giovedì 17 agosto 2017

TEMPO DI SALUTI ... ESTREMI

Risultati immagini per ROYAL ARMY YORK SUSANNAH YORK
C’è chi dice che gli eventi destinati a lasciare traccia nella nostra vita sono solitamente gravidi di segni premonitori e che il loro arrivo è annunciato da significative anomalie nell’ambiente che ci circonda. Nella mia vita il  “Messaggero degli Dei” è sempre stato il caldo umido ed il momento in cui ha scelto di fare i suoi annunci è la sera. Chi non ricorda in Friuli l’opprimente cappa di caldo umido che appesantiva l’aria la sera del 6 maggio 1976 e i segni di nervosismo manifestato dagli animali da stalla o da cortile nei minuti precedenti lo scatenarsi del sisma?  E che dire della mattina del 21 agosto 1968, quando dopo una notte insonne per l’incredibile umidità e l’alta temperatura, mi ritrovai a vagare nelle vie di Praga invasa da centinaia di tank sovietici spuntati all’improvviso per soffocare il “socialismo dal volto umano”? Non parliamo poi del 12 agosto 1961 a Berlino: altra notte insonne tormentata dalla calura e dai rumori che giungevano dalla strada di fronte, per poi constatare sporgendomi dalla finestra la mattina del 13, madido di sudore, che la strada era divisa da un alto reticolato sorto all’improvviso durante la notte, ad opera dei soldati della DDR. Avevo compiuto da poco 10 anni la sera dell’8 settembre del 1943, quando poco dopo le 19,30, la voce tremula del  Maresciallo Badoglio annunciò alla Radio l’armistizio con gli anglo-americani, rompendo il silenzio e la noia di una giornata interamente trascorsa in casa a cercare riparo dall’opprimente calura. Ero completamente stravolto, con la camicia incollata come una seconda pelle per l’eccessiva sudorazione, il tardo pomeriggio del 24 agosto 1954 nell’atrio della stazione centrale di Trieste nell’attimo in cui i miei occhi incrociarono per la prima e decisiva volta quelli di una bellissima ragazza inglese in divisa del Royal Army… solamente il mattino seguente, dopo una notte ancora più calda dell’afa in una camera di un piccolo albergo situato sulle rive, scoprii che il suo nome era Helen, che lavorava nell’Amministrazione del Governo Militare Alleato e che si trovava in stazione per tornare a casa, in Cornovaglia, visto che era prossima la fine dell’amministrazione alleata ed il ritorno della città all’Italia. Era “naturalmente” sera e faceva ancora un caldo bestiale il tardo pomeriggio del 08 agosto 1992 quando, rientrato a casa dopo una gita alle grotte di Postumia fatta con un vecchio amico alla ricerca di un po’ di refrigerio, trovai sul tavolo del soggiorno la lettera che avrebbe sconvolto per sempre la mia ormai prossima vecchiaia;  si trattava di un unico foglio  all’interno di una busta bianca non affrancata che semplicemente era indirizzata “A Bepi”. 

Caro e amato Bepi
se la vostra compagnia di bandiera per una volta rispetterà il timetable, quando leggerai queste righe io sarò già in Cornovaglia; scusami se non ho avuto il coraggio di anticiparti questa decisione prima di agire, spero davvero tu un giorno possa, se non comprendermi, almeno  perdonarmi.
Ho deciso di vivere gli anni che mi separano dalla dipartita da questo mondo , in solitudine, nella terra e nei luoghi che mi hanno visto fare la comparsa e muovere i primi passi; mi è divenuta insopportabile l’idea che tu mi veda invecchiare e di vederti invecchiare, di assistere al lento, inesorabile, progressivo spegnersi delle nostre vite.
Voglio mantenere intatto il vissuto del nostro stupendo amore, da quel giorno in cui i nostri occhi si incrociarono alla stazione di Trieste durante quegli anni tempestosi sino ad oggi, sino a questi anni forse troppo quieti.
Voglio che mi ricordi così e non più oltre, il giorno che anche tu lascerai questo mondo.
I nostri figli da tempo oramai conducono le loro vite senza il bisogno di due prossimi vecchietti da  visitare, o peggio da dover accudire, in adempimento ad un penoso “dovere” morale: non sopporto l’idea di rappresentare per nessuno, neanche per un minuto, una sorta di santuario da visitare durante le feste comandate ed in ogni caso non voglio lasciare loro questa eredità.
Fino a ieri avevo l’energia di quell’imprenditore, che pur affannato da mille problemi e con tanti debiti da pagare, lotta come un leone per il raggiungimento dei suoi  obiettivi e la realizzazione dei suoi progetti; oggi mi sento come quel capitalista che deve solo controllare l’incasso delle sue rendite presunte: è finita l’energia e mancano gli stimoli.
So che detesti l’economia e non arrabbiarti per l’uso di questa metafora.
Da quando ci siamo conosciuti ho imparato da te ad  amare persino l’Italia, così diversa dalla mia Inghilterra, ad ammirare le sue diversità, a provare simpatia per le sue genti che vivono ogni giorno come una grande recita in un  grande teatro a cielo aperto e a sorprendermi ogni giorno nell’assistere allo schizofrenico cambiamento di quei canovacci che spaziano dalla farsa alla tragedia senza soluzione di continuità e spesso, consapevolezza.
Forse sono anche stanca delle vostre recite, che tanto mi hanno affascinato in passato, e desidero un ritorno ai silenzi, al verde e al rumore del mare che s’infrange sulle alte scogliere della mia Cornovaglia: ero giunta a Trieste nel 1950, 42 anni fa, per contribuire all’Amministrazione Alleata della tua città e per impedire che “passaste” sotto Tito, come avevate tutti grande timore e permettere che la vostra democrazia, ai primi vagiti, potesse crescere e consolidarsi.
Ho compiuto la missione, che dici Bepi? E’ tempo che io rientri in Patria, non ti pare?
Sono certa, per come ho imparato a conoscerti, ad amarti e a capire il tuo grande amore per la libertà ed il rispetto delle scelte individuali altrui, che se anche non condividerai questa mia decisione, la rispetterai, così come accoglierai questa mia ultima richiesta, ovvero di non cercarmi oltre,  perché sai che ti porterò per sempre nel mio cuore.

