Praga, 20 agosto 1968
Le vacanze stanno per finire…
domani mattina si torna in Italia! Non nascondo che già provo nostalgia per
questi dieci giorni passati nella città di Kafka, nella capitale di Rodolfo II
d’Asburgo ed oggi nella città della speranza di Alexander Dubček.: in fondo
partire è sempre un po’ morire… anche quando lo si fa per tornare a casa e
riabbracciare i propri cari e riprendere la propria routine…Questa volta però è diverso, il
mio animo è in tumulto, avverte un’inquietudine particolare… che mi riporta
indietro… ai tempi della scuola, quando il gracchiare della campanella
annunciava la fine della ricreazione ed interrompeva bruscamente, senza
preavviso, l’anarchia ed i lazzi e tutti mestamente rientravamo, con ordine, in classe ad
attendere, in un’innaturale silenzio, il ritorno del maestro. Non mi dà particolare sollievo neppure l’idea
di poter raccontare a tutti gli altri amici le meraviglie viste e vissute in
questi giorni… tanto non capirebbero, non potrebbero capire, figuriamoci…
quando sei mesi fa dissi loro che
quest’anno sarei venuto a passare le vacanze estive a Praga, mi guardarono come
si può guardare un pazzo… “D’accordo che vuoi sempre nuotare contro la
corrente” … disse uno di loro… “ma questa volta cerchi proprio di annegare!”.
Già… tutti sognavano la sensuale Parigi, le calde spiagge spagnole
ed i più audaci addirittura si immaginavano “on the road”, in moto, sulle
strade della California… ed io invece no… determinato a varcare la cortina, per
spingermi nel mondo “sbagliato”… tra le braccia del nemico, rischiando magari
di essere arrestato come spia imperialista solo per aver scattato qualche foto
dalla collina di Hradčany.
In realtà, nulla mi affascinava
più di questo viaggio oltre le “colonne d’Ercole” del nostro tempo… entrare in
quella sorta di nebbia che avvolgeva, ai nostri occhi, tutte le terre ed i
paesi posti ad oriente di quella linea, purtroppo fisica e non immaginaria,
costituita dal filo spinato della cortina di ferro, che non solo tagliava in
due l’Europa, ma segnava il confine di due mondi non comunicanti e
contrapposti.
Dagli estemporanei visitatori
provenienti dal nostro mondo, per lo più persone che viaggiavano per motivi di
lavoro, avevo ascoltato le storie più stravaganti, che terminavano quasi sempre
con il racconto di improbabili congressi
“amorosi” con compiacenti bellezze statuarie dai capelli biondi, gli zigomi
alti, le bocche carnose, gli occhi celesti e le gambe lunghe e snelle, il cui
unico neo era rappresentato dalla toeletta personale approssimativa e dall’abbigliamento
scialbo.
Questo che il “viaggiatore”
ritornasse da Kiev, come da Bucarest o Varsavia, come da Sofia o da Budapest o
da Bratislava; luoghi e genti sparse su di un’area continentale con storie
nazionali e lingue anche profondamente diverse sembravano essersi uniformate su
di un unico schema che le appiattiva sulla stessa grigia esistenza; gran parte
di quei popoli che per secoli avevano vissuto insieme, guidati delle regole del
vecchio impero asburgico e che insieme avevano creato quella civiltà e quella
cultura che ancor oggi chiamiamo “mitteleuropea”, sembravano essere stati
inghiottiti dalla Storia, decretando ai nostri occhi non solo la loro “morte”, ma anche quella di
quella civiltà che si basava involontariamente sulla coesistenza e sull’interscambio
di culture in origine non comuni. In merito, ho sempre pensato che, in realtà,
se “loro” erano morti, “noi” eravamo diventati tutti orfani inconsolabili.
