lunedì 3 aprile 2017

LA TERRAZZA DI PRAGA

Praga, 20 agosto 1968

Le vacanze stanno per finire… domani mattina si torna in Italia! Non nascondo che già provo nostalgia per questi dieci giorni passati nella città di Kafka, nella capitale di Rodolfo II d’Asburgo ed oggi nella città della speranza di Alexander Dubček.: in fondo partire è sempre un po’ morire… anche quando lo si fa per tornare a casa e riabbracciare i propri cari e riprendere la propria routine…Questa volta però è diverso, il mio animo è in tumulto, avverte un’inquietudine particolare… che mi riporta indietro… ai tempi della scuola, quando il gracchiare della campanella annunciava la fine della ricreazione ed interrompeva bruscamente, senza preavviso, l’anarchia ed i lazzi e tutti mestamente  rientravamo, con ordine, in classe ad attendere, in un’innaturale silenzio, il ritorno del maestro.  Non mi dà particolare sollievo neppure l’idea di poter raccontare a tutti gli altri amici le meraviglie viste e vissute in questi giorni… tanto non capirebbero, non potrebbero capire, figuriamoci… quando sei mesi fa dissi loro  che quest’anno sarei venuto a passare le vacanze estive a Praga, mi guardarono come si può guardare un pazzo… “D’accordo che vuoi sempre nuotare contro la corrente” … disse uno di loro… “ma questa volta cerchi proprio di annegare!”.
Già… tutti sognavano  la sensuale Parigi, le calde spiagge spagnole ed i più audaci addirittura si immaginavano “on the road”, in moto, sulle strade della California… ed io invece no… determinato a varcare la cortina, per spingermi nel mondo “sbagliato”… tra le braccia del nemico, rischiando magari di essere arrestato come spia imperialista solo per aver scattato qualche foto dalla collina di Hradčany.
In realtà, nulla mi affascinava più di questo viaggio oltre le “colonne d’Ercole” del nostro tempo… entrare in quella sorta di nebbia che avvolgeva, ai nostri occhi, tutte le terre ed i paesi posti ad oriente di quella linea, purtroppo fisica e non immaginaria, costituita dal filo spinato della cortina di ferro, che non solo tagliava in due l’Europa, ma segnava il confine di due mondi non comunicanti e contrapposti.
Dagli estemporanei visitatori provenienti dal nostro mondo, per lo più persone che viaggiavano per motivi di lavoro, avevo ascoltato le storie più stravaganti, che terminavano quasi sempre con  il racconto di improbabili congressi “amorosi” con compiacenti bellezze statuarie dai capelli biondi, gli zigomi alti, le bocche carnose, gli occhi celesti e le gambe lunghe e snelle, il cui unico neo era rappresentato dalla toeletta personale approssimativa e dall’abbigliamento scialbo.
Questo che il “viaggiatore” ritornasse da Kiev, come da Bucarest o Varsavia, come da Sofia o da Budapest o da Bratislava; luoghi e genti sparse su di un’area continentale con storie nazionali e lingue anche profondamente diverse sembravano essersi uniformate su di un unico schema che le appiattiva sulla stessa grigia esistenza; gran parte di quei popoli che per secoli avevano vissuto insieme, guidati delle regole del vecchio impero asburgico e che insieme avevano creato quella civiltà e quella cultura che ancor oggi chiamiamo “mitteleuropea”, sembravano essere stati inghiottiti dalla Storia, decretando ai nostri occhi  non solo la loro “morte”, ma anche quella di quella civiltà che si basava involontariamente sulla coesistenza e sull’interscambio di culture in origine non comuni. In merito, ho sempre pensato che, in realtà, se “loro” erano morti, “noi” eravamo diventati tutti orfani inconsolabili. 
Mentre ero assorto in quei pensieri così impegnativi e con malinconia osservavo, dalla terrazza della mia camera affacciata su Vaclavske Nàmesti, i tetti, le guglie ed i campanili a cipolla della città d’oro, triste all’idea che quella sarebbe stata l’ultima giornata in cui mi sarei perso in quel labirinto che ribolliva di misteri e di voglia di essere, qualcuno bussò alla porta ed il rumore sordo ed insistente dei battiti ruppe bruscamente quello stato di strana sospensione in cui ero caduto.
Si trattava di uno dei camerieri dell’albergo che mi annunciava l’arrivo nella hall della visita che in realtà stavo aspettando con ansia: la signora Aranka Koubikova; infatti, per quanto la mia visita in Cecoslovacchia avvenisse ufficialmente per turismo, certo non potevo ritornare in Italia senza una storia che valesse la pena di essere raccontata, sfruttando quel periodo di inattesa ed insolita apertura alla libertà di comunicazione che, pur timidamente, aveva iniziato a far breccia in quella società dall’