Guten Tag Herrn Wallenstein! Wie geht es Ihnen?
Come sta?
Gut, Danke. Bene, grazie. Ora che abbiamo esaurito le
formalità, desidera la verità o si accontenta della cortesia?
Prego? Non capisco…
Diciamo pure che lei fa finta di non capire; la sua era
una domanda di cortesia, la mia risposta lo era altrettanto; non mi dirà però
che ha affrontato questo lungo e scomodo viaggio dall’Italia, per giungere sino
a questa landa desolata, a dieci chilometri dall’Oder e dal confine tedesco-polacco,
per accontentarsi della cortesia… non ci credo!
Franchezza per franchezza, non ero preparato a modi
così diretti, soprattutto da parte di chi è stato un ex agente della STASI.. mi
dica pure la verità allora!
La verità è che non va affatto bene e lei non può non
saperlo, proprio in ragione del fatto che sono un ex agente della STASI e che
sono morto da quasi 17 anni, pur godendo ancora di ottima salute.
L’idea di diventare un altro “scalpo” della sua rubrica
di fantasmi, poi, certo non mi aiuta a migliorare l’umore.
Non vorrà farmi credere che intende tirarsi indietro?
Che ha cambiato idea? Non mi dica che devo già fare a ritroso tutta questa
strada, senza aggiungere altro a quel poco che so sul suo conto… la prego!
Non si preoccupi, a differenza della classe dirigente del
suo popolo, noi tedeschi siamo abituati a mantenere la parola data, sino
all’estrema conseguenza… le ho promesso questa intervista e per quanto sia per
me molto dolorosa, non la farò ritornare nella terra, “wo die Zitronen
blühen”, senza raccontarle quanto
promesso! Nessun otto settembre in salsa brandeburghese…
Mi par di capire che lei sia un seguace della teoria
per cui la miglior difesa è comunque l’attacco, oppure si diverte nel farlo credere; in ogni caso mi
permetto di osservare che la classe dirigente del popolo tedesco, perseverando
su questa linea, ha sempre condotto alle
più grandi sciagure non solo la Germania, ma anche le nazioni vicine.
E’ vero, “Noi” saremo quelli di Caporetto e quelli del
“Tutti a casa”, ma in genere siamo stati le uniche vittime del “nostro”
masochismo e della nostra vanagloria..
Adesso sono io a rimanere sorpreso dalla sua reazione,
veramente insolita per un italiano… sentirsi colpito nell’orgoglio e reagire
adeguatamente…
Può darsi, ma non cadrò nel suo tranello! Lei sta
cercando di portarmi lontano dal motivo per cui sono venuto qui; la riporto
subito al “fronte”: prima ha citato Goethe per definire il mio paese e questo
mi dà lo spunto per iniziare la nostra intervista per davvero; è al corrente
che è stato stimato che la produzione cartacea dei dossier personali costruiti
dalla STASI sui cittadini della ex DDR è stata maggiore, in termini
quantitativi naturalmente, di tutte le opere letterarie in lingua tedesca da Guttemberg ad oggi?
Ne sono al corrente e, se permette, per me è ancora un
motivo di vanto; significa che abbiamo
lavorato sodo e svolto il compito che ci era stato assegnato con
assoluta dedizione.
Lei dimostra di non avere, non dico un pentimento, ma
neppure un tentennamento su quanto è accaduto nella Germania Orientale dal 1945
al 1989… Herr Wallenstein, ha fatto parte attiva di un Regime che ha trattato
ogni suo singolo cittadino come un carcerato, ed è riuscito nell’impresa,
probabilmente unica nella storia dell’umanità, di creare una prigione a cielo
aperto grande come tutto il paese.
Quanta retorica! Lei parla come un procuratore al
Processo di Norimberga… E’ proprio per questo che ho accettato di raccontarle
la mia storia personale, nella speranza che la sua diffusione possa evitare
tanti facili e superficiali giudizi su quello che è stata la Repubblica
Democratica Tedesca e sulla tragedia che ha costituito le fondamenta al Muro di
Berlino.
Fondamenta talmente robuste da sopravvivere
all’eliminazione fisica di quel manufatto…se posso aggiungere.
Esattamente.
Chi ha scavato quel solco allora?
Io sono nato nel dicembre del 1945 nel quartiere di
Pankow, alla periferia di quella che diventò poi Berlino Est… ma più
interessante è sapere il luogo e il tempo dove sono stato concepito: a est, ben
oltre l’Oder, in un piccolo paese di
quella che allora si chiamava Prussia Orientale, Ost-Preussen, nel marzo
del 1945.
Un luogo che oggi non esiste più: il suo nome ora è
polacco e polacca è la sua popolazione, da quando mia madre e tutti gli altri
abitanti di etnia tedesca fuggirono profughi verso ovest, sotto l’incedere
dell’Armata Rossa che puntava verso Berlino, iniziando a scavare quel solco di
cui stiamo parlando…
E suo padre?