Mentre ero assorto in quei
pensieri così impegnativi e con malinconia osservavo, dalla terrazza della mia
camera affacciata su Vaclavske Nàmesti, i tetti, le guglie ed i campanili a
cipolla della città d’oro, triste all’idea che quella sarebbe stata l’ultima
giornata in cui mi sarei perso in quel labirinto che ribolliva di misteri e di
voglia di essere, qualcuno bussò alla porta ed il rumore sordo ed insistente
dei battiti ruppe bruscamente quello stato di strana sospensione in cui ero
caduto.
Si trattava di uno dei camerieri
dell’albergo che mi annunciava l’arrivo nella hall della visita che in realtà
stavo aspettando con ansia: la signora Aranka Koubikova; infatti, per quanto la
mia visita in Cecoslovacchia avvenisse ufficialmente per turismo, certo non
potevo ritornare in Italia senza una storia che valesse la pena di essere
raccontata, sfruttando quel periodo di inattesa ed insolita apertura alla
libertà di comunicazione che, pur timidamente, aveva iniziato a far breccia in
quella società dall’avvento, da alcuni mesi, dello slovacco Dubček alla guida
del paese.
Dopo aver ringraziato con la canonica
mancia il cameriere, ad ampie falcate, facendo i gradini delle scale a tre alla
volta, mi ritrovai nella hall dell’albergo, dove non feci fatica ad individuare
la mia “vittima”: era seduta con un abbigliamento assolutamente insolito per
quell’ora del mattino, da sola, quasi sprofondata in uno dei malandati divani
che ornavano malamente quel trascurato salone; mi avvicinai e, notando un certo
imbarazzo da parte sua, cercai subito di rompere il ghiaccio.
Buongiorno e ben arrivata signora Aranka! Grazie per essere qui... Il viaggio è andato bene? Le posso offrire
qualcosa da bere?
Chi invece ruppe subito gli indugi fu proprio Aranka che
m’interruppe bruscamente e cogliendomi completamente di sorpresa, mi
abbracciò prima, mi baciò poi ed infine
mi prese sottobraccio e mi condusse con fare sicuro verso le scale,
sussurrandomi nell’orecchio:
Risparmi i convenevoli. Non
abbiamo molto tempo. Saliamo subito in camera sua… e mi raccomando, non si
faccia strane idee su tutto questo: è solo perché non voglio che ci vedano
parlare qui nell’atrio o che pensino per questo incontro qualcosa di diverso
rispetto a quello che sembra… Non sia così rigido, sia sciolto…
L’imbarazzo all’improvviso fu tutto mio e senza capire
bene quello che stava accadendo mi ritrovai di nuovo in camera mia, seduto sul
letto, osservando Aranka che frugava in ogni dove alla ricerca di eventuali
microspie, sorpreso piacevolmente dall’aspetto ancora attraente e sensuale
della donna.
Perché mi guarda con quell’aria
ebete? Non mi dirà che credeva di non essere spiato? Uno straniero in un
albergo come questo…. – continuò, sempre sottovoce, facendomi segno con la
testa di uscire con lei sul terrazzino della mia camera d’albergo. Di colpo mi
sembrò di essere catapultato in un film di James Bond e la cosa, mi riempì di
un inquietudine non ancora provata durante tutto il mio soggiorno praghese,
caratterizzato più che altro da una vera e propria “via crucis” tra birrerie
chiassose e piene di gioventù spensierata.
Ma scusi, perché tutto questo? Mi sembra che le cose stiano cambiando…
chi dovrebbe interessarsi ad un turista italiano che fa il giornalista a tempo
perso?
Lei è proprio un ingenuo sa? Non
mi faccia pentire per la decisione di rivelare proprio a lei la storia che sto
per raccontare; avessi scelto un professionista avrei avuto maggiori
possibilità che l’incontro risultasse sospetto… o almeno così pensavo prima di
conoscerla! Lei è davvero convinto che.. tutta questa… tutta questa libertà,
sia destinata a durare? Fino a quando crede che i Russi lo tollereranno?
