Negli anni '70 del novecento nella nota località friulana occupata dai 3000 militari di leva, per la gran parte dei ragazzini in età di frequenza della scuola elementare servire la Santa Messa domenicale era un obbligo che pareggiava quello scolastico.
Alla domenica mattina erano previste ben 5 funzioni nel solo Duomo: 8.30, 9.30, 10.30, 12.00 e 18.00, senza contare che nelle altre chiese parrocchiali nel solo centro cittadino (San Pietro ai Volti - Borgo San Pietro, San Valentino - Borgo San Domenico, San Martino - Borgo di Ponte, San Giovanni in Xenodochio - Borgo Duomo e San Biagio - Borgo Brossana) "andavano in onda" altrettante celebrazioni ad orari mattutini.
Non solo le chiese si riempivano di fedeli, ma il numero dei sacerdoti era tale da garantire un officiante diverso per ogni rito e un'adeguata coda di chierichetti ad assisterlo e tutti rigorosamente di sesso maschile.
Ne cito, a memoria, solo alcuni: il temuto Arciperte Don D'Agosto, Mons. Corrado Puppa economo capitolare e già Arciprete, Don Claudio Snidero incaricato per il Ricreatorio, Don Mesaglio per Borgo San Domenico, Don Pietro Moratto per Borgo San Pietro, Don Danilo Puntel per Borgo di Ponte più altri due ottuagenari Monsignori membri dell'Insigne Collegiata di Santa Maria Assunta, di cui ho sempre ignorato il nome.
Senza considerare che era ancora abitato dalle Madri Orsoline il Convento di Santa Maria in valle: insomma i 7.000 abitanti del centro storico avevano solo l'imbarazzo della scelta.
La messa delle 9,30 in Duomo era quella "principale" per la comunità, quindi la più affollata dalle famiglie al completo e celebrata dall'Arciprete, quella delle 10,30 officiata da Mons. Puppa era il rituale solenne accompagnata dall'organo, cantata dal coro, con molte parti in latino e frequentata dalle persone più anziane mentre quelle delle 12,00 e delle 18,30 erano affidate di prassi a Don Claudio e destinata ai "ritardatari".
I chierichetti venivano reclutati al catechismo e avevano una stanza a loro dedicata all'interno della Sagrestia del Duomo, dove negli armadi erano riposte in ordine il camice nero e la cotta bianca di ciascuno che periodicamente venivano portate a casa per il lavaggio a cura delle famiglie.
Esisteva una vera e propria gerarchia: i più anziani (ragazzi di quinta elementare) decidevano fra loro chi ne era "il capo" e i suoi sostituti, che avevano il compito di scegliere i ruoli da svolgere durante la messa e soprattutto a quale messa i più piccoli potevano servire.
Solo i più anziani erano ammessi infatti a partecipare alla Messa solenne delle 10,30 e a stabilire i ruoli per la Messa dello Spadone, il vero e proprio Mundial, a cui aspirava ogni chierichetto.
Perchè? Presto detto.
La Messa dello Spadone del 6 gennaio era l'unica che si celebrava sull'altare maggiore, riempiva il Duomo all'inverosimile con la presenza delle autorità civili e militari tra i fedeli e spesso del Vescovo come officiante e i chierichetti erano incaricati di portare l'Elmo piumato, lo Spadone del Patriarca Marquardo di Randeck e l'Evangelario che conteneva le liturgie medioevali, oltre che la croce e i candelieri che aprivano il corteo ed il turibilo dell'incenso e la "navicella" che conteneva i grani dell'essenza da utilizzarsi per le benedizioni della folla sottostante.
Tutti gli occhi dei presenti erano addosso e l'evento era tra i più sentiti da parte della comunità, esserne partecipi come protagonisti era fonte di orgoglio sicuro per dei ragazzini tra i 6 ed i 10 anni, anche perchè, ripeto, a quel ruolo si arrivava dopo una lunga gavetta, servendo le funzioni meno "nobili" di tante celebrazioni ordinarie.
Oltre che riuscire a farsi ben volere dai capi "anziani": una vera propria palestra di vita, insomma.
Ma occupiamoci ora della Messa solenne delle 10,30, perchè far parte della "squadra" di chierichetti che accompagnava quella celebrazione voleva dire giocare "in prima squadra": i posti erano limitati a 5 e 2 riservati sempre al Capo e al ViceCapo oppure, in loro assenza, da chi era stato scelto da questi due in via preliminare.
La verità è che non si trattava solo di "prestigio", c'erano delle motivazioni più laiche e prosaiche per rispettare quella stretta gerarchia sottoponendosi al rituale più lungo e soprattutto con lunghe, interminabili, parti cantate in latino.
La prima che riguardava i due posti ad appannaggio esclusivo del capo e del vicecapo, ovvero l'incarico di portare il turibolo dell'incenso e la navicella contenenti i granelli, compito che permetteva ai due chierichetti di ritirarsi per gran parte della funzione all'interno della sagrestia ed uscire nel duomo solamente nelle parti in cui era richiesto l'uso dello strumento.
