mercoledì 10 dicembre 2025

LA MACCHINA NERA

Correva l'anno del Signore... più o meno tutte le storie epiche iniziano così, e quindi neppure questa dovrebbe sottrarsi all'incipit canonico, ma qui oltre alla metà di settembre del corrente anno Domini 1987, c'era qualcosa che correva invece di rimanere ben chiusa in garage.

Settembre 1987 dunque, si erano appena conclusi i campionati mondiali di atletica a Roma con la strotosferica (e dopata) vittoria di Ben Johnson nei 100 su carl Lewis e l'Udinese si apprestava, dopo 8 anni di A ed i fasti dell'era Zico, a giocare in serie B pensando di essere la Juve della cadetteria con il campione del mondo Ciccio Graziani con la fascia di capitano e il ritorno di Massimo Giacomini in panchina.

Ma durarono poco tutti e due, Graziani appese le scarpe al chiodo in novembre, il friulano Giacomini fu sostituito in ottobre dal serbo giramondo Velibor "Bora" Milutinovic, a sua volta giubilato in dicembre per Nedo Sonetti che riusci a mettere in salvo i bianconeri che stavano viaggiando spediti verso.. la serie C!

E alla Presidenza del Consiglio non sedeva più il totem socialista Bettino Craxi ma un quarantenne commercialista di Asti, il democristiano Giovanni Goria, che per via della barba nera, i capelli corvini ed una vaga somiglianza somatica all'attore indiano Kabir Bedi, Gianfranco D'Angelo non aveva perso l'occasione per farlo diventare "Sandokan Goria" durante i suoi pezzi di satira della trasmissione televisiva del momento: Drive In.   

Ma durò poco: a febbraio fu già dimissionato, con i capelli e la barba diventati grigi e la finanziaria bocciata dal Parlamento.

Ma lasciamo perdere queste note di colore e torniamo "a noi", ad una di quelle sere tiepide sere di fine estate in cui il Friuli sembrava addormentato già alle dieci, e i paesini dell’interno erano solo un susseguirsi di case buie, capitelli illuminati e silenzi agricoli.

Civetta — nome di battaglia, perché nessuno lo chiamava con il suo altisonante nome di battesimo  Guidomaria — era in licenza di convalescenza dal servizio militare. Alla gamba destra portava un gambaletto di gesso che gli irrigidiva tutto il passo; un incidente in addestramento gli aveva giocato un brutto scherzo; questo però, non gli impediva lontano dal reparto, contro ogni logica e forse contro qualche norma del Codice della Strada, di guidare una vecchia Fiat 1100 nera tenuta come una reliquia dalla famiglia: un’auto dei primi anni Sessanta, con sedili che sapevano di polvere, fumo e ricordi.

Quella sera, l’equipaggio era al completo: Giffoni e Leonardo, universitari freschi, Valleriani e Praticò, ancora al liceo e, naturalmente Civetta, l’autiere zoppo.

Vagavano senza meta tra i paesini, sospinti dalla noia più assoluta e dal desiderio di far qualcosa, qualsiasi cosa, pur di non tornare a casa.

A un certo punto — probabilmente dopo una birra di troppo e un lampo creativo di Giffoni — nacque l’idea: “Facciamo come nel film di Spielberg. The Car. La macchina nera. Quella posseduta.” E fu così, la Fiat 1100, con i suoi modesti cinquant’anni sulle spalle, divenne la Macchina Nera.

Attraversarono tre borghi a clacson spiegato, come se dovessero far scappare tutti gli spiriti rimasti svegli. L’eco rimbalzava sulle facciate delle chiese, sulle piazzette vuote, sui bar ormai chiusi. Un cane latrò isterico, una vecchia tapparella sobbalzò.

Ridevano come dei matti. Per forza: lo erano.

Fuori dal paese, nei campi, videro un prato di erba medica.

“Perfetto,” disse Valleriani. “Ben Johnson ha bisogno delle sue corsie per allenarsi in vista delle prossime Olimpiadi.” aggiunse solenne Giffoni. “E noi siamo qui per il bene dello sport,” sentenziò Praticò.

E via, Civetta girò il volante e la Fiat entrò nel campo come un aratro ubriaco, solcava l’erba medica lasciando due profonde linee sghembe, tra l’odore fresco di pianta schiacciata e lo scandalo silenzioso della campagna.

“Seoul ’88 ci deve ringraziare!” gridò Praticò, mentre Valleriani non riusciva più a smettere di ridere.

Il motore, nel mentre, tossiva in protesta.

Con le lacrime agl'occhi, ma ancora non paghi delle evoluzioni della Macchina Nera, alla vista di un palo di una vite, solitario sul bordo del campo, Civettà vide già oltre: “Quello lo buttiamo giù -  disse - una spintarella e cade.”