Qualcuno dice che sia questione di giorni, forse di ore e loro piomberanno qui
a rimettere le cose a posto… e quelli sono molto bravi nel sistemare le cose,
mi creda… mi creda davvero. Ma non perdiamo altro tempo, ascolti…
Aspetti, prendo il taccuino per gli appunti…. o forse è meglio usare il
registratore?
Ma allora lei proprio non vuole
capire! Niente taccuini, niente nastri registrati, troppo pericoloso! Cosa
crede possa fare la Polizia al confine se le trovano addosso la traccia di
questa conversazione? Che la segnalino per il Premio Pulitzer? Venga qui…
Aranka mi lanciò ancora le braccia collo e mi riportò a sé
sul terrazzo ed incominciò a raccontare, sempre sussurrando sotto voce, la
storia che voleva io portassi con me in Italia; senza fiato, colmo
d’inquietudine e d’imbarazzo mi accingevo ad ascoltare, facendo appello a tutto
il mio equilibrio per non perdere il filo, compresso com’ero tra il contatto
con il corpo ancora sinuoso a dispetto della non più giovane età della donna
e la vista dei tetti e delle guglie del
centro di Praga.
Sono nata a Sušice, nella
regione di Pilsen, nell’ottobre del 1918 e ho passato l’infanzia, l’adolescenza
e sono diventata donna in quell’incendio pronto a divampare che furono i Sudeti tra la nascita della
Cecoslovacchia e l’annessione alla Germania nazista a seguito del patto di
Monaco nel 1939. Mia madre proveniva da una famiglia di etnia tedesca che
viveva a Sušice
da almeno tre secoli, mentre mio padre era ceco e parte di una famiglia ceca che
si era stabilita a Sušice, da almeno tre secoli, come amava dire lui: “se non altro per
non essere da meno della famiglia di mia moglie”!
Sentivo salire la tensione e cercai di stemperarla,
ironizzando sussurrandole anch’io all’orecchio.
Sušice? La capitale mondiale dei fiammiferi? Mi
hanno riferito di una leggenda secondo la quale non c’è credenza al mondo che
non contenga una scatola di fiammiferi prodotta dalle fabbriche della ditta
Solo di Sušice …Mi pare il posto
meno indicato per vivere, specialmente se ti trovi vicino ad un rogo che ha
bisogno solo di essere acceso!
Aranka mi fissò negli occhi con severità e per un attimo,
che mi sembrò non finisse mai, mi sentii
un perfetto idiota; stavo per chiederle scusa quando la donna, avvertendo il mio
disagio, appoggiò la testa sulla mia spalla e incominciò a sorridere…
Che potevo aspettarmi da un
italiano come lei, che per campare fa l’ingegnere e nel tempo libero, per vivere, scrive articoli
per il giornale della sua città! E che, potendoselo permettere, invece di
andare in vacanza in Polinesia, viene qui a Praga a cercare storie nascoste da
una donna con l’anima morta… Eppoi ha ragione sa? Non era né il posto né il
momento giusto per nascere… ma questa è una cosa che né noi, né nessuno prima o
dopo di noi ha facoltà di decidere.
Venire al mondo è un po’ come essere al ristorante con la facoltà di
scelta limitata al menù fisso del giorno… -
provai ad insistere rinfrancato dalla reazione di Aranka alla mia
pessima ironia di poco prima.
Vorrebbe farmi intendere che il
nostro libero arbitrio è limitato alla possibilità di farci piacere o meno,
quello che ha deciso di proporci il cuoco? Guardi che se è così, il cuoco che
preparò il mio menù fu molto poco ispirato, credo che abbia usato i peggiori avanzi…
Dopo che per secoli tedeschi e
cechi nei Sudeti avevano convissuto più o meno amichevolmente quali sudditi
degli Asburgo, con la nascita della Cecoslovacchia lo spirito di rivalsa
dell’etnia ceca ebbe la meglio sulla ricerca di conservazione di quella
tedesca, divenuta di colpo minoritaria all’interno di un nuovo stato governato ora dai cechi e non più
dalle elités parlanti la lingua di Goethe.