Gli altri tre chierichetti, invece, incaricati di portare il crocefisso ed i candelieri, una volta riposti nei luoghi deputati gli oggetti all'inizio della funzione, per il resto dovevano rimanere seduti accanto ai prelati per tutto lo svolgimento della Messa, aiutando il celebrante solo al lavaggio delle mani durante una precisa fase del rituale eucaristico.
Era, però, il secondo motivo quello più importante: il celebrante della Messa solenne era Monsignor Puppa, colui che si occupava anche della gestione del Cinema Parrocchiale - il "Ducale" - in piazza Picco e premiava i chierichetti firmando alla fine della funzione un cartoncino che consentiva al portatore di entrare gratis alle proiezioni, ma solo a coloro che partecipavano alla funzione delle 10.30.
Si può intuire la portata clamorosa di tale privilegio: gli anziani più scaltri, quando non c'era un film di loro interesse, cedevano l'autorizzazione non nominativa ai più giovani, dietro pagamento del 50% dell'ordinario prezzo del biglietto oppure a mezzo di dazione di altre utilità (caramelle, gomme da masticare o qualche giornaletto).
Orbene, se il lettore sarà sin qui giunto superando la disamina ecclesiastica, gli regaliamo una perla che Giffoni e Remfutti seppero confezionare dopo aver maturato l'anzianità e compiuto tutto il cursus honorum necessario ad arrivare alle più alte cariche del gruppo chierichetti del Duomo di Santa Maria Assunta: da semplici figuranti nella chiesa del loro borgo sino all'incarico del turibolo e alla navicella della Messa dello Spadone e di quella solenne delle 10.30.
E dopo aver visto tutti i film proiettati al Cinema Ducale: da "Gli Aristogatti" a "I cannoni di navarone", passando per tutto il ciclo di Bud Spencer e Terence Hill e molto altro ancora.
Il loro tempo stava per scadere, l'onorato servizio in camice e cotta oramai incominciava a stare stretto in ragione dell'età e dei nuovi interessi meno ecclesiastici e così i momenti da passare soli all'interno della sagrestia mentre all'esterno si svolgeva la Santa Messa, sempre più lunghi e noiosi, misero in moto la curiosità ed il gusto di violare le regole di quel luogo santo: tipo inondare d'incenso il locale triplicando le dosi, oppure curiosare in ogni angolo fino alla scoperta dei cassetti in cui venivano conservate le particole ancora da consacrare.
Ma quella domenica mattina non fu sufficiente: Remfutti, che prima di arrivare in Duomo aveva comperato una scatola di petardi in cartoleria, volle fare un test chimico per cui, osservando l'interno del turibolo dell'incenso dove ci stavano carbonelle incandescenti chiese a Giffoni: "Ma secondo te, se ci metto un petardo, la miccia prende fuoco?". Giffoni lo guardò tra l'incredulo ed il divertito: "Ma è ovvio che succeda". Remfutti non era per niente convinto e così, nonostante il tentativo di Giffoni - blando per la verità - di farlo desistere, lanciò all'interno del turibolo un paio di petardi.
In un attimo le micce iniziarono la combustione e così, Remfutti, preso dal panico reagì d'istinto facendo l'unica cosa da non fare: soffiare sulle micce, nel tentativo, inutile e dannoso, di spegnerne la combustione ma con il risultato di accorciare i tempi di reazione e di contatto tra le scintille e la polvere pirica.
Fu un botto clamoroso che rimbombò ancora più forte grazie alla eco provocato dal soffitto della sagrestia e tutto il contenuto del turibolo si sparse al fuori di questo e, naturalmente, il botto venne percepito forte e chiaro anche all'interno del Duomo, mentre Monsignor Puppa blandiva i fedeli durante l'Omelia.
Don Mesaglio si precipitò subito in sagrestia e trovò, oltre alla stanza inondata dal fumo ed il profumo dell'incenso che mascherava quello del petardo, Giffoni e Remfutti intenti a far sparire i resti delle carbonelle uscite dal braciere del Turibolo e chiese subito. "Ma cos'è successo? Cosa state facendo?".
Giffoni restò muto, incapace di abbozzare una qualsiasi risposta mentre Remfutti, con un'espressione simile a quella del Gatto degli stivali della saga di Shreck, con aria innocente e preoccupata replicò: "E' scoppiata una carbonella nel turibolo, dev'essere stata difettosa".
Don Mesaglio rimase in silenzio, poi con aria di rimprovero sentenziò:"Vi ho detto mille volte che voi due ne mettete troppe, esagerate anche con l'incenso e passate troppo tempo in Sagrestia. Mettete a posto il turibolo e poi venite subito fuori a seguire la Messa."
Giffoni e Remfutti eseguirono l'ordine con diligenza e si resero conto che la loro carriera ecclesiastica era finita: terminata la celebrazione appesero cotta e camice al chiodo.
Anche perchè, con sincronismo quasi sovrannaturale, era giunta la notizia che di lì a poco il Cinema Ducale avrebbe chiuso i battenti.


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