Ti amo

Helen
   
Uscii sul terrazzo con quel foglio tra le mani e mi lasciai cadere su una delle poltrone da cui ero solito, ogni sera, perdere il mio sguardo all’orizzonte del golfo di Trieste cercando di veder annegare insieme al disco infuocato del sole, anche tutti i cattivi pensieri del giorno.
"E adesso? Devo cercarmi un bravo psicologo?” – fu la prima cosa che mi venne in mente, prima di iniziare a leggere e rileggere centinaia di volte la lettera di Helen, ben oltre l’inabissarsi del sole in fondo all’Adriatico. Leggevo, rileggevo e vedevo scorrere le immagini di tutta una vita, delle avventure di due “imprenditori” che pieni di debiti, ma ricchi di energia e progetti avevano superato anni “bui e tempestosi”  e che ora messa in sicurezza l’impresa in acque riparate, uno dei due aveva deciso unilateralmente e senz’appello che la rendita di quel capitale accumulato non era più di suo interesse.
Una cosa su tutte però mi faceva imbestialire: Helen aveva ragione.
Mi conosceva talmente bene da sapere che avrei rispettato la sua decisione, che non l’avrei cercata e che neppure avrei tentato di farle cambiare idea, sebbene invecchiare insieme per me non era un’idea insopportabile, ma costituiva il progetto ultimo della mia vita e non mi consideravo affatto come un capitalista teso alla percezione delle rendite derivanti dal patrimonio accumulato, bensì pensavo alla vecchiaia come ad un periodo di nuove emozioni, avendo la possibilità di concludere la mia parabola vivendo in pace tempi nuovi ed impensabili nella mia città, Trieste, dopo essere stato costretto a girare il mondo e l’Italia come giornalista della RAI.
Rispettai, come avevo sempre fatto, anche quell’ultimo colpo di testa di Helen: del resto mi ero innamorato di lei proprio per quella sua totale incapacità al compromesso e alla mediazione, di quel suo agire immediato e deciso, senza ripensamenti e senza curarsi delle conseguenze, quando era convinta di una propria idea e di un proprio sentimento.
Io invece, totalmente incapace a qualsiasi “colpo di testa”, sempre pronto a mediare, sempre teso a capire il punto di vista degli altri, specialista ad ingoiare anche i rospi più grandi pur di evitare “spargimenti di sangue”,  in lei avevo trovato tutto ciò che non ero e che forse avrei voluto essere.
Non era stato forse un micidiale “colpo di testa” decidere a 20 anni di rimanere a Trieste, un luogo tormentato che all’epoca non si sapeva bene neppure di chi fosse e alle dipendenze di chi fosse destinato, per amore di un coetaneo di cui a malapena capiva la lingua, squattrinato e ricco solo di progetti per un futuro incerto, invece di rientrare a casa sua, in Inghilterra, nazione vincitrice dell’ultima guerra mondiale? La decisione di lasciarsi alle spalle la sua vita ed i suoi affetti sulla soglia dei 60 anni per  ritornare in Cornovaglia, rientrava perfettamente nella sua logica.  
Accettai quella scelta fino in fondo: ancora oggi, in questo grigio inverno 2008, non so se la mia Helen ascolta i silenzi della sua Cornovaglia oppure quello del Regno dei Cieli: per me la cosa coincise da quella sera dell’8 agosto 1992.
Non molto tempo fa il più piccolo dei miei nipoti, mi ha chiesto se, quando morirò, anch’io andrò in Cornovaglia: gli ho risposto di si, perché non vedo l’ora di fare un dispetto alla nonna e scoprire com’è invecchiata.

(ESTRATTO DEL RACCONTO - LA RENDITA PRESUNTA - GIA' INSERITO NEL BLOG NEL MESE DI MARZO)

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