Avevo 12 anni e l’idea di poter “vedere” da
vicino giocatori di serie A era nella mia mente qualcosa di grandioso: di
colpo, nomi come Rivera, Maldera, Albertosi, Bigon… prendevano forma! Fotografie viste e riviste
ogni anno nel rito dello scambio delle figurine Panini… nomi uditi ogni
domenica alla Radio durante le telecronache.. i personaggi che noi bambini
impersonavamo nei lunghi pomeriggi passati a giocare a pallone in ogni dove,
dal cortile di casa alla piazzetta sgombera momentaneamente di auto…i volti del
mio immaginario d’improvviso erano lì.. a pochi metri!
Una sensazione stranissima.. la
visione di alieni che sbarcano sulla terra penso poco di più avrebbe causato agitazione
nel mio mondo.. Eppoi lo stadio! tutta quella gente insieme… la folla… tutti
quei volti sorridenti e festanti nell’attesa dell’evento…quel chiacchiericcio
che saliva e divenne un boato assordante quando le squadre entrarono in campo…
e l’eccitazione dentro di me che cresceva... i brividi lungo la schiena… Non
riuscivo a placare quella sensazione nuova che mi rendeva euforico, con gli
occhi colpiti da immagini straordinarie in ogni direzione essi si muovessero… i
giocatori in campo, il vicino che urlava, l’altro che azionava la tromba… la
voce della folla che non si placava ed io che cercavo di fissare nella mia
mente ogni cosa, ogni suono.
Avevo preso posto alla fine del
settore distinti, in linea con la bandierina del calcio d’angolo sul lato dalla
curva nord, che al tempo era priva di gradinate e completamente ammantata
d’erba; non dimenticherò mai il salire del battito del mio cuore quando vidi
arrivare verso di me Rivera con il pallone tra i piedi per battere un corner!
Gianni Rivera! L’eroe di Città del Messico… quello di Italia – Germania 4-3…
l’uomo che divenne mito piegando definitivamente i tedeschi con un piattone di
destro che prese in contropiede il grande Sepp Maier nel supplementare della
semifinale mondiale passata alla storia nientemeno come “la partita del
secolo”…
Quel pomeriggio di agosto del
1978 l’eroe di Città del Messico era lì, a poche decine di metri da me: quel calcio morbido dalla bandierina verso il
centro dell’area intasata dell’Udinese è un istante che mi ritorna alla mente
spesso, le volte che ancor oggi vado allo Stadio Friuli.
Quel pomeriggio assolato scattò
qualche cosa, una scintilla che ancor oggi si accende in tutte le occasioni in
cui entro allo Stadio e che nessuna pay-tv sarà mai in grado di surrogare.
Anche il destino dell’Udinese,
allora allenata dall’udinese purosangue Massimo Giacomini, non fu meno
entusiasmante: addirittura vinse il campionato di serie B, strapazzando tutte
le avversarie e facendo ritorno in serie A dopo 17 anni: certo non si può dire
che il mio “debutto” in uno stadio portò sfortuna alle due contendenti!
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