venerdì 19 dicembre 2025

LA GUERRA DEI FOLKS

 

Nel centro della cittadina c’era una grande casa abbandonata con annesso parco recintato da un alto muro di cinta da cui si poteva accedere dalle abitazioni di Giffoni e Gambero attraverso una porta comunicante tra le diverse proprietà.

Per Giffoni, Gambero e la loro stabile “compagnia di giro” formata in estate da Remfutti, Leonardo, Romano, Fruzzo, Nobil Homo, Pizzicagnolo e altri di cui è “pietoso evitare anche il nome”, quel luogo era magico: magico come poteva esserlo per ragazzini della scuola media sempre insieme e alla ricerca di “fare esperienze” e divertirsi.

Nelle stanze abbandonate e pericolanti di quel casolare si svolsero, tra mille altre cose, cruente battaglie con cerbottane di materiale plastico e munizioni costituite da bacche rosse selvatiche e sessioni di “nascondino” in cui chi veniva designato alla ricerca dalla “conta” era destinato a vagare senza speranza di scorgere i compagni che potevano celarsi ovunque, data l’esistenza di infiniti nascondigli che offriva l’enorme costruzione.

La casa inoltre offriva gli spazi ideali per nascondere ciò che i genitori non avrebbero mai tollerato e la cui scoperta avrebbe decretato tremende punizioni, sulla falsariga dei supplizi che gli Dei pagani applicavano ai mortali quando si macchiavano di βρις: per spiegazioni domandare a Sisifo, Prometeo o agli sventurati compagni di Odisseo.

I nostri giovanissimi “eroi”, infatti, vi celavano i pacchetti di sigarette acquistati di nascosto e i materiali cartacei rigorosamente V.M. 18 che venivano “recuperati” durante le annuali raccolte della carta organizzate dalla Parrocchia; i pacchetti di sigarette di ciascuno trovavano comodo alloggio negli interstizi di alcuni mattoni forati e il materiale hot all’interno di una vecchia stufa abbandonata.

Insomma, un vero e proprio circolo ellenico, dove si condivideva il tabacco e la scoperta del proibito in lunghe sessioni collettive, tra il fumo delle sigarette, l’ambiente gotico, l’odore della polvere e tante tante risate; quel club per soli uomini chiuse i battenti quando un giorno, all’interno della stufa, si trovarono solo le ceneri del “prezioso”  materiale e molti iniziarono a lamentarsi che il numero delle sigarette all’interno del proprio pacchetto fosse misteriosamente diminuito.

E che dire del parco? Sempre i nostri “eroi” lo avevano trasformato nello stadio Monumental di Buenos Aires per rifare il Mundial 78 ed esserne loro i protagonisti, con tanto di coppa del mondo  realizzata da Gambero utilizzando un bicchiere, il Dash e una boccia di plastica; oppure ancora nello stadio Lenin di Mosca per disputarvi le olimpiadi tra di loro con tanto di set per il salto in alto.

Per non dire delle infinite partite a monopoli, a carte e persino a ping-pong, utilizzando un vecchio e pesante  tavolo in legno.

Un luogo magico, davvero, dove consumare l’inizio dell’adolescenza tra pari senza la presenza degli adulti.

Un bel giorno, però, spuntò una rete metallica e la porta comunicante fu sbarrata e nel giro di una settimana sorse un cantiere con tanto di impalcature, betoniere ed escavatori vari e, soprattutto, severamente “vietato ai non addetti ai lavori”.

Per Giffoni, Gambero e soci fu una mazzata, uno shock: sfrattati dal loro “paradiso” da un giorno all’altro, senza preavviso di sorta.

I nostri “eroi” naturalmente non vollero subire passivamente quella tragedia epocale che coincideva per molti di loro, guarda caso, con il passaggio alla scuola superiore e così decisero di porre in atto tutta una serie di azioni ardite che vendicassero la fine inopinata di quella spensierata fase della vita.

Azioni che consistevano nell’entrare di nascosto durante le pause di lavoro nel cantiere e rilasciare liquidi organici sul sedile dell’escavatore o  all’interno delle betoniere, preventivamente riempite di sassi provocando il feroce “disappunto” da parte delle maestranze al ritorno sul posto di lavoro.

Nonostante il disappunto si facesse sempre più aggressivo e minaccioso, Giffoni e soci non demordevano da quella che ritenevano di combattere per una causa giusta e meritevole, come i crociati guidati da Goffredo di Buglione e Riccardo Cuor di Leone nella lotta contra i Mori in Terra Santa.

