Ancora valige da disfare e panni sporchi
da lavare in Calle Magdalena, questa volta con profumi e odori provenienti
dalla Côte d’Azur, dove Rubén si era ritirato alcuni giorni a iniziare la
penosa opera di elaborazione del lutto generato dalla fine emotivamente rovinosa
della storia con la signora Beauvais. Lo spagnolo non si dava ancora pace per
le accuse di “pesantezza” che la donna gli aveva rivolto durante tutti i mesi
in cui si erano frequentati, ogni volta in cui lui le chiedeva di assumersi la
responsabilità e di dare un nome ai suoi sentimenti. “Non essere pesante Rubén,
vivi leggero, prendi quello che c’è, domani è un altro giorno. Io ho bisogno di
leggerezza.” - ripeteva sempre Dominique
Beauvais, allora Dominò, sgusciando via prima come un’anguilla, alzando poi un
muro di silenzio dietro cui celare le disfunzioni del suo ménage familiare che,
agli occhi di Rubèn, solo adesso avevano assunto i tratti più scontati dei
rituali in uso presso l’alta borghesia della provincia francese.
Su questo concetto aveva consumato quasi
tutto il pomeriggio in cui aveva ricevuto a Nizza la visita della sua amica del
cuore, Dolores Sabadell, giunta come tante altre volte al “capezzale” del
pittore spagnolo ogni volta che questo si era “frantumato” emotivamente per
ragioni sentimentali.
Avevano passeggiato per ore sulla
Promenade des Anglais, interrompendo la via
crucis sedendosi ogni tanto ai tavolini di alcuni bistrò lungo la via, solo
per dare ristoro alla gola di Rubèn che, come suo solito, vomitava fiumi di
parole e di ragionamenti che non portavano a nulla. Dolores ascoltava in
paziente silenzio, rivolgendogli talvolta qualche carezza, qualche abbraccio
affettuoso ed accogliente; la donna conosceva Rubèn sin dall’infanzia e nutriva
verso di lui un sentimento di amicizia puro, che si era mantenuto tale da
sempre e ricambiato nella stessa maniera dal suo amico. Tra di loro c’era
sempre stata una grande intesa intellettuale ma Eros si era sempre tenuto alla
larga, perché troppo diverse erano le loro pulsioni in materia. Rubèn in amore
era governato da Marte e da Venere, mentre Dolores incarnava perfettamente
l’archetipo di Estia, la dea vergine tutta tesa alla conservazione del calore
del focolare. Il legame era forte perché erano perfettamente consapevoli della
loro incompatibilità erotica e nel contempo ammiravano nell’altro le qualità
che a ciascuno di loro facevano difetto: Dolores era affascinata dalla
curiosità insaziabile, dal dinamismo, dalla forza taurina e dal coraggio
indomabile di Rubèn, mentre lui ammirava nella donna la temperanza, la
pazienza, la capacità di accoglienza, la gioia per la cura quotidiana delle
piccole cose e la facilità di concentrazione sull’obiettivo senza farsi turbare
dalle emozioni.
Terminata la lunga passeggiata, prima di
congedarsi con un lungo e forte abbraccio, Dolores aveva detto a Rubèn che
presto gli avrebbe fatto avere il suo commento in merito a quanto aveva udito;
Rubèn, non si era scomposto, la conosceva bene, sapeva che lei prima di aprire
la bocca aveva bisogno, al suo contrario, di ruminare a lungo il lauto pasto di
parole e concetti che ogni volta lui gli serviva puntualmente e in abbondanza.
Così non si era sorpreso per nulla
quando appena rientrato a Toledo dalla Costa Azzurra, nella cassetta delle lettere
di Calle Magdalena 23 aveva trovato una lettera per lui inviata da Dolores. Prima
di aprire e leggere aveva pensato che forse era meglio svuotare le valigie per
dedicarsi con la giusta attenzione alla lettura prima di coricarsi a letto, ma
naturalmente non aveva resistito e così aveva aperto la busta ed estratto la
lettera mentre la piccola soffitta era ancora invasa da valige e borse
semi-aperte e vestiti sporchi sparsi qua e là. Iniziò a leggere.
“Caro
Rubèn,
a
volte può capitare di confondere il desiderio di leggerezza con la voglia di
sentirsi liberi di comportarci superficialmente, e da quell’allucinazione
iniziale si compiono poi a cascata una serie di disastri, sia per sé stessi sia
per i malcapitati che non sono in grado di smascherare prontamente il
“travisamento” o il “travestimento”.
Per
volare “leggeri” bisogna avere l’animo “leggero” e l’animo leggero è privilegio
di chi conosce le sue profondità ed è capace di scendervi il più possibile,
affrontando con coraggio sia i petali meravigliosi, che le spine pungenti che
si celano nell’intimo di ciascuno di noi.
Può
volare “leggero” chi è consapevole delle possibili conseguenze del volo per sé
e per gli altri, chi responsabilmente le accetta e tale consapevolezza, repetita juvant, è solo di chi
sa viaggiare con sicurezza e competenza nelle sue profondità più … “profonde”.
Per
volare “leggeri” bisogna sapere che si può anche cadere e se succederà potrà
fare pure molto male e nonostante questo saremo comunque in grado di guardare
le ferite contratte, curarle in modo compassionevole e rialzarci.
Se
non abbiamo questa consapevolezza, questa capacità di essere responsabili delle
nostre azioni perché abbiamo paura di affrontare le spine e le ferite nascoste
nel nostro intimo, se non abbiamo profondità, resteremo sempre in superficie, ovvero destinati a
rimanere incatenati al suolo e quindi condannati ad essere incapaci di volare.
Né con leggerezza, né senza leggerezza.
Amico
mio, non farti cruccio più del tempo necessario: tu non eri pesante, tu eri
leggero perché sei diventato profondo come un abisso. Tu potevi e potrai volare
leggero, mentre la donna che hai incontrato era pesante come il piombo,
incollata alla superficie. Era lei a non poter alzarsi in volo. Né con
leggerezza, né senza leggerezza. Più o meno come te, vent’anni fa.
Ti
voglio bene.
Dolores
P.S.:
ogni tanto chiamami anche quando non hai solo bisogno di curare le ferite.
Nessun commento:
Posta un commento