancora oggi, in questo grigio inverno 2008, non so se la mia Helen
ascolta i silenzi della sua Cornovaglia oppure quello del Regno dei Cieli: per
me la cosa coincise da quella sera dell’8 agosto 1992.
Non molto tempo fa il più piccolo
dei miei nipoti, mi ha chiesto se, quando morirò, anch’io andrò in Cornovaglia:
gli ho risposto di si, perché non vedo l’ora di fare un dispetto alla nonna e
scoprire com’è invecchiata.
Oggi, pensandoci, però la cosa
più rimprovero ad Helen nelle mie solitarie notti insonni, oltre a non avermi
permesso di vederla invecchiare, è quella di aver accettato per me quella
raccomandata.
Se c’era un autore che avevo
sempre “detestato” quello era Franz Kafka: non sopportavo quel clima di
oppressione senza rimedio, di tragica impotenza di fronte ad un mondo in
perenne cospirazione contro la propria vita ed i propri sentimenti che riempiono
i suoi romanzi e tutti quegl’invincibili ed impalpabili nemici senza luogo e
senza volto che tormentano i protagonisti
dei suoi scritti.
Mai avrei pensato di diventare un
novello prigioniero di incubi evocati dallo scrittore ebreo, di lingua tedesca,
nato e vissuto a Praga.
Qualche tempo dopo la partenza
di Helen, la “signora delle pulizie” che
i miei figli avevano preteso assoldassi
come aiuto alle faccende domestiche ben sapendo che non ero mai stato capace di
sostituire neanche una lampadina, mi porse una busta verde scuro sgualcita
dall’acqua, dicendomi di averla rinvenuta a seguito del lavaggio delle mie
giacche.
Non feci fatica a riconoscerla,
si trattava della raccomandata dell’Ufficio Tecnico Erariale accettata da Helen
per conto mio il giorno della sua partenza, e che visto quanto era accaduto
avevo completamente rimosso dalla memoria.
Il giorno seguente mi recai dal
commercialista per far interpretare l’oscuro significato di quella
comunicazione; il consulente fiscale, dopo averla esaminata con attenzione e
con l’aria preoccupata del medico di famiglia che scorge negli esami clinici
del paziente i sintomi di una grave malattia, ma che non vuole assumersi
l’ingrato compito di comunicarlo al suo assistito, mi disse con un sorriso che
tradiva la sua preoccupazione: - “Caro Bepi, questa è roba per geometri” –
“Devi farla vedere a quel tipo che ti ha assistito quando hai comprato il
rudere di Prepotto. E’ inutile che io faccia delle supposizioni.. eppoi sai,
quando ci sono di mezzo i geometri…”.
Dopo aver constatato che il
commercialista era restio a darmi qualsiasi ulteriore informazione, quella stessa mattinata raggiunsi lo studio
del geometra che aveva curato la compravendita di due anni prima. “Caro
Bepi! Ma perché vieni qui solo adesso?Perché non mi hai portato subito questa
notifica?Pensa che i termini per fare
ricorso sono scaduti ieri!!” – Termini per il ricorso? Perché non sei
venuto prima? Ma che diavolo stava dicendo il mio amico geometra? Mia moglie mi
aveva abbandonato su due piedi, avevo si
o no il diritto di pensare ad altro rispetto alle raccomandate oscure ed
ermetiche degli Uffici Fiscali? Eppoi, per quale motivo dovevo far ricorso, io
che sono abituato a digerire rospi giganteschi senza fiatare? E contro chi
dovevo ricorrere? Chiesi delle spiegazioni. Il geometra, cercando anche lui di
occultare la sua preoccupazione, cercò di illuminare l’oscurità. “Caro Bepi,
quando tu hai acquistato quel rudere, l’immobile era iscritto in Catasto privo
di rendita” E allora? Non sarà stata
mica colpa mia o no? Lui mi aveva assicurato che era tutto in regola, persino
il Notaio annuiva, quella buon’anima che si era ben che fatto pagare per il
rogito! E cos’era questa “rendita”? “Come ti spiegammo io e il Notaio
all’epoca del rogito, l’Ufficio del Registro pretende il pagamento dell’imposta
di registro sul valore di mercato dell’immobile e siccome il valore di mercato