La spintarella fu due volte un tonfo.
Il palo rimase dritto, imperturbabile.
La Fiat rantolava come un fumatore incallito dopo una corsa.

“Basta,” decise Leonardo. “O ammazziamo la macchina, o la macchina ammazza noi.”

E così, sfiancati e con l’odore di olio bruciato addosso, tornarono verso il paese.

Come in tutte le serate degne di tale qualifica, il momento topico arrivò all’improvviso.

Stavano ridendo ancora come tarantolati facendo la cronaca dei freschi avvenimenti quando incontrarono la pattuglia dei Carabinieri che procedeva in senso opposto.

“Totalmente ignari…” dichiarò Giffoni con un sorriso trionfale. “Se sapessero…”

Non fece in tempo a finire la frase.
La pattuglia frenò.
Fece inversione.
Lampi blu.
Due colpetti di sirena.

La "Macchina Nera" fu invitata ad accostare.

Il carabiniere si avvicinò alla finestra.

“Patente e libretto.”

Civetta inghiottì.

“La patente sì… il libretto…(dopo aver messo inutilmente sottosopra il vano portaoggetti a fianco del posto di guida)... temo di non averlo.”

“Come temo di non averlo?”

“Cioè, ce l’ho… ma l’ho dimenticato a casa. Abito qui a fianco. Posso andare a prenderlo.”

L’altro carabiniere illuminò con la torcia tutti i volti nell’auto. Cinque statue di sale. Nessuno respirava.

“Lei. Scenda.”

Civetta scese — o tentò. Con il gambaletto di gesso sembrava un fenicottero zoppo sceso male da una giostra. Il carabiniere lo guardò stupefatto.

“Ma lei lo sa che per guidare servono requisiti fisici oltre che psichici?
Per ora diamo per buoni quelli psichici… ma quelli fisici mi sembrano decisamente compromessi."

“Sono in licenza di convalescenza, signor carabiniere. Sono un militare.”

“Qual è il suo incarico in caserma?”

“…Autiere.”

Il carabiniere sbatté le palpebre. Due volte. Alzò gli occhi al cielo estivo stellato sperando di scorgervi il volto della Virgo Fidelis, la protettrice dell'Arma a cui chiedere un consiglio.

Leonardo e Civetta andarono davvero a prendere il libretto.
Tornarono trafelati e lo consegnarono.

“Va bene,” sospirò il carabiniere. “Portate a casa questa macchina d’epoca e non fatevi più vedere in giro. E lei, convalescente, non guida più.”

La Virgo Fidelis, aveva deciso per la Grazia. 

“Guido io,” annunciò Giffoni sicuro di sé.

Salì.
Girò la chiave.
Strappo.
Tosse della frizione.
Stallo.

Riprovò.
Altro stallo.

“Ma lei ce l’ha la patente?” domandò il Carabiniere.

“Certo!”

“Me la faccia vedere.”

Giffoni estrasse il portafoglio nel quale si accorse che oltre a qualche risibile biglietto da 1.000 lire e la carta d'identità, invece della patente c'era un biglietto per la prossima partita dell'Udinese acquistato in prevendita. 

“…ehm… l’ho dimenticata a casa.”

Il carabiniere lo guardò come se fosse apparso un marziano in bermuda.

I due militari si scambiarono uno sguardo annichilito. Anche al Figlio della Virgo Fidelis incominciavano a girare gli Zebedei.

Uno prese il blocchetto per iniziare un verbale.

Ma proprio in quel momento, davanti a loro, sfrecciò un’auto a una velocità folle, una scheggia impazzita sulla provinciale.

I due carabinieri si lanciarono uno sguardo che non aveva bisgono di parole mentre Leonardo, intuita la situazione ed il possibile favorevole cambio di scenario, con la sua patente già in mano la esibì ai militari come solo l'arbitro Lo Bello avrebbe saputo fare con il cartellino rosso in faccia all'Armaron Cesare Cattaneo, dopo un fallo da ultimo uomo su Bruno Conti lanciato in area.

“Io posso guidare davvero.”

I Carabinieri salirono di corsa in auto.
Lampeggianti, marcia inserita e ghiaia che saltava, senza aggiungere altro se non uno sguardo più sconsolato più che altro verso Leonardo, Civetta e Giffoni, si lanciarono all'inseguimento del pirata della strada.

Lasciando dietro di sé un gruppo di incalliti ma innocui fancazzisti, un autiere col gesso, una "Macchina Nera" sfinita e due corsie di erba medica perfette per Ben Johnson.



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