Mio padre ripeteva spesso, con un gusto dell’ironia simile al suo, che
la mia nascita, avvenuta nello stesso mese di quello della nuova Repubblica
Ceco-slovacca, gli aveva sconvolto per sempre l’esistenza.
Posso immaginare che l’aria in famiglia incominciò a farsi avvelenata…
Immagina male mio caro… i miei
genitori si amavano per davvero; un matrimonio misto, in ogni epoca, è sempre
un percorso ad ostacoli che solo per essere celebrato mette a dura prova i
sentimenti dei promessi sposi. Quella che incominciò a farsi avvelenata fu
l’aria che respiravo fuori dalla famiglia: le due etnie incominciarono a chiudersi
in sé, a tagliare piano piano, ma inesorabilmente, i rapporti nella vita
quotidiana: i tedeschi vivevano con l’incubo di essere esclusi e di perdere i
privilegi di un tempo mentre i cechi con l’ossessione di recuperare il tempo e
le posizioni sociali perdute a vantaggio dei tedeschi, ora che avevano in mano
le redini del potere statuale.
Io non riuscivo a capire, nella
mia ingenua gioventù, il motivo di tanto livore… sin da bambina avevo appreso
naturalmente entrambe gli idiomi, così come i miei genitori parlavano tra di
loro talvolta in ceco, talvolta in tedesco. Pensi che quando si dovette
decidere quale scuola dovessi frequentare, fu mia madre ad insistere perchè mi
iscrivessi alla scuola ceca e quindi a fare in modo che quella diventasse la
mia prima lingua.
Aranka si fermò quasi per riprendere il fiato, o piuttosto
il coraggio per proseguire, appoggiando di nuovo la testa sulla mia spalla,
stringendosi più forte verso me; dalla strada, intanto, la scena di noi due
abbracciati da più di un quarto d’ora immobili sul terrazzo, incominciò a non
passare inosservata e qualcuno incominciò, tra sorrisi compiaciuti e divertiti,
a manifestare sonoramente la sua approvazione. Sempre più forti erano il mio
imbarazzo e la mia inquietudine per quella conversazione e per quel contatto
che stavano diventando qualcosa di surreale, mentre lei sembrava non curarsi di
tutto ciò e come in trance, riprese a sussurrarmi all’orecchio.
Le cose precipitarono con
l’avvento del nazismo nella vicina Germania; nacque così anche tra l’etnia
tedesca dei Sudeti il partito nazista ed iniziarono le manifestazioni, di volta
in volta più rabbiose e violente, per l’annessione al Reich ed anche le prime
azioni contro gli ebrei che vivevano nella zona. La polizia ceca reagiva
blandamente, con molta cautela, timorosa e preoccupata di fornire al potente
vicino qualsiasi pretesto per intervenire militarmente a difesa dei Sudeten
Deutsch.
Nonostante tutto questo posso
dire che quelli, paradossalmente, furono gli anni più belli della mia vita: ero
una bella ragazza piena di vita, iniziavo a scoprire il mio corpo ed entrai in
quello stato di perfetta simbiosi tra corpo, anima e mente che è
l’innamoramento… Capisce vero di cosa sto parlando? Lei non è mai stato
innamorato per davvero?
Non lo so, ma se continua così, temo che sarò costretto ad innamorarmi
di lei… visto che di solito faccio fatica a coordinare testa e gambe… continui
la prego!
Lei è proprio buffo sa?... io non
posso che augurarle di aver provato in vita sua quello che provai io tra il
1937 ed il marzo 1939… trent’anni fa.. quando mi innamorai di Lubos…
Lo sguardo di Aranka d’improvviso si accese davvero come
un incendio e mi sembrò di sentire davvero tremare il suo corpo.. per un attimo
persino il tono della sua voce, fin lì deciso e senza cedimenti di sorta,
sembrò trasformarsi in un soffio talmente lieve da poter svanire nel nulla da
un momento all’altro.