non è importo misurabile esattamente, la legge consente di non subire
accertamenti di valore a coloro che versano l’imposta calcolata su di un valore
pari almeno alla risultante della rendita catastale moltiplicata per 100. In
parole povere anche se tu paghi 200 per l’acquisto ma la tua rendita catastale
moltiplicata per 100 dà come risultato 150, paghi l’imposta di registro su 150
e per gli Uffici va tutto bene.” Con
molta fatica iniziavo a capirci qualcosa… “Ora, nel nostro caso, essendo il
“rudere” all’epoca della compravendita privo di rendita, la legge acconsentiva
di pagare l’imposta di registro su di un valore calcolato con una rendita che
noi ritenevamo presunta, in attesa di conguagliare l’eventuale differenza, una
volta che l’Ufficio Tecnico Erariale determinava la rendita definitiva. Per
essere più chiari, e in parole povere, visto che di rudere si trattava, gli
abbiamo attribuito una rendita molto bassa pari a 200.000 Lire, in modo da
pagare l’imposta di registro su di un valore di 20.000.000, versando 3.200.000
Lire…” Le cose incominciavano a
farsi sempre più chiare, le parole oscure di quell’avviso ricevuto iniziavano a
farsi sempre più sinistre… “Insomma, caro Bepi, andando nello specifico,
quella comunicazione che hai ricevuto ti dice che l’Ufficio ha attribuito la
rendita definitiva…” Il geometra non
aveva molta voglia di proseguire… “Mi par di capire che non si tratta
di un evento felice…” Replicai fissando il vuoto.. “In sé è
un evento atteso… il problema è che l’Ufficio ha valutato il rudere poco rudere
assegnandogli una rendita di 1.900.000
Lire… “
Odiavo la ragioneria, ma sapevo
fare i calcoli rapidamente “Fammi capire… se la rendita è 1.900.000 il
valore su cui calcolare l’imposta di registro è diventato 190.000.000, per cui
l’imposta da versare sarà 15.200.000??” – “Ad essere precisi, ci saranno da
aggiungere le maggiori tasse di trascrizione, la maggiore imposta catastale e
gli interessi dalla data del rogito a quando arriverà l’avviso di
pagamento…puoi tranquillamente aggiungere altri 6-7 milioni…”
Scoppiai come una bomba atomica –
“E’ un sopruso! E’ una follia! Quei quattro sassi messi in croce non varranno
190.000.000 neanche se trasformati in un Albergo a 5 stelle!!! Vicino al
confine! Una zona depressa, disabitata, che confina con un’enorme distributore di benzina!!! Non ha senso, non
è possibile.. questa non è legge… è una vergogna… Ci sarà qualche rimedio, o
no???” Ero diventato paonazzo, avevo
persino iniziato a picchiare i pugni sulla scrivania del geometra…
Il professionista, senza
proferire parola, lasciò che la tempesta
si esaurisse e poi pacatamente mi di disse. “E’ evidente che l’Ufficio ha
fatto una valutazione errata e certo che il rimedio c’è, o meglio c’era… se non
si concorda con la valutazione fatta dall’Ufficio, come c’era scritto sulla
notifica, c’erano 60 giorni di tempo per fare ricorso contro l’operato del
Catasto e bloccare il procedimento… il guaio è che i 60 giorni sono scaduti
ieri… ” concluse sconsolato il geometra. “Il tuo ha tanto il suono di un
de profundis…Ma non c’è nessuna ulteriore possibilità per rimediare?” –
chiesi al geometra, con l’aria di chi ha compreso di aver contratto una grave
malattia… “Una possibilità teorica esiste: fare ricorso contro l’avviso di
pagamento delle maggiori imposte, quando ti verrà notificato fra qualche mese.
Però a questo punto è roba per commercialisti azzeccagarbugli! E non far
passare altri 60 giorni quando arriverà la notifica, altrimenti ti rimarrà solo
la corruzione di pubblici funzionari per farla franca…”. Così terminò il
geometra, assumendo l’atteggiamento del medico specialista, che per dare
qualche speranza al paziente spacciato, evoca l’esistenza di cure miracolose ad
opera di non ben precisati luminari della medicina.
