giovedì 29 giugno 2023

ULTIMO SECONDO A BOSTON

 

“Gli imprevisti e i dettagli sono ciò che fa la differenza nel romanzo di ciascuno” – così Rubén aveva detto, alzando sconsolato le spalle, alla banconiera di uno dei tanti bar dell’aeroporto Generale Logan di Boston quando la giovane ragazza dai capelli rossi si era scusata per non poter dare al pittore spagnolo una bustina supplementare di sale, motivando la circostanza con l’inattesa mancata consegna quotidiana da parte del fornitore. La ragazza era rimasta “di sale” e aveva poi rivolto uno sguardo incuriosito verso la sagoma di quel bizzarro signore che ritornava al tavolo per consumare quell’insalata evidentemente ritenuta insipida, nonostante fosse stata a regola d’arte accompagnata al momento dell’ordinazione dall’ultima bustina di sale rimasta.

“Ma che cazzo avrà voluto dire questo? Certo che qui ne passa di gente strana ogni giorno, oggi era il turno del filosofo del sale” – aveva in fretta concluso la banconiera, richiamata subito alle mansioni abituali dai numerosi passeggeri che si accalcavano poco pazienti verso la cassa.    

Per Rubén, invece, quell’insalata insipida non era altro che l’ulteriore prova di quello che aveva affermato con malcelato fastidio alla stupefatta ragazza tutta lentiggini e dai capelli rossi, tornando con la mente a quanto aveva assistito la sera prima al “The Garden”, quando dopo molta riluttanza aveva accettato l’invito dell’avvocato Weinberg ad assistere con lui la finale del campionato NBA tra i padroni di casa, i celeberrimi Boston Celtics e i sorprendenti avversari che arrivavano dal Pacifico, i quasi messicani di San Diego: i Los Angeles Clippers.

L’avvocato, suo fidato patrocinatore nella causa in corso contro l’amministrazione del Boston Museum of Fine Arts per il rifiuto opposto a pagare il danneggiamento del suo ultimo quadro, prestato due anni prima per una mostra collettiva di pittori contemporanei spagnoli, lo aveva pressato all’inverosimile per partecipare a quello che asseriva essere l’evento sportivo più importante nella storia recente del basket americano.

Così Rubén, da calciofilo impenitente che poco o nulla conosceva di quello sport che gli era sempre apparso noioso, dalle tante regole cervellotiche e complicate, si era sorbito una vera e propria requisitoria da parte del legale a difesa del “suo” sport del cuore, nella quale gli aveva spiegato che quella era “gara 7”, quella decisiva, che contro ogni previsione avrebbe assegnato il titolo della massima competizione mondiale.

Rincarando poi la dose spiegando che a contenderlo agli strafavoriti e celebri Celtics, la sua squadra del cuore, era il Team meno considerato di tutta la storia dell’NBA, i Clippers, abitualmente sparring partner dei più titolati Lakers e delle altre società a stelle e strisce e mai giunti neanche alla finale della loro conference in tutta la loro storia.

Inizialmente il pittore spagnolo aveva resistito con tutte le sue forze, perché si riteneva già abbondantemente soddisfatto di quanto la città americana gli aveva offerto nel pomeriggio durante la sua visita alla downtown, ed in particolare seguendo il famoso Freedom Trail, il percorso pedonale segnato da mattoncini rossi che si snoda tra il Boston Common, il parco pubblico più antico di tutti gli USA e autentico polmone verde di Boston, per terminare il Quartiere di Cherlestown, passando per gli edifici tra i più significativi che videro la gestazione della rivoluzione americana tra cui l’Old State House.

In particolare proprio l’interno di questo edificio aveva messo in moto un vero e proprio turbine emotivo, quando aveva appreso dall’amico che tra quelle mura era stato progettato il Boston Tea Party e avevano preso forma i concetti e i fondamenti della dichiarazione d’indipendenza, poi sottoscritta a Philadelphia nella Independence Hall il 4 luglio 1776.

Turbine che si era poi addirittura trasformato in tempesta, quando all’esterno notò come l’Old State House – piccolo e grazioso edificio perfettamente conservato da quei lontani eventi del XVIII secolo - fosse completamente soffocato dalla giungla di grattacieli giganti che lo facevano apparire come un microbo, un bizzarro intruso portato lì da chissà quale altra parte del mondo, che poco o nulla aveva a che vedere con la città di Boston.

“Eh già, proprio come i principi pensati dai massoni, dagli illuministi e dai patrioti che stesero quel documento, nel tempo assai stravolti e travisati dai posteri ma che, a dispetto di tutto, restano incancellabili sulla carta per indicarci validamente ogni giorno la via!”

 Con questo “insight” Rubèn riteneva di poter affrontare il lungo viaggio di ritorno in Europa ancor più soddisfatto di quanto l’avv. Weinberg gli avesse prospettato circa l’andamento positivo del contezioso legale e l’entità del risarcimento.

Invece alla fine, per non mortificare la grande cortesia e l’amicizia del suo ospite alla fine aveva deciso di godersi lo spettacolo di “Gara 7” al “The Garden” tra i favoriti Celtics e l’underdog Clippers, finendo naturalmente per farsi travolgere dal tifo nei confronti di questi ultimi in mezzo alla marea verde che faceva un tifo infernale a favore della squadra di casa.

