giovedì 4 novembre 2021

MORIRE A CAPRI


Con gli occhi che ancora bruciavano come due torce per un lungo ed ininterrotto pianto solitario, Rubén fissava dal punto panoramico di Villa Jovis il braccio di mare davanti a sé e che divide Capri da punta della Campanella, il punto più estremo che separa la penisola sorrentina dal golfo di Salerno e segna l'inizio di una costiera tra le più spettacolari che si possano percorrere sull'intero pianeta, allungandosi per meno di 40 chilometri da Positano e passando per Amalfi, giunge sino a Vietri sul Mare, comprendendo tra le altre località parimenti affascinanti come Praiano, Furore, Conca dei Marini, Atrani e Ravello. 
Un luogo di una bellezza naturale capace di togliere il fiato e divenuto un "must" per il jet set internazionale dopo il 1945, tanto da essersi meritato l'appellativo di "divina costiera", dove il "divino" non si capisce se derivi dall'opera creativa degli Dei che l'hanno forgiata tra scogliere a strapiombo, macchia mediterranea lussureggiante e mare smeraldo, oppure dall'essere abitualmente frequentata da donne e uomini tra i più potenti, belli, ricchi e famosi che ci siano sulla Terra, tutti più o meno soliti pensare di poter vivere nell'impunità, ritenendosi più vicini agli Dei che al resto degli umani. 
Un po' come si era sentito Rubén stesso, quando qualche giorno prima l'aveva percorsa in lungo e in largo in compagnia di Jasmine, via terra e via mare, dopo aver trascorso un intero pomeriggio proprio raggiungendo a piedi la torre di punta della Campanella, nei pressi della quale i due si erano fermati a lungo ad osservare l'avamposto occidentale di Capri, i celeberrimi faraglioni e quei cinque chilometri di mar Tirreno che separano i due estremi, distanza che un abile nuotatore ben allenato può colmare senza rischi eccessivi. O così almeno a detta del pescatore che una sera aveva portato i due ad osservare un chiaro di luna a largo dell'isola, cosa che Rubén, uomo legato alla terra e con scarsa familiarità ai flutti marini, si era disinteressato dall'approfondire. 
Quel pomeriggio si era davvero sentito anche lui il Re del Mondo, in quel luogo che pareva irradiare un'energia misteriosa, tanta era la bellezza che inondava la vista e recava allo stomaco la sensazione del vuoto che viene riempito da ondate che a loro volta creavano una sensazione di estremo benessere ed euforia. Il profumo del mare e della vegetazione che si mescolavano insieme trasportati da una gentile brezza e il sapore dei baci di Jasmine, unito al contatto della sua pelle liscia come la seta e il tutto sotto ad un cielo che più blu non si può ed un sole che riempiva ogni spazio di luce bianca, capace di creare mille riflessi d'argento sulle onde di un mare solo lievemente mosso, in quell'attimo facevano dubitare Rubén che mai Adamo ed Eva fossero stati cacciati dal Paradiso Terrestre.
 A pochi giorni di distanza, scosso dalla testa ai piedi, il pittore spagnolo era invece dall'altra parte dello stretto, a Villa Jovis, e punta della Campanella, ben visibile allo sguardo e a soli 5 chilometri, sembrava in realtà lontana quanto la Nuova Zelanda; il suo animo non era più in grado di abbracciare l'orizzonte com'era capitato sull'altra sponda ma sembrava essere stato inghiottito dal baratro che si apriva sotto ai suoi piedi: quel momento della sua vita ben si rispecchiava nella villa di Tiberio alla sua sinistra, ora in rovina dopo essere stata uno splendido palazzo imperiale in età antica; ma se il palazzo aveva impiegato più di qualche secolo per diventare un rudere, il suo Paradiso Terrestre era invece svanito nel giro di qualche ora, precisamente da quando quella mattina aveva aperto gli occhi nella sua stanza dell'albergo "la Scalinatella" e accanto a sé, dopo l'ennesima notte d'amore, non aveva trovato Jasmine ma un foglio di carta da lettere dell'Hotel riempito con un unica riga d'inchiostro nero. Nero come la pece. "Addio Rubén. 
Sei un uomo meraviglioso, ma la mia vita è altrove e tu non sei e non potrai mai essere l'Altrove. Jasmine". 
La forza distruttiva del Vesuvio che nel 79 d.c. aveva raso al suolo Pompei ed Ercolano nulla fu in confronto alla bomba emotiva che fece tremare da capo a piedi Rubén in quell'attimo. Le lenzuola, il cuscino, la stanza erano ancora invasi dal profumo della donna che da diversi mesi era entrata con la forza di un uragano nella sua vita, coprendo con la sua presenza non solo ogni spazio intorno allo spagnolo ma anche occupando ogni pensiero nella sua mente e tutta l'energia che scorreva nei suoi nervi e nei suoi muscoli. 
Ma a parte quell'eterea presenza, l'unico oggetto attribuibile a Jasmine nella stanza era quella tremenda carta da lettera, null'altro: niente vestiti, niente valige, neppure un fazzoletto, nulla di nulla. Rubèn, senza neppure accorgersi si era già rivestito alla meno peggio e aveva già raggiunto la hall dove il concierge gli aveva confermato di aver incrociato la "più bella donna che lui avesse mai visto a Capri" mentre usciva qualche ora prima trascinando di fretta un set di valige Vuitton. 
