giovedì 16 ottobre 2025

L'ULTIMA SBERLA


Sono nato a metà degli anni ’60 in Friuli e come gran parte dei miei coetanei, l’infanzia e la prima adolescenza si sono svolte assieme ad un compagno di viaggio molto presente quanto indesiderato: la sberla. In famiglia, all’asilo e alla scuola elementare erano “espedienti” considerati assolutamente “politically correct”  per l’educazione dei giovani virgulti.

Questa compagnia, almeno in famiglia, è stata indiscussa almeno fino ai primi anni 90, mentre nelle istituzioni scolastiche, dopo la rivoluzione studentesca e giovanile del ’68, la pratica si era ridotta drasticamente fino a scomparire in  pratica del tutto già  a metà degli anni ’70.

Ogni volta che si contravveniva ad una richiesta (ordine) dei genitori o dei maestri o si combinava qualche “disastro” che poteva mettere in cattiva luce il buon nome della famiglia o dell'istituzione nel suo contesto di riferimento – la sberla era inevitabile come la caduta delle foglie in autunno.

Naturalmente forza e localizzazione della sberla – sedere o volto – variava a seconda dell’importanza dell’infrazione in base alla diversa scala valoriale vigente nella famiglia di appartenenza.

Che questa pratica, appannaggio esclusivo dei padri fosse da rivedere, attesi i risultati comunque insoddisfacenti in termini di rispetto delle regole, dev’essere iniziato a serpeggiare ad un certo punto anche tra gli stessi papà, considerato che mio fratello, nato invece all’inizio degli anni ’70 si prese un decimo degli schiaffoni che miravano a fare di me una persona adulta ed educata, raddrizzando i comportamenti ritenuti disfunzionali per la morale del tempo.

E non perché lui  fosse più ligio alle regole o rispettoso dei divieti  rispetto a me.

Quando la mia generazione a sua  volta si è trovata a ricoprire il difficile ruolo di genitore, probabilmente memore di quanto male ci hanno fatto quelle grandinate di sberle inflitte dal nostro Pater Familias  - oggi termine divenuto politicamente scorretto e sostituito dal più benevolo anglicismo Care Giver   - le abbiamo bandite del tutto e spinte sul bordo del Codice penale.

Sia chiaro, la finalità di questo scritto non vuole essere un Ode nostalgica al tempo della Sberla che, a posteriori, ritengo mi abbiano recato più danni che benefici ma fare solo la fotografia di un’epoca  e confrontarla, lasciando un ricordo personale a chi è interessato a guardare sotto la superficie del presente.  

Quei ceffoni non facevano male fisico, quello se ne andava in fretta: erano vere e proprie ferite dell’Anima che facevano fatica a guarire perchè inferte da chi invece ti aspettavi riconoscimento e qualche carezza.

Detto questo non mi sento una vittima, e non ho mai smesso di voler bene a mio Padre perché con il tempo ho capito che ciò che oggi sconfinerebbe nel codice penale e sarebbe di sicuro socialmente inaccettabile, per lui non solo era un normale stile educativo, ma per di più quello che riteneva il migliore e più efficace per me.

Ciascuno è figlio del suo tempo.

Nel mio, da genitore, memore di quante ne abbia prese e del male che mi hanno fatto tutte quelle sberle, non sono mai riuscito ad alzare le mani od alzare la voce nei confronti di mio figlio e invece ho sempre cercato di praticare l’arma della persuasione.

Oggi mi domando se lui, al contrario, da me si aspettasse qualche sberla e oggi mi biasima per non averlo fatto.

Come mio padre – e come tutti i padri prima e dopo di lui -  se ho sbagliato, l’ho fatto pensando di fare del bene. Un “classico” insomma.

Alla fine, rileggendo un adagio secondo cui “l’estrema risposta ad una stronzata è anch’essa una stronzata” mi sono detto che i genitori di ogni epoca sono attesi dallo stesso destino: possono cambiare i metodi, restano errori ed inadeguatezze per ciò di cui invece hanno bisogno i figli, che nascono e crescono in un altro tempo.

Chiudo svelando il perché del titolo, per dimostrare quanto mio padre fosse convinto dell’utilità delle Sberle.

L’ultima me la tirò in pieno volto una sera di agosto dell’anno domini 1984, quando avevo già compiuto 18 anni da qualche mese: appena varcata la soglia di casa, puntuale per la cena, tutto contento, lui senza dire nulla, mi sferrò il ceffone prima ancora che potessi dirgli “ciao”.

Perché?

Perché suo papà – mio nonno – gli aveva riferito, accusandolo di non essere stato in grado di “crescere bene” un figlio, di avermi visto andare a fare la comunione in duomo indossando una canottiera gialla.

Era tutto vero, canottiera acquistata nello stesso pomeriggio in cui avevo concluso un mese da operaio in una verniciatura del manzanese – lavoro estivo “in nero” dopo la promozione scolastica con ottimi voti, utilizzando il guadagno di quell’occupazione che si svolgeva ben prima della vigenza della normativa sulla sicurezza sul lavoro.

Confesso che la vera vertigine è accorgersi che la propria infanzia e la propria giovinezza, rilette alla luce delle leggi odierne, si sarebbero svolte — in famiglia, al lavoro e nel tempo libero — tra infrazioni assortite del codice penale.

E pure aggravate e continuate.

Nessun commento:

Posta un commento

Post in evidenza

NOTTI MAGICHE ANTE LITTERAM

25 giugno 1983 – Arrivo al campo mezz’ora prima del fischio d’inizio, di corsa dopo essere riuscito a fuggire da una riunione familiare ...