E finendo travolto anche dalla bellezza di uno sport che, nonostante le regole continuassero ad essere per lui quasi un mistero ad ogni fischio arbitrale, gli regalarono una serata di pura adrenalina seguendo gli atleti in campo darsi battaglia dal primo all’ultimo secondo punto su punto, lottando su ogni palla vagante come fossa quella decisiva, in uno stillicidio di passione e partecipazione collettiva all’ennesima potenza.      

Alla fine la spuntarono i favoriti Celtics tra l’entusiasmo senza freni dei sostenitori di casa e la tremenda delusione di qualche centinaio di tifosi dei Clippers, muti ed in lacrime con le loro magliette bianche in mezzo ad una folla ondeggiante, vestita di verde e che pareva una brughiera scozzese battuta dal vento.  

Per Rubén, dapprima semplice e scettico osservatore neutrale divenuto via via acceso tifoso dei californiani, se quel gioco era governato dagli Dei come tutte le cose della Vita, gli Dei non avevano perso occasione per dimostrare ancora una volta di più di essere distratti o poco interessati ad assecondare la trama leggendaria che l’ultimo tiro dei Clippers, scoccato a qualche decimo di secondo dalla sirena conclusiva, stava per concretizzare portando il tabellone sull' 109-110.

 Invece la palla era stata respinta dal ferro per qualche centimetro di troppo nella parabola disegnata con la forza della speranza dal californiano, il segnapunti bloccato sul 109-107 e così quella storica serie rimase solo nominata all'Oscar senza vincerlo, perché grazie al canestro dei verdi centrato un secondo prima, a vincere il titolo era stata Boston, la grande favorita della vigilia e che di veramente epico dunque, nulla aveva fatto. “Nonostante i Clippers arrivassero dalla terra di Hollywood, le favole hanno lieto fine necessario solo al cinema mentre nella vita e nello sport le cose vanno diversamente” - aveva chiosato trionfante e madido di sudore l’avv. Weinberg, forse anche un po’ piccato perché il pittore spagnolo si fosse apertamente schierato per gli avversari. “Hai Ragione Matt, perché nella sceneggiatura di qualsiasi regista il tiro dei Clippers sarebbe entrato, altrimenti quel film al botteghino sicuramente avrebbe fatto fiasco; e non offenderti se la mia simpatia è andata a San Diego: diciamocelo pure senza imbarazzi, se tra Davide e Golia vince Golia, ad esultare e apprezzare possono essere solo i seguaci del gigante e non certo il grande pubblico”.

“Ma si, tieniti pure la tua filosofia Rubén, tanto abbiamo vinto noi e poi, a te domani, che ti frega?”.  Matt Weinberg aveva liquidato la questione posando la classica pietra tombale, prendendo sottobraccio il pittore spagnolo per accompagnarlo in mezzo a quel sabba dionisiaco che erano diventati i festeggiamenti.

Eppure il giorno dopo, attendendo l’aereo che lo doveva riportare in Europa, alla sua base insicura di Toledo, Calle Magdalena 23, quell’inspiegabile delusione per aver visto trionfare ancora una volta un Golia su di un Davide non voleva saperne di scivolare via e sfumava invece in un senso di aperto fastidio, considerando anche, come se non bastasse, come la Dea fortuna avesse voluto rincarare la dose penalizzando il meno dotato.

E il pensiero del potere che hanno nel modificare radicalmente le nostre vite i piccoli dettagli, i pochi centimetri, qualche secondo in più o in meno e come siano le situazioni inattese, quelle non previste nel mare dei miliardi di combinazioni che ogni giorno generano i nostri gesti e i nostri incontri quando si mescolano con quelli degli altri, a determinare il successo o il fallimento di tanti progetti esistenziali gli parve una vertigine.

Una vertigine spaventosa, considerando poi come ogni giorno il numero tendenzialmente illimitato di dettagli o accadimenti piccoli, involontari e tutti all'apparenza insignificanti aprano la strada a versioni profondamente diverse di una stessa vita.

Tante serate spese con Dolores a parlare sul tema del Destino gli sembrarono essere state sola un'inutile perdita di tempo.

“Non c’è nessun disegno, nessuna forza, nessuna mano invisibile: le cose semplicemente accadono e ciascuno di noi, piccola e minuscola zattera in mezzo all’oceano, ha il solo il dovere di assumersi la responsabilità di decidere come reagire e di dare il personale senso e la direzione desiderata alla navigazione. Altro che “Volere è potere” e tutte le connesse stronzate che derivano dal quel proclama tanto di moda e che riempiono pagine su pagine di testi "sacri" auto-motivazionali sulle bancarelle di tutte le librerie del mondo occidentale!”  

Quello fu l’ultimo pensiero, prima di cestinare gli avanzi dell’insalata insipida ed incamminarsi verso il gate d’imbarco. Rimaneva una cosa da fare; si diresse ancora una volta verso il banco del bar e sparò a bruciapelo la domanda alla ragazza tutta lentiggini e dai capelli rossi alla cassa: “Talento o fortuna?”

“Lo domandi a Woody Allen! Ma quale talento, ma quale fortuna! Non mi faccia perdere tempo Mister, non lo vede che sto lavorando?? La mia fortuna sarà il suo talento di lasciarmi in pace!!” Fu la risposta altrettanto immediata ed infastidita della banconiera che pensò ancora una volta “Ma ne gira di gente strana, e che cazzo!”

E a Rubén, udito il responso della recalcitrante Sibilla, non rimase che correre al gate per non perdere il volo, circostanza che ben poco avrebbe avuto a che fare con la sfortuna e molto più con il suo talento per le domande giuste alle persone improbabili nei momenti sbagliati.

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