mercoledì 18 settembre 2024

IN MEMORIA DI SALVATORE SCHILLACI, CON GRATITUDINE

Era l'anno dei mondiali, quelli del 1990. Quelli delle Notti Magiche, quelli che avremmo dovuto vincere e che, ex post, avremmo anche potuto e meritato vincere e che invece finirono con il trionfo della Germania, ancora solo dell'Ovest, in finale sull'Argentina dopo che Maradona ci "cojonò" ai rigori nella semifinale di Napoli, complici anche alcune scelte tecniche errate del CT Vicini, tra cui quella di rinunciare a Roberto Baggio nell'undici di partenza. L'esordio in quel mondiale fu per noi la sfida con l'Austria, che inaugurava il 9 giugno 1990 lo stadio Olimpico appositamente ammodernato per la rassegna iridata. Sorvoliamo per carità di patria su costi, tempi, modi e risultati di quella ristrutturazione ma ritorniamo per un attimo a quella serata, la vittoria numero uno di cinque consecutive senza subire reti prima dell'infausto trasloco degli azzurri al San Paolo di Napoli. Le famose, quanto effimere, Notti Magiche romane.

Personalmente uno dei ricordi più belli di gioventù. Avevo 24 anni appena compiuti e gli studi universitari prossimi alla conclusione, i mondiali di calcio in Italia, il muro di Berlino "caduto" esattamente 7 mesi prima e il mondo che si era messo in movimento con promesse e aspettative di libertà e prosperità economica come mai prima di allora.

La notte della vigilia della partita la passai con due amici sul treno "Romolus", l'Intercity che collegava Vienna a Roma, sul quale eravamo saliti alle 22,00 dell' 8 giugno dalla stazione di Udine e dal quale scendemmo alle 7,00 del mattino seguente a Roma Termini assieme alla "soldataglia" austriaca che aveva condiviso con noi, tra i fumi dell'alcol e canti smargiassi, gran parte del viaggio: fu come essere scesi assieme ai Lanzichenecchi in procinto di compiere il Sacco di Roma del 1527 o se, preferite, con Alarico e i suoi Visigoti nel 410 d.c.

Durante la mattinata in via dei Fori Imperiali fui vittima di un furto con destrezza ad opera di uno sciame di zingarelli guidati ad arte dalla madre o sedicente tale, che mi asportarono dalla tasca esterna della camicia il portafoglio contenente 154.000 lire (circa 200 euro correnti), la prenotazione dell'albergo e soprattutto i biglietti della partita, di cui vi risparmio i particolari della lunga e perigliosa operazione compiuta durante i mesi precedenti per riuscire a procurarmeli. Mancò veramente poco per perdere i sensi. Mi sentii morire, fino alla rinascita quando l'accoppiata composta da un vigile urbano e un netturbino che avevano visto tutta la scena dall'altro lato della strada intervennero prontamente e costrinsero gli zingarelli, tra il disappunto della madre, a restituire la refurtiva. Rieccheggiano ancora nella mente le parole in romanesco che mi rivolse il netturbino, terminata la missione di salvataggio: "Aò!! Vatte subbito a giocà quei sordi che je capita a uno sun mijardo che je torneno quello che je fregheno!".

La serata ripagò tutte le peripezie; già fuori dallo stadio l'aria era elettrizzante con migliaia di tifosi provenienti da ogni parte d'Italia con le bandiere tricolori e le maglie azzurre che sciamavano sorridenti facendo sentire voci, canti e gli accenti di tutti i dialetti della penisola.

All'interno il colpo d'occhio era mozzafiato: a parte la curva nord occupata dai colori biancorossi dei Lanzichenecchi austriaci, calati in più di 10.000 alla volta di Roma, tutto il resto era uno sventolio di bandiere tricolori e il boato "ITALIA-ITALIA" all'ingresso dei giocatori sul prato mi fa venire ancor oggi i brividi.

L'attesa del fischio d'inizio fu accompagnata prima dalla visione sul maxi-schermo dello stadio dagli ultimi scambi della finale femminile del Roland-Garros, dove la serba Monica Seles con una fantastica rimonta ebbe ragione della tedesca, dell'Ovest, Steffi Graf e poi dall'inno di Mameli cantato a squarciagola assieme ai 65.000 dell'Olimpico. Brividi.