Quello deputato ad esserlo o quello reale?
Lei mi confonde…
Svelo l’arcano... l’uomo che doveva diventare mio padre,
ovvero il marito di mia madre, l’ufficiale delle SS Erich Wallenstein, morì nel
dicembre 1944, dissoltosi nell’aria assieme agli uomini del suo plotone, a
causa dalla scoppio di una granata anticarro sovietica durante la difesa di
Königsberg, città natale di Immanuel Kant; un altro luogo scomparso, visto che
dal 1946, la città natale del massimo filosofo tedesco, si chiama Kaliningrad e
fa parte della Federazione Russa e anche qui, ovviamente, i discendenti dei
cavalieri teutonici, da allora sono svaniti... chi a ovest oltre l’Oder e chi
invece a Nord, nel Regno dei Cieli...
Una vicenda che presenta diverse analogie con
l’abbandono dell’Istria da parte della popolazione di etnia italiana, subito
dopo la fine della seconda guerra mondiale...
Dice? Sono sempre stato allergico ai numeri e agli
inventari delle vittime, però consideri che lo spostamento da est verso ovest
di popolazioni di lingua e cultura tedesca riguardò, per difetto, circa 10
milioni di persone, interessando intere regioni geografiche come la Prussia e
la Pomerania Orientale, l’Alta Slesia ed i Sudeti; se non sbaglio l’esodo
giuliano-dalmata riguardò per eccesso 350.000 civili provenienti da un’area che
non rappresenta neppure un terzo della sola Prussia orientale.
Se invece consideriamo i singoli drammi personali, allora
concordo pienamente con con lei, le vicende sono assolutamente analoghe, tutte
terminate, nel migliore dei casi, con la perdita senza rimedio di quella che in
lingua tedesca definiamo come “Heimat” e che voi italiani traducete malamente
con il termine “Patria”.
Io credo che esista un’altra analogia tra queste
tragedie, ovvero il loro oscuramento per lungo tempo, tanto che ancora oggi si
levano qua e là voci che contestano il diritto, da parte tedesca ed italiana,
di evocare queste sofferenze: perchè sono stati Hitler e Mussolini a dare il
via alle guerre di aggressione e perchè c’è stato il crimine immane
dell’Olocausto; almeno su questo concorda con me?
Si, condivido e trovo anche l’atteggiamento mentale che
lei ha citato, per quanto ancora diffuso, arrogante ed ingiusto; ripensare con
tristezza a coloro, e furono molti glielo assicuro, che morirono nell’inverno
del 1945 sulle strade gelate della Pomerania o che affandorono con le loro
barche tra i ghiacci del Mar Baltico o che ancora furono deportati in Siberia e
perirono per le condizioni inumane a cui furono sottoposti, non ha niente a che
vedere con il revisionismo, la relativizzazione o peggio ancora, con la
compensazione, è solo un atto di giustizia necessaria.
Pensi poi, che senza quella tragedia, io non sarei
neanche venuto al mondo...
Ho il sospetto che stiamo per fare la conoscenza con
il suo padre “reale”... Giusto?
Sbagliato, invece, perchè il mio padre “reale” non l’ho
mai conosciuto, nè sarei mai stato in grado di conoscerlo; mia madre morì per
un infezione virale quando io non avevo neppure compiuto tre anni e fui
allevato in un orfanotrofio del nuovo regime che si era instaurato nella “nuova”
Germania, ovvero nella DDR. In ogni caso, anche se mia madre fosse
sopravvissuta, credo che mai mi avrebbe detto qualcosa sulle mie origini.
Le confesso che la mia confusione aumenta... così come
il mio disagio, devo ammettere...
Io sono uno dei cosiddetti “figli” di Stalin... o meglio
nacqui “grazie” ad uno delle migliaia di stupri collettivi a cui gran parte dei
soldati dell’Armata Rossa sottoposero donne tedesche di ogni età, nell’inverno
e nella primavera del 1945, durante la loro avanzata verso Berlino, sui
territori dell’Europa Orientale. Sono
insomma un figlio di un’applicazione capillare della legge di Brenno: Vae Victis! E lo sa come ho potuto
raccogliere le notizie sul mio albero “geneaologico”?
Non mi dica grazie al suo lavoro...
Ed invece proprio così...fu solo grazie alla mia
appartenenza alla STASI che fui in grado di conoscere la storia di mia madre,
di chi sarebbe potuto diventare mio padre, ovvero il maggiore delle SS Erich
Wallestein e perfino immaginare con una certa approssimazione, il volto del mio
vero padre, visto che mia madre risultò essersi imbattuta il giorno in cui
venni ragionevolmente “concepito”nella metà del marzo nel 1945, in un reparto
di fanti d’assalto sovietici, probabilmente ubriachi, ed appartenenti ad un reggimento formato
quasi intermamente da ragazzi arruolati nelle steppe mongole. Come potrà
osservare i miei lineamenti, il mio taglio degli occhi ed i miei zigomi,
parlano meglio di qualsiasi Registro Anagrafico gestito dal piu’ scrupoloso
Ufficiale d’Anagrafe del Brandeburgo!