Così, invece di rassegnarsi, venivano escogitate azioni sempre più ardite con l’effetto di alzare il livello della tensione con gli operai del cantiere, tra cui spiccava per pericolosità un anziano (ai loro occhi) operaio che avevano denominato “Rosso di Vino” per il volto perennemente arrossato, con i capillari che sembravano pronti ad esplodere da un momento all’altro.

Il climax di quella “Guerra Santa”  venne raggiunto quando in un’edicola locale vennero messi in vendita dei petardi che, sorretti da una piccola asta di legno, una volta che la miccia bruciando veniva a contatto con la polvere pirica, si trasformavano in una specie di razzetti che poi facevano il botto ad una ventina di metri di distanza.

Giffoni e soci accolsero la novità come lo stato maggiore della Luftwaffe alla scoperta delle V1 e delle V2 durante la fine della Seconda guerra mondiale: si fece subito incetta di quei petardi facendo fronte comune con le misere paghette settimanali di ciascuno e si procedette ad un acquisto collettivo di una cinquantina di Folks (così erano denominati dal produttore che li aveva messi in vendita).

A stretto giro dal rifornimento, il cantiere si trasformò nel Donbass sotto attacco missilistico russo: gli operai esasperati più dell’esercito ucraino reagirono lanciando la malta con le cazzuole all’indirizzo delle “rampe di lancio”, con l’intento di raggiungere i “commandos” una volta per tutte.

Il fuggi fuggi fu generale e tutta la “banda” si ritrovò dopo la fuga scoordinata nei pressi della caserma che ospitava un Battaglione di fanteria meccanizzata.

Condivisa tra lazzi e risa la bravata ma constatato che erano ancora diversi i razzetti inutilizzati nell’attacco interrotto al cantiere, il solito di cui è “pietoso non fare neppure il nome” propose di chiudere in bellezza il pomeriggio sparando oltre il muro della caserma le rimanenze.

Non tutti furono convinti della bontà dell’operazione ma si sa,  da che mondo è mondo, le ragioni di chi “la vuole fare fuori dal vaso” hanno sempre un fascino superiore alla voce della ragione e così si procedette al lancio, confidando nell’impunità garantita dall’aver occultato per bene il luogo del lancio.

Non passarono neanche 5 minuti dall’avvio dell’attacco proditorio: una macchina della Polizia di Stato comparve nei pressi degli “artificieri” e gli agenti, subito compreso che non si trattava di qualche banda armata ma solo di quattro ragazzini deficienti,  uscirono dal mezzo indirizzando ai ragazzi il più classico dei: “Ma che cazzo fate?”

Silenzio tombale.

“Questi li consegnate a noi”, proseguì l’anziano poliziotto, “e andate subito a casa senza favi più vedere e tu invece, che sei il più grande, mi dici come ti chiami e dove abiti”.

Giffoni non era il “più grande” ma solo il più alto e fu costretto a dare le generalità agli Agenti, che poi prelevata l’artiglieria e caricata in macchina, lasciarono i ragazzi al loro destino.

Giffoni non osava rientrare in casa quella sera, furono ore di angoscia tremenda, nella mente si accavallavano scenari apocalittici: suo padre avrebbe attuato sanzioni peggiori di quelle che molti anni dopo la UE avrebbe imposto alla Russia, non prima,  però, di averlo gonfiato di botte come un canotto.

Prese coraggio e allo scoccare dell’ultima ora possibile per rientrare in casa senza che scattassero le punizioni ed i rimproveri genitoriali, varcò la porta della cucina nel momento in cui la madre serviva la cena a tutti i familiari raccolti intorno al tavolo.

La reazione sorprese Giffoni.

Il padre gli rivolse solo un generico: “Non ti pare un po’ tardi per rientrare in casa? Dove sei stato fino adesso”.

Null’altro.

Giffoni rispose genericamente. Il padre, probabilmente stanco per gli impicci della sua giornata lavorativa, non andò oltre.

Evidentemente i poliziotti avevano compreso che si trattava solo di una sciocca bravata di ragazzini di paese mai visti prima, probabilmente pericolosi solo per sé stessi e che la comparsa della divisa e la minaccia di intervenire presso le famiglie poteva bastare per rimetterli in riga.

Temo che, qualche decina di anni più tardi, ben diverso sarebbe stata la reazione del mondo degli adulti ed il conseguente destino di Giffoni e soci. 



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