La partita sembrava stregata, con gli azzurri che entusiasmavano con le loro brillanti e ariose trame di gioco, ben guidati dai tocchi "der Principe" Giannini, dalle serpentine di Roberto Donadoni e dagli scatti continui in profondità di Gianluca Vialli ma che poi si perdevano negli ultimi 16 metri e nella foga di sbloccare subito il risultato sbagliavano occasioni clamorose con lo stesso Vialli e soprattutto con il bomber del Napoli Andrea Carnevale.

La difesa guidata con sapienza da Kaiser Franz Baresi e dal capitano Beppe Bergomi, già campione del mondo a Madrid nel 1982, anticipava regolarmente l'ariete austriaco Tony Polster e non faceva correre pericoli al portierone Walter Zenga.

Ma i minuti passavano, il risultato non si sbloccava, gli azzurri diventavano sempre più nervosi e ad un quarto d'ora dalla fine il punteggio era ancora inchiodato sullo 0-0, con i Lanzichenecchi che prendevano sempre più coraggio nel farsi sentire per incitare i loro "beniamini" d'Oltrebrennero e il tifo azzurro che continuava incessante ma nel quale incominciava a serpeggiare un misto di rassegnazione e delusione.

E così Azeglio Vicini, forse non sapendo più cosa fare, ordinò al 75' a Salvatore Schillaci di alzarsi dalla panchina e rilevare Andrea Carnevale al centro dell'attacco. Il pubblico applaude, c'è curiosità e grande simpatia nei confronti di questo piccolo (di statura) ventiseienne siciliano nato  e cresciuto nel quartiere Zen di Palermo che ha esordito in serie A nella Juventus meno di un anno, dopo diversi campionati a Messina nelle serie inferiori e che al momento è alla sua terza apparizione in maglia azzurra.

Passarono appena tre minuti e Salvatore Schillaci divenne "Totò": scatto sulla destra di Vialli che appena un metro prima che la palla varchi la linea di fondo in prossimità della bandierina riesce a far spiovere in area un pallone qualche metro avanti al disco di rigore dell'area austriaca, dove perfettamente appostato in mezzo a due "granatieri" imperiali in maglia bianca, Schillaci in perfetta elevazione "inzucca" la sfera a la manda ad infilarsi sotto la traversa, vanificando il plastico tentativo di parata di Klaus Lindenberger.

L'Olimpico esplose come una polveriera e gli ultimi dodici minuti di gara furono un continuo, incessante, sventolio di tricolori e di cori, una manifestazione di giubilo incredibile che continuò poi per tutta la notte in una sorta di Sabba itinerante per le strade di Roma. Unforgettable.

Sempre alle 7,00 del mattino dopo, con gli occhi acrilici e i movimenti ovattati, salimmo di nuovo sul "Romolus" in direzione contraria e assieme ai Lanzichenecchi ritornammo a casa. I nostri compagni di viaggio avevano perso tutta la boria dell'andata e sonnolenti, bivaccavano maleodoranti distesi qua e là nei corridoi del treno e nei suoi scompartimenti. Chissà se un'immagine come questa aveva ispirato il generalissimo Diaz, quando nel vergare il bollettino della vittoria il 4 novembre 1918, fece scrivere riferendosi alle truppe austro-ungariche: "I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.".   

Alle 15,30 circa del 10 giugno 1990, noi scendemmo festanti ad Udine, mentre loro continuarono ancora per qualche ora il mesto rientro. 

Per gli amanti delle statistiche ecco il tabellino del match.

Roma, sabato 9 giugno 1990 ore 21.00

ITALIA-AUSTRIA 1-0
Schillaci (78')

Italia: Zenga, Bergomi, Maldini P., Baresi F., Ferri, Ancelotti (De Agostini 46), Donadoni, De Napoli, Vialli, Giannini, Carnevale (Schillaci 75).
Allenatore: Vicini
 
Austria: Lindenberger, Russ, Streiter, Aigner, Pecl, Schöttel, Artner (Zsak 62), Linzmaier (Hörtnagl 77), Ogris, Herzog, Polster.
Allenatore: Hickersberger

Arbitro: Wright (Brasile)

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