Credo sia giunto il momento di raccontarmi com’è
diventato un agente della STASI e quali furono suoi compiti...
Si, il momento è quello giusto, ora. Lei potrà immaginare
quale fosse il numero degli orfani nel dicembre del 1945 nella Germania
Orientale e che cosa rappresentavamo per il Regime: dei fogli bianchi da
riempire. Stalin, dopo aver rinunciato agli aiuti americani del piano Marshall
e letteralmente spogliato quello che rimaneva dell’apparato industriale
presente nella Germania Est mandando impianti e macchinari in Unione Sovietica,
pretese la “frattellanza” socialista dai tedeschi orientali che lui aveva
“liberato” dal fascismo. Così, quali fossero le storie e le tendenze personali,
gli abitanti della DDR dovettero passare dall’essere stati tutti, se non altro
retoricamente, nazisti all’essere indefferenziatamente tutti comunisti e
“fratelli” di quelli che erano stati i loro nemici.
Vuole dire che foste resi tutti “esenti” dal nazismo?
Una specie di amnistia di massa...
La cosa fu molto piu’ sottile! Ci fu imposto di credere
che i nazisti provenivano dall’Ovest, dall’altra Germania e che lì erano stati
ricacciati dalla madre Russia dopo la fine della guerra. La Storia fu in
breve rifatta ad uso e consumo della creazione dell’Uomo socialista, e
l’operazione ebbe un successo tale, che gli orientali non sentirono piu’, come
non lo sentono ora, di essere stati responsabili del regime di Hitler! Pensi
che a Dresda, su di un ponte sull’Elba, mi è capitato di vedere una targa in
cui si commemorava la liberazione dei tedeschi orientali dagli oppressori
nazisti a opera dei loro fratelli russi!
Una strordinaria manovra di innocenza collettiva! E
scommetto che lei si è trovato nel bel mezzo di questo gioco di prestigio...
Le ripeto, io dopo la guerra ero un bimbo orfano: conosce
forse un bersaglio migliore per l’indottrinamento ideologico? E
l’indottrinamento a cui fummo sottoposti durante il regime comunista nella DDR,
quanto a metodi ed efficacia, non aveva nulla da invidiare a quello a cui fu
sottoposto il marito di mia madre durante la sua adolescenza nella gioventu’
hitleriana!
Quando il muro fu innalzato nell’agosto del 1961, io
avevo 15 anni e la mia aspirazione piu’ grande era quella di poter contribuire
ad erigere quella difesa dalle aggressioni del mondo imperialista e capitalista
dell’Ovest. Insomma, ero un predestinato: cos’altro potevo diventare, se non un
agente della STASI? Entrai in servizio nel 1966, a 21 anni, dopo tre di
accademia militare, e fui assegnato alla sezione che aveva lo scopo di impedire
fughe e sconfinamenti; fino a quel fatale 9 novembre 1989, è stato il mio
compito, che ho svolto con il massimo dello zelo possibile. Quando il Muro è
caduto sono morto anch’io con lui.
Percepisco quasi un senso di nostalgia, di
rammarico... non mi dirà che anche lei è davvero fra quelli che continuano a
ripetere che nell’ex DDR, se mi permette l’espressione italiota, si stava
meglio quando si stava peggio?
Non è nostalgia... è pena! Vede, io ho passato tutti gli
anni piu’ significativi della mia vita in un’opera che ora è definita
criminale, ma che per 28 anni era considerata vitale per l’esistenza del paese
in cui io ero, mio malgrado, nato e cresciuto e che mi aveva dato un’istruzione
ed un destino.
Oggi ho capito che mi trovavo dalla parte sbagliata di
quel muro e adesso penso che avrei dovuto capirlo anche allora, che non ero un
difensore del mio popolo ma solo un efficiente secondino; ma quando questi
pensieri mi avvolgono, sento un dolore atroce e cerco di scacciarli, perchè
accettarli senza riserve vorrebbe dire ammettere a se stessi, il nulla della
propria vita. La pena piu’ grande però la provo quando vedo e sento i giovani,
che non hanno conosciuto la DDR ed i regimi che hanno intossicato la Germania,
brandire gli emblemi e ripetere gli slogan di quel passato.
Forse quella pena può essere superata con la sua
testimonianza vivente: non pensa di poter diventare in questo suo ultimo
scorcio di vita, parte di un altro muro, quello da erigere contro l’idiozia
serpeggiante di questi tempi?
Forse....
Vielen
dank, Herr Wallenstein und Viel Glück!
Nessun commento:
Posta un commento