Lubos? Chi è quest’uomo fortunato?
Chi era vorrà dire, visto che è
morto nell’agosto del 1950 all’età di 36 anni…
rispose Aranka come
ferita nella carne e nello spirito ancora una volta per la perdita dell’amato,
mentre io non riuscì a dissimulare il mio reale dispiacere per l’ennesima
battuta a vuoto…
Il capitano dell’aviazione da
guerra cecoslovacca Lubos Bruckner è stato l’uomo per cui avrei sacrificato la
mia stessa vita prima del settembre del 1939; come può capire dal cognome, un
ceco di origine tedesca… ci siamo amati alla follia, anzi le dirò, io non ho
ancora smesso di amarlo anche se non gli ho mai perdonato di avermi lasciato in
quel maledetto settembre..
Se non le dispiace, mi deve qualche precisazione…
Le dissi in punta di piedi, temendo di combinare un altro
pasticcio.
Certo, sono venuta qui proprio
per questo, perché porti in Occidente la storia di Lubos; il mio capitano nel
marzo del 1939 dovette consegnare alle truppe tedesche che invasero la
Cecoslovacchia in seguito al Patto di Monaco, tutti gli aerei da caccia del
campo in cui prestava servizio. Aveva ricevuto l’ordine di arrendersi senza
combattere e pur eseguendo scrupolosamente l’ordine superiore, intimamente non
riuscì mai ad accettarlo.
I Sudeti vennero annessi al Reich
e lei può solo immaginare il clima che s’instaurò nella mia terra e le
vessazioni a cui fu sottoposta la popolazione di etnia ceca: destituzione dai
posti di comando delle amministrazioni pubbliche, chiusura delle scuole e delle
istituzioni culturali e così via.
Quando nel giugno del 1940 in
Europa era rimasta la sola Inghilterra a fronteggiare la Germania nazista e le
forze aeree inglesi avevano disperato bisogno di piloti per contrastare la
possibile invasione tedesca, Lubos mi disse che il suo posto non poteva essere
accanto a me e che doveva partire per
aiutare gli inglesi a combattere contro i nazisti. Piansi tutte le mie lacrime
per trattenerlo, gli dissi che a me non importava nulla degli inglesi, dei
cechi, dei nazisti, che avevo 22 anni ed ero innamorata di lui e che
andandosene via per difendere il mondo da Hitler, lasciava me sola a dovermi
difendere dalle SS!
Naturalmente, come ogni buon uomo che si rispetti, preferì correre in
aiuto di Sua Maestà, invece di rimanere
a difendere la sua bella…
Naturalmente… disse che non
potevo capire, che anche lui mi amava, che però c’erano dei valori superiori,
che non poteva accettare di vedere il mondo andare alla mercè dei nazisti senza
fare nulla.. Voi uomini siete sempre bravi e coraggiosi quando si tratta di
cercare la gloria come Achille, quando si parla di grandi orizzonti… molto meno
quando si deve pensare alla vita di ogni giorno! Naturalmente mi disse che
avrebbe avuto cura di sé e che un giorno sarebbe tornato per vivere con me in
un mondo libero e che altrettanto naturalmente avrei dovuto aspettarlo.
Lo amavo come e più di me stessa…
però gli dissi che se partiva doveva dimenticarsi di me: io avevo bisogno di
lui come non mai proprio in quel momento; se partiva non l’avrei aspettato.
Lui partì ed io non glielo
perdonai mai. Neppure oggi lo faccio.
E’ morto nel 1950…
quindi sopravvisse alla guerra, magari se lo avesse aspettato…
Non solo sopravvisse alla guerra,
fu addirittura decorato al valore da Sua Maestà assieme a molti altri piloti
cechi, polacchi, francesi ed americani che, assieme ai colleghi inglesi,
vinsero nei cieli la battaglia contro la Luftwaffe e contribuirono forse in
modo decisivo alla sconfitta della Germania.
