giovedì 27 marzo 2025

CRISTALLI E VITE ESEMPLARI VERSO SAN PIETROBURGO



Il treno scivolava silenzioso tra le pianure innevate. Dai finestrini, Mosca era ormai un ricordo lontano, e la notte russa, con le sue stelle fredde e distanti, avvolgeva ogni cosa. Andrej sedeva accanto al finestrino, il cappotto stretto addosso, mentre la carrozza ondeggiava dolcemente sul binario.

Davanti a lui, un uomo sulla cinquantina leggeva un libro di Dostoevskij con la fronte aggrottata. Indossava un vecchio cappotto ben curato, il segno di chi, pur senza grandi mezzi, aveva dignità. Forse era un insegnante o un uomo che aveva visto giorni migliori. Più in là, una giovane donna, con i capelli raccolti in una treccia spessa, scriveva su un taccuino consunto, mordicchiando il cappuccio della penna. Ogni tanto si fermava, sospirava, poi riprendeva. Che cosa stava annotando? Forse lettere che nessuno avrebbe letto o un romanzo che nessuno avrebbe mai pubblicato.

In un angolo, un uomo sulla sessantina fissava il vuoto con le mani giunte tra le ginocchia. Aveva il volto scavato, i capelli radi, lo sguardo stanco. Qualcuno che aveva combattuto una battaglia - forse più di una - ma che non era certo di averla vinta.

Andrej li osservava con la discrezione di chi ha sempre preferito essere spettatore piuttosto che protagonista. Aveva trascorso la vita a distinguere chi ce l’aveva fatta da chi aveva fallito. Ma cosa significava davvero “farcela”? Il lettore di Dostoevskij, la scrittrice silenziosa, l’uomo sconfitto: ognuno di loro portava con sé una storia unica. Forse non avevano raggiunto la grandezza, ma non per questo la loro vita era meno degna di essere vissuta.

Fu allora che notò il fenomeno sul finestrino. Il ghiaccio si stava formando in sottili venature, ramificandosi con una logica misteriosa. Alcuni cristalli si disponevano in disegni armoniosi, quasi floreali; altri invece si spezzavano, si interrompevano bruscamente, come percorsi incompleti. Avvicinò il dito e lo passò su una delle linee ghiacciate: la traccia si dissolse immediatamente, lasciando solo una chiazza di condensa.

Restò ad osservarlo, ipnotizzato. Ogni formazione di ghiaccio era unica: alcune sembravano solide, altre fragili; alcune raggiungevano la perfezione, altre si interrompevano senza una ragione apparente. Ma tutte esistevano, tutte facevano parte dello stesso fenomeno, della stessa vita effimera sul vetro.

E comprese. Gli uomini erano come quei cristalli: alcuni sembravano tracciati da una mano sicura, diretti verso il successo, altri si interrompevano inaspettatamente, senza completare il loro disegno. Ma nessuno di loro era privo di significato. Anche la più piccola delle linee, anche la più imperfetta, aveva avuto il suo posto per un istante, aveva inciso la propria esistenza sul vetro.

Il treno rallentò. Le prime luci di San Pietroburgo apparvero all’orizzonte, tremolanti come riflessi sull’acqua. Le guglie dorate si stagliavano contro il cielo ancora scuro, mentre i ponti sulla Neva emergevano nella foschia del mattino. La città, con la sua storia di grandezza e decadenza, gli parve il simbolo perfetto di ciò che aveva appena realizzato: un luogo di trionfi e rovine, di sogni realizzati e occasioni mancate, dove ogni esistenza aveva lasciato una traccia.

Quando il treno si fermò, Andrej scese con passo misurato. L’aria gelida gli punse il volto, il respiro si trasformò in nuvole bianche. Si fermò un attimo sulla banchina, lasciando che l’umidità della stazione, il brusio dei passeggeri, il fischio del controllore lo avvolgessero. Poi la vide.

Sua figlia era là,, avvolta in un cappotto scuro, con il viso appena arrossato dal freddo. Lo cercava tra la folla, finchè i loro sguardi si incrociarono. Un sorriso illuminò il suo volto e, senza esitazione, gli corse incontro.

Andrej la strinse forte a sé sentendo il calore della sua presenza. In quell’abbraccio si racchiudeva tutto. La vita non era una linea retta, non era un disegno perfetto. Era fatta di percorsi che si intrecciavano, di fallimenti e riscatti, di strade che si interrompevano e di altre che si aprivano.

“Sei arrivato” sussurrò lei.

Lui annuì. “Sì, sono arrivato”.

E, per la prima volta dopo tanto tempo, non si riferiva solo al viaggio.


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