martedì 28 marzo 2017

IL GRANDE VECIO. SPORT, MITO E FILOSOFIA.

Le vicende legate alla spedizione della nazionale italiana di calcio ai campionati mondiali  disputati in Spagna nel giugno-luglio 1982 custodiscono alcuni elementi fondamentali del percorso simbolico-iniziatico noto come Viaggio dell'Eroe. 
La comitiva azzurra parte per la Spagna in un clima di sfiducia generale: non vince una partita da mesi, da almeno 2 anni non disputa un incontro all’altezza della fama che si era conquistata meritatamente nel 1978 ai mondiali di Argentina e il suo giocatore più rappresentativo, Paolo Rossi, quello incaricato di interpretare il ruolo che ha il sassofonista in un complesso jazz, è appena rientrato in gioco in condizioni fisiche e psicologiche non ottimali,  dopo una squalifica che per due anni lo ha tenuto lontano dai campi di calcio.
Nessuno crede, neppure la stessa squadra lo fa, di arrivare in Spagna con lo scopo di vincere il campionato del mondo: l’obiettivo dichiarato è passare il primo turno e di ben figurare nel secondo, per assistere poi tranquillamente, con la consapevolezza e la serenità di chi ha fatto il proprio dovere, al trionfo della squadra che a detta di tutti, tifosi, tecnici e stampa specializzata è predestinata all’apoteosi: il grande Brasile di Zico, Falcao, Socrates, Junior, ecc. ecc.
Una volta arrivati a Pontevedra in Galizia, la regione spagnola dove si disputeranno le 3 partite della prima fase, gli italiani scoprono che il raggiungimento del loro obiettivo atteso, quello normale, si è trasformato in un impresa quasi impossibile: il ritiro in un vecchio e austero parador sembra assumere le fattezze di una detenzione coatta in un luogo dimenticato dal mondo, il clima autunnale e incessantemente piovoso rende il soggiorno galiziano così malinconico da apparire quasi una pena di origine dantesca e la stampa italiana non smette di indirizzare al tecnico e alla squadra critiche di un’asprezza tale da sconfinare spesso nella cattiveria, al limite della maldicenza.
Alla prova dei fatti poi, nelle prime tre partite, contro avversari non ritenuti irresistibili il gruppo  gioca in modo discontinuo, contratto, timoroso e strappa 3 pareggi che sono appena sufficienti a passare il turno per il “rotto della cuffia”; la squadra sembra quella normale vista e criticata negli ultimi 2 anni, nulla autorizza a farsi illusioni su quello che sarà il prossimo andamento del torneo.
Inoltre i due più criticati, il commissario tecnico Enzo Bearzot e Paolo Rossi, sembra nulla facciano per smentire la critica e persino la ragionevolezza: il secondo gioca sempre male, sembra avulso dalla squadra e impresentabile sotto il profilo atletico, mentre il primo respinge con decisione tutti gli inviti a cambiare il suo “pupillo” e continua a voler insistere su di lui contro tutto e tutti, con una determinazione quasi feroce, che per i più sfocia nell’insensatezza e nella cieca testardaggine.
Ma quando la squadra lascia la malinconica e uggiosa Galizia per giungere nel caldo quasi tropicale di Barcellona, dove l’attendono i Mostri Sacri argentini e brasiliani per il secondo turno, qualcosa succede; i giocatori si isolano, tagliano i ponti con l’esterno inventando il silenzio stampa rifiutandosi di concedere interviste, si compattano intorno al loro Mentore Enzo Bearzot e sconfiggono l’Argentina nella prima partita. Una scintilla si è accesa, anche se ancora pochi credono che quel gruppo possa fare qualcosa di diverso dal tornare a casa avendo fatto bella figura: c’è sempre davanti l’ostacolo insuperabile del Grande Brasile e Paolo Rossi è ancora quello visto in Galizia. E invece, 5 giorni dopo … contro i brasiliani l’Italia gioca la partita della Vita, batte 3-2 i predestinati alla vittoria finale e Paolo Rossi risorge dalle sue ceneri diventando il primo uomo a segnare 3 gol tutti in una volta ai fenomeni sudamericani.

La squadra e Paolo Rossi si sono trasformati, battono in crescendo e senza esitazioni gli ultimi avversari,  vincendo rispettivamente il campionato mondiale e il titolo di capocannoniere del torneo e riportando così in Italia, contro ogni pronostico, la coppa del Mondo dopo 44 anni.

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