Non seppi nulla di lui fino al
maggio del 1945, quando lo vidi arrivare a Sušice ancora con l’uniforme della R.A.F.
addosso. La città nel frattempo era stata liberata dalle truppe americane del generale
Patton.
Dagli americani? Io
sapevo che la Cecoslovacchia era stata liberata dall’Armata Rossa…
Non è l’unico a crederlo si
consoli… In realtà tutta la regione di Pilsen e parte della Boemia occidentale
furono liberate dalle truppe della III Armata americana… probabilmente con le
stesse scene di entusiasmo che si erano riscontrate in Francia o in Italia
all’arrivo dei liberatori.
Nel giro di un paio di giorni
quei soldati sarebbero potuti arrivare sino a Praga; il loro comandante, il
generale Patton mordeva il freno… era certo di arrivare prima dei Russi e forse
la storia della Boemia sarebbe stata molto diversa; invece il suo governo la
pensava diversamente, gli accordi con l’Unione Sovietica prevedevano che il mio
paese rientrasse nella sfera d’influenza moscovita e così, dopo pochi mesi gli
americani si ritirano oltre il vecchio confine con la Germania.
Per alcune settimane regnò una
feroce anarchia, dove si scatenò una vera e propria caccia al tedesco.. si dice
che tre milioni di tedeschi abbandonarono forzatamente quelle terre abitate da
secoli; io non so esattamente quanti fossero, ma le posso dire con certezza che
non esiste più una minoranza tedesca nei Sudeti.
E Lubos? La cercò?
Certo che mi cercò! Si presentò
da me come l’Eroe che ritorna dopo aver sconfitto il Drago per la sua bella…
Nel vederlo non scoppiai a piangere solo perché avevo perso tutte le mie
lacrime al momento della sua partenza… ma per lui lo shock fu ancora più
grande, nel vedere la sua bella in attesa del secondo figlio.. e scoprire che
il padre dei miei bambini era il suo vecchio amico Karel.
Karel non era un eroe, per lui
non ho mai provato quello che sentivo e tutt’oggi sento per Lubos, ma non mi ha
mai lasciata sola e si è sempre preso cura di me e dei bambini con amore.
Aranka fermò il suo racconto quasi spossata da quel
turbine di eventi che aveva rievocato, ed ancora appoggiò la testa sulla mia
spalla quasi priva di forze ed in cerca di conforto; rimanemmo immobili come
due statue in quella posizione fino a che, presi il coraggio di rompere quel
pesante silenzio..
Signora Aranka, a questo punto temo che dovrò chiederle cosa accadde a
Lubos..
Quel famoso cuoco di cui si
parlava prima aveva preparato un pessimo menù anche per lui… Lubos credo
pensasse, ed in fondo lo era anche, di essere un eroe di guerra, una sorta di
Ulisse che rientra ad Itaca dopo la guerra di Troia.. non solo non trovò una
Penelope in paziente attesa, ma pure i Proci ebbero la meglio su di lui.. Fu
arrestato nel 1949 dalla polizia segreta del Regime comunista che si era
imposto con il colpo di stato voluto dai Russi nel 1948…
Arrestato? E per quale motivo? Aveva perso la testa e commesso qualche
crimine?
Qualche crimine? Ma che dice...
un uomo orgoglioso e forte come Lubos non ne sarebbe mai stato capace. Fu arrestato come nemico del popolo.
Si, ha capito bene, Lui un nemico del popolo cecoslovacco: il regime comunista,
in quel periodo di avvio della guerra fredda, non poteva tollerare che
esistesse la prova vivente che non era stata solo la gloriosa Armata Rossa ad
avere sconfitto il nazismo e liberato il nostro paese.
Assieme a Lubos in quegli anni
vennero arrestati e fatti sparire con quell’infamante accusa molti di coloro
che avevano combattuto contro i nazisti al di fuori delle formazioni comuniste.
