venerdì 31 marzo 2017

SENSO E COUNSELING


Nel nostro tempo, in cui l’Uomo moderno si trova immerso in un ambiente sempre più permeato dalla Tecnica e deve affrontare ritmi esistenziali dettati non solo (o non più?) dai cicli della Natura ma delle necessità funzionali dei processi artificiali creati dall’innovazione tecnologica, la ricerca del Senso (GALIMBERTI – 2005) pare essere diventata un’esigenza difficilmente eludibile se si ha a cuore la prevenzione dei disturbi psichici e più in generale la salute dell’individuo, ovvero i settori d’intervento propri del counseling. 
Infatti, se i processi nel mondo delle Tecnica seguono invariabilmente la logica binaria e il nesso di causalità perfetto (0-1, Vero-Falso, per una Causa sempre lo stesso Effetto), il mondo dell’Umano è invece il regno delle sfumature, delle diverse tonalità dei grigi, delle molteplici possibilità di risposta ad uno stesso stimolo, ove lo stesso agente patogeno provoca effetti patologici diversi in soggetti diversi.  
A mente di questo, il dialogo tra i due mondi non appare affatto semplice e se la psicoanalisi nei momenti più alti si è limitata a curare le sofferenze dell’anima provocate dalle condizioni del mondo, ottenendo come risultato una presa di distanza individuale dal vuoto di senso, la filosofia (e quindi a ruota e in prospettiva il Counseling) non ha mai esitato a mettere in questione il mondo che oggi si identifica con la tecnica e in cui sono da reperire le radici dell’insensatezza. Dall’insensatezza non si esce con la “cura”, perché il disagio non origina nell’individuo, ma dal suo essere inserito in uno scenario, quello tecnico, di cui gli sfugge la comprensione. E se il problema è la comprensione, gli strumenti filosofici sono gli unici idonei per orientarsi in un mondo in cui il senso, per l’uomo, si sta facendo sempre più recondito e nascosto. (GALIMBERTI- 2005, in Dizionario del Counseling filosofico e delle pratiche filosofiche – op.cit. p. 405- 406). Sempre secondo Galimberti se manca il perché, non si sopporta il come e se il reperimento del senso favorisce l’esistenza e per la conduzione umana rappresenta un vantaggio biologico, là dove esso non si trova bisogna “inventarlo” … infatti chi invece, nonostante i riconoscimenti distribuiti dall’apparato tecnico, continua a denunciare l’assoluta mancanza di senso di un’esistenza costretta ad esprimersi in un semplice universo di mezzi, viene invitato da più parti a curare la sua demotivazione e così quello che è un segno di lucidità, una chiara percezione di un tratto tipico del tempo della tecnica, viene rubricato come un sintomo patologico, come una malattia da cui occorre guarire con cure della parola (religione, psicoanalisi) o attraverso i farmaci (ansiolitici, antidepressivi) il cui risultato non è quello di combattere l’insensatezza dell’esistenza ma il sintomo che ha avvertito lucidamente l’insensatezza dell’esistenza. Chi è refrattario alla cura o non accetta l’alienazione che nell’età della tecnica non è causata dai rapporti di proprietà ma dallo sviluppo a-finalistico dell’apparato tecnico, sceglie la strada dell’evasione sociale in quei paradisi di felicità che le droghe (sostanze naturali e prodotti culturali) permettono, se non altro come interruzione dell’esperienza di mancanza di senso e sospensione del dolore di esistere. Infatti, prima che campo di gioco di pulsioni impersonali, l’uomo, come l’abbiamo storicamente conosciuto è apertura al senso e la sua Libertà prima che nella piena esplicazione delle pulsioni, si esercita nell’ampiezza di tale apertura. 
Il Counseling, nella ricerca del senso, va quindi inteso come l’attività tesa ad aiutare il Cliente a combattere l’insensatezza dell’esistenza e non il sentimento di insensatezza  dell’esistenza stessa, partendo dal presupposto che solo combattendo l’assunto ideale dell’insensatezza dell’esistenza si otterrà il risultato di rimuovere, o perlomeno attenuare, il sentimento di vuoto derivante da tale insensatezza. 

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