Animato dalla disperazione più nera iniziò una folle corsa attraverso le viuzze di quell'angolo di Paradiso che ora gli parevano più tetre dei gironi infernali, passò la piazzetta, prese la funicolare e scese come un ossesso verso le banchine di Marina Grande dove poté solo scorgere in lontananza uno dei traghetti che probabilmente facevano rotta verso Napoli. 
E adesso che era lì immobile, come una statua, e che l'energia impiegata in quella folle corsa non annullava più i suoi pensieri, iniziò a sentire un incendio pauroso che gli dilaniava lo stomaco e un'onda d'urto pari a quella di uno tsunami oceanico salire alla gola e prorompere verso gli occhi. I pensieri erano tremendi e così Rubén, per annullarli e per cercare di togliersi di dosso quella tempesta sensoriale, ricominciò a correre a perdifiato, ma stavolta a ritroso: prese la funicolare, attraversò la piazzetta e s'infilò a sinistra, alla ricerca di via Tiberio che poi percorse fino allo sfinimento, urtando a destra e sinistra e facendo imprecare i turisti che anch'essi salivano verso villa Jovis. 
Alla fine era giunto al punto panoramico e distrutto da quella folle corsa tutta in salita, stramazzò su di una panchina e iniziò a trasformare tutti i liquidi corporei in lacrime, crollando disidratato tra singhiozzi e spasmi, in un sonno simile alla morte. 
Quando si risvegliò non era neppure in grado di capire quante ore avesse dormito, ma intese che dovevano essere state parecchie perché il sole era ben lontano dal punto in cui l'aveva lasciato e aveva perso molto della sua forza e intorno a sè la luce non era più bianca e accecante, ma tendeva al giallo ed era molto più docile. 
L'onda d'urto lo aveva steso, ma quello stato di morte apparente gli aveva pulito la mente: da villa Jovis ora vedeva il mondo alla rovescia rispetto a come l'aveva osservato da punta della Campanella e comprese che la Verità stava tra le rovine della dimora tiberina, nella parte del mondo a rovescio. In fondo già da tanto tempo il suo Cuore sapeva bene che lo tsunami emotivo che l'aveva appena  devastato un giorno di sicuro sarebbe  giunto mentre quello che non poteva prevedere era solo il modo, la data e l'ora in cui si sarebbe scatenato e lui, contro quel "sapere", con la mente non aveva fatto altro che creare una barriera di auto-inganni se non per scongiurare il pericolo, almeno per allontanarlo temporalmente il più possibile. 
Il Cuore aveva capito benissimo che lui, per Jasmine, non sarebbe mai stato l'Altrove che lei vagheggiava morbosamente, in modo palese, senza inganni e che tutti i gli sforzi per raggiungere quell'Altrove mai gli sarebbero stati sufficienti e anzi non facevano altro che, paradossalmente, allontanarlo sempre di più dai desideri della donna. 
Più si era affaticato e più si era allontanato, non solo da Jasmine, ma soprattutto e, cosa ben più grave, da sé stesso, quel sé stesso che ora disperatamente cercava di scorgere all'Orizzonte ma che non riusciva minimamente ad intravedere, perché punta della Campanella davanti a lui non faceva altro che rimandargli le immagini di un mondo che non c'era più e quella di un uomo che si era aggrappato ad un'allucinazione che aveva contribuito a costruire, oscurando la realtà e spostando il focus sui desideri. Storia vecchia. 
Con le poche forze rimaste Rubén lasciò il punto panoramico e, aggirandosi tra le rovine del palazzo di Tiberio, salì sul punto più alto del promontorio e volse la vista dall'altra parte, superando velocemente con lo sguardo Napoli, la sagoma del Vesuvio e le isole di Procida ed Ischia per fissare invece il mare aperto, che iniziava a tingersi di rosso in vista dell'imminente tramonto che stava per aver luogo sull'altro lato dell'isola, quello nascosto dalla sommità di Anacapri.
Un sorprendente senso di pace lo avvolse all'improvviso e il pensiero che iniziò a farsi strada dentro di sé raccontava che quel Rubén di punta Campanella era morto, come quel Sole che in maniera "sanguinolenta" era sparito da qualche parte dietro al faro di punta Carena. La morte era stata violenta ma ora lui si era guadagnato l'opportunità di scoprire, forse per la prima volta e per intero, quell'uomo pieno di talenti e meritevole di rispetto che lui stesso aveva invece umiliato e abbandonato da tanti, troppi anni da qualche parte del suo Altrove al largo di quel mare che davanti ai suoi occhi si perdeva senza fine all'Orizzonte. E quell'uomo che Rubèn aveva maltrattato e gettato in mezzo al mare e che ora desiderava ardentemente abbracciare, amare, proteggere e averne cura, non si trovava più disperso tra quei flutti ma era sbarcato da qualche parte dentro di Sé.
Adesso si trattava di ritornare alla "Scalinatella", riposare un po', fare i bagagli, pagare i conti, imbarcarsi per la terraferma e iniziare il viaggio verso casa dove, ricaricate senza fretta le pile, tutta quell'energia impiegata per restare così a lungo aggrappato ad un'allucinazione che lo faceva correre controvento verso un Altrove che non era il suo, andava riconvertita per la ricerca di quell'uomo che lo aspettava da una vita e una volta trovato, finalmente abbracciarlo, dopo aver per sempre perdonato Rubén.  
La strada si preannunciava lunga e penosa quanto era grande il premio ad attenderlo alla fine del cimento.
         

 

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