Lubos morì in un campo di lavori
forzati dedicato alla “rieducazione” dei nemici del popolo, solo un anno dopo
il suo arresto; di questo venni a conoscenza solamente qualche anno fa; io
credo che riuscì a sopportare di aver perso la sua donna, ma non riuscì ad
accettare che il suo paese lo considerasse un traditore… e anche per questo non
riesco perdonarlo!
Le parole di Aranka vennero improvvisamente interrotte a
un battimani che proveniva dalla piazza: eravamo diventati una sorta di
attrazione per i passanti.. sorrisi,
pensando al desiderio di segretezza che aveva spinto Aranka a
quell’abbraccio lunghissimo…
Signora Koubikova, temo che i suoi propositi di mantenere segreto
questo incontro siano comporomessi…
La donna parve come risvegliarsi dalla trance in cui era
caduta per tutto il racconto… aveva perso non solo il senso del tempo ma anche
il contatto con la realtà per tutta quell’interminabile e surreale
conversazione. Ora che aveva ripreso pieno possesso del presente, mi diede uno
schiaffo, si divincolò da me come solo un’amante tradita è capace di fare,
rientrò nella camera, raccolse il suo impermeabile dal letto e raggiunse
velocemente la porta… prima di uscire si voltò e quasi scusandosi, con uno
sguardo implorante, mi disse:
Se ne vada.. se ne vada via… non
c’è più tempo… lasci questo paese al più presto!!!
E sparì nel corridoio
dell’albergo; erano le 11,00 del mattino del 20 agosto 1968. Mi distesi sul
letto e fissando il soffitto ripercorsi con la mente tutto il racconto di
Aranka e con il corpo l’emozione di quel
contatto fisico: avevo la sensazione di aver assorbito tutte le emozioni della
donna… non riuscivo però a levarmi dalla mente le sue ultime parole ed il suo
ultimo sguardo.
Anche quell’irrazionale
sensazione di “fine della ricreazione” che percepivo all’inizio della giornata
si faceva sempre più forte e così, in fretta e furia preparai la valigia e
abbandonai l’albergo.
Al calar della sera mi trovavo
già al confine con l’Austria e superai i lunghi controlli senza particolari
problemi; alle 22,30 mi stavo già coricando nel letto di una Gasthof nei
dintorni di Linz, pensando alla follia di quella fuga da Praga per una “fine
del mondo” annunciata prossima, ma di cui, al di là delle sensazioni percepite
da uno strano sesto senso attivato misteriosamente da una bizzarra donna boema,
non avevo avuto alcun riscontro oggettivo in tutto il viaggio di ritorno. Tutto
sembrava assolutamente tranquillo, quella sera, in Cecoslovacchia…
Mentre caddi esausto tra le
braccia di Morfeo, per le troppe emozioni di quella giornata, passate le
23,00, Radio Praga iniziò a trasmettere
che i Russi stavano invadendo la Cecoslovacchia con più di 6.000 carri
armati...
Udine, novembre 2006
Con l’avanzare dell’età mi
accorgo sempre più spesso che i miei pensieri viaggiano all’indietro, alla
ricerca dei volti che hanno frequentato la mia vita. Tra i tanti, fa sempre
capolino con prepotenza quello di Aranka Koubikova ed il ricordo di quella
mattina di 38 anni fa su quel piccolo terrazzo affacciato su Vaclavske Nàmesti.
Le scrissi molte volte senza
avere risposta e non ebbi più sue notizie, fino ad una mattina di fine novembre
del 1989, quando il postino mi consegnò un pacchetto proveniente da Sušice; lo aprii e all’interno c’era solo una scatola
di fiammiferi: il retro, in piccoli caratteri, recava la scritta: “Prodotto
dalle industrie Solo – Sušice (CS) – La capitale mondiale dei
fiammiferi”. All’interno, tra i bastoncini trovai un foglietto arrotolato
minuziosamente; lo srotolai e vi lessi: “Nel caso la sua credenza ne fosse
priva – Non smetta di credere alle leggende: l’importante non è raggiungere
Itaca, ma non smettere mai di correrle incontro ”.
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