Nella tarda primavera del 1993,
come aveva predetto il geometra, mi venne notificato l’avviso di liquidazione
delle maggiori somme dovute e come anticipato dal tecnico, mi si chiedeva il
pagamento entro 60 giorni di una somma pari a 23.500.000 Lire, ovvero più di
quanto avevo pagato all’epoca al venditore del rudere.
Come consigliato, corsi
immediatamente dal commercialista chiedendogli di fare qualcosa al più presto,
con l’atteggiamento disperato e poco dignitoso di un malato terminale.
“Caro Bepi, esiste
qualche possibilità… ci sono delle
sentenze che negano all’ufficio fiscale la possibilità di chiedere in
pagamento, in casi come il tuo, somme
senza procedere prima ad un vero e proprio accertamento di valore, svincolato dal parametro della rendita già
attribuita… Ma non posso negarti che ce ne sono altrettante che invece lo
consentono… insomma, Bepi, cerca di capirmi, è come fare testa o croce…” Accolsi le parole del commercialista come
l’arrivo di una nuova speranza e gli dissi comunque di agire, di non perdere
tempo, che sicuramente ce l’avremmo fatta, perché era palese che pagare quella
somma era un’ingiustizia colossale – “Basterà produrre in giudizio le foto
del rudere” – aggiunsi trionfante – “No Bepi, sarà perfettamente inutile
mostrare le fotografie: quelle ti avrebbero fatto vincere senza dubbio il
ricorso contro l’attribuzione della rendita se lo facevi in tempo… adesso è
pura questione di diritto… insomma azzeccare il cavillo e trovare la
Commissione tributaria in giornata favorevole, la giustizia non ha nulla a che
vedere con il tuo caso ora. Adesso è il tempo di avere tanta pazienza e di incrociare le dita.” - Smorzò subito il mio entusiasmo il consulente,
che predispose e depositò il ricorso nei giorni successivi, ricevendo 2.000.000
di Lire per la sua opera.
Nel novembre del 1994 ricevetti
una telefonata dalla segretaria del commercialista, la quale mi invitava a
passare in studio per comunicazioni urgenti che mi riguardavano; non persi
tempo, dopo un’ora mi trovavo innanzi al consulente pensando, naturalmente, che
si trattasse di qualche notizia sul ricorso.
“Caro Bepi, ci sono novità. Il
Governo ha emanato una sanatoria per le liti pendenti tra fisco e contribuenti:
pagando il 10% delle pretese erariali entro il 15 dicembre prossimo, si
estinguono gli accertamenti… In altre parole, se versi oggi 2.500.000, più
250.000 per il mio onorario c’è la possibilità di chiudere la questione del
rudere.”
Non me lo feci dire un’altra volta, staccai subito un
assegno al professionista e lo incaricai di procedere ad un tanto; quella sera
di novembre pagai la cena al ristorante ai miei figli ed alle loro famiglie: mi
sentivo un miracolato, un malato grave guarito completamente. Durante la serata
però venni assalito da un dubbio: faceva troppo freddo, non poteva essere una
giornata “epocale” e per di più la notizia non era arrivata di sera, ma al
mattino, nello studio del commercialista.
Al diavolo, pensai, sono tutte superstizioni!
Faceva invece molto caldo nell’estate del 1996, quando
arrivò un’altra cartolina verde scuro, minacciosa, contenente un ermetico
messaggio dal seguente tenore: Ai sensi della Circolare del Ministero delle
Finanze n. 197/E dd. 30/11/1994, punto 1.7, si comunica che l’istanza per
“chiusura lite fiscale” prodotta dal nominato in oggetto ai sensi dell’art. 2
quinquies Legge n. 656/94 non può esplicare alcuna efficacia poiché la relativa
vertenza non è inquadrabile fra quelle pendenti ed espressamente indicate nel
citato art. 2 quinquies, comma 4, trattandosi di questione di diritto e non di
maggior imponibile accertato. L’istanza è pertanto ininfluente ai fini della
controversia e le somme versate sono trattenute in acconto sui maggiori importi
dovuti. Si avverte che contro il presente atto amministrativo potrà essere
presentato ricorso entro 60 giorni dalla notifica presso la Commissione
Tributaria Provinciale competente per territorio.”
Nel corso degli anni avevo perso la capacità di interpretare
le simbologie del Libro egizio dei Morti e migliorato notevolmente la
comprensione del terribile linguaggio degli Uffici fiscali, per cui fu come se
il mondo mi crollasse addosso di nuovo: ero tornato debitore di quell’enormità,
essendo comunque il mio versamento ormai completamente eroso dagli interessi
che continuavano a maturare a favore dello Stato. Naturalmente mi recai subito
dal commercialista, il quale, per altre 750.000 Lire fece ricorso contro il “diniego
della chiusura della lite”.
Aveva ragione Helen, siamo proprio un popolo di buffoni:
il governo aveva fatto una legge per diminuire i contenziosi pendenti e i
burocrati, grazie a quella legge evidentemente mal fatta, ne avevano persino
moltiplicato il numero e gli effetti.
La Commissione Tributaria Provinciale di Trieste respinse
il ricorso nella primavera del 1997 condannandomi anche al pagamento delle
spese di procedimento per 500.000 Lire; il commercialista, convinto della bontà
delle sue argomentazioni mi convinse ad insistere ancora e, dietro un compenso
di 2.500.000 Lire proporre ricorso alla Commissione Regionale di Trieste.
Era diventata la mia guerra personale allo Stato italiano
o forse, una sciocca battaglia contro le profezie di Helen – “Lascia stare,
non è roba per te” - quando nel 1990 avevo deciso di acquistare il rudere.
Il ricorso fu discusso nel novembre del 2000 e all’alba
del terzo millennio nel gennaio del 2001, il commercialista mi comunicò che il
nostro ricorso era stato accolto con la condanna dell’Ufficio a rifondermi anche
le spese di giudizio che avevo sino ad allora dovuto sostenere.
Oramai però avevo capito l’antifona: era gennaio, faceva
freddo e quindi non era ancora giunto il momento delle svolte epocali, la mia
battaglia era ben lungi dall’essere conclusa; infatti, come mi aveva in qualche
modo profetizzato il commercialista, l’Ufficio del registro, divenuto nel
frattempo Agenzia delle Entrate, per mezzo dell’Avvocatura Generale dello
Stato, nel febbraio del 2002, qualche giorno prima che scadessero i termini per
proporre ricorso, si costituì niente meno che alla Suprema Corte di Cassazione
in Roma per far annullare la sentenza a me favorevole di Trieste.
Ulteriore cosa spiacevole, il commercialista mi disse che
nell’ipotesi in cui io intendessi continuare la mia battaglia, lui non era
abilitato al patrocinio presso la Corte di Cassazione e quindi avrei dovuto
incaricare necessariamente un avvocato cassazionista, con un costo tra i ed i 5
e 7 mila euro, per resistere alle pretese dell’Avvocatura.
Nel frattempo, tra la sorpresa generale di tutti,
consulenti e funzionari dell’Agenzia delle Entrate che seguivano la pratica, la
Commissione Provinciale di Trieste fissava un’udienza al settembre 2004 per discutere sul primo
ricorso, quello contro l’avviso di pagamento originario di 23.500.000 Lire, ora
euro 12.136,74.
Nessuno oramai ci capiva niente e nemmeno era in grado di
formulare ipotesi su come sarebbe andata a finire quella vicenda innescata
dall’acquisto del rudere nel 1990 pagando l’imposta attraverso il “beneficio”
della rendita presunta. Il fisco poteva vincere quel grado del procedimento e
magari resistere vittoriosamente anche ad un mio appello in secondo grado
arrivando, per compiersi i diversi giudizi, nel frattempo vicino al 2010 e
vedere poi vanificare il tutto se la Corte di Cassazione, i cui tempi per
quella decisione erano variabili tra i 5 ed i 6 anni, nel mentre mi avesse dato
ragione. D’altra parte, se la stessa Corte nel giudicare la bontà delle mie
ragioni, avesse deciso di compensare le spese di giudizio, avrei in ogni caso
dovuto sobbarcarmi le spese legali, rendendo il tutto una vittoria di Pirro.
Tremendo poi lo scenario in caso di una sconfitta totale intorno all’anno 2010:
tra spese legali, interessi e maggiori imposte il conto poteva salire fino a
30.000 Euro.
Godevo ancora di ottima salute,
ma considerando che nel 2010 avrei compiuto 77 anni e che non volevo lasciare
ai miei figli le grane causate dalla mia ostinazione o dalla mia sventura,
decisi di accogliere la richiesta di conciliazione fattami dall’Agenzia delle
Entrate: se rinunciavo al rimborso delle spese legali sostenute e versavo la
somma di 7.000,00 Euro la storia era chiusa.
Nella calda mattinata del 5
maggio 2004, qualche giorno dopo l’ingresso nell’Unione Europea della Slovenia,
mi recai all’Agenzia delle Entrate con un assegno di 7.000 Euro e sotto
l’occhio vigile del commercialista, firmai assieme al Direttore dell’Ufficio di
Trieste la fine della guerra tra me e lo Stato Italiano, causata dal mio
acquisto per 20 milioni di Lire di un vecchio rudere a 100 metri dalla cortina
di ferro nella primavera del 1990.
****
Ieri sera ho ricevuto una
telefonata da parte del mio vecchio amico geometra, ormai in pensione pure lui.
“Bepi, se mi prometti di non
arrabbiarti, ti dico una cosa”
“Dimmi Furio, dimmi tutto
quello che vuoi, oramai sono in pace con il mondo”
“Ti ricordi quella rendita definitiva del rudere di Prepotto?”
“Vuoi che torni in guerra con il mondo? Certo che la ricordo, beata l’ora!”
“Senti…”
“Forza, ti ho detto.. ho fatto pace con il Governo Italiano, avanti…”
“Ho conosciuto il figlio dell’impiegato del Catasto che aveva valutato il
valore di quella rendita: suo papà è morto l’anno scorso. Mi ha raccontato che
il padre, gli ultimi anni della sua vita era tormentato da un fatto accaduto
poco prima che andasse in pensione: aveva fatto un errore nell’ultima pratica
prima del pensionamento; si trattava dell’attribuzione di una rendita
definitiva a seguito di domanda di iscrizione di rendita presunta… la rendita
presunta era di 200.000 Lire, si trattava di un vecchio rudere vicino allo
Judrio. Lui la valutò addirittura 190.000 Lire,
perché quel rudere era proprio un rudere, solo che nel mentre scriveva la cifra, alcuni
colleghi nell’invitarlo ad un brindisi al suo imminente pensionamento l’avevano distratto e così lui non si era accorto di aver lasciato uno
zero in più.
La pratica era andata alla firma del Direttore ed era uscita con la rendita
attribuita per 1.900.000 Lire…”
“Ma quando se ne sono accorti?” dissi
pietrificato.
“Se ne accorsero per caso nel 1994
quando tu facesti richiesta di chiudere
la lite. Un impiegato zelante prese in mano il fascicolo e s’insospettì
dell’importo così elevato della rendita definitiva: telefonò al pensionato,
esaminarono il carteggio e così capirono l’equivoco”
“Ma.. ma… perché non fecero nulla?” Sussurrai
nella cornetta con un filo di voce.
“ Loro consegnarono subito il
fascicolo al Direttore spiegando l’accaduto ma questi disse - E che
c’azzecca? Il poverino ha fatto ricorso nei termini contro l’attribuzione della
rendita? No? E che minchia ci posso fare io se questo tapino smemorato fu? Questione di diritto ormai è!
– i due non ebbero il coraggio di replicare al loro superiore e così… bè il
resto lo sai. Nel frattempo è morto anche il Direttore.”
Riattacai la cornetta senza replicare, uscii sul terrazzo
e mi sedetti, svuotato da ogni energia vitale, sulla stessa poltrona su cui mi
ero seduto 16 anni prima dopo aver letto la lettera di Helen; i miei occhi
caddero sul tavolino dove avevo riposto il libro per la lettura della notte:
“Il Processo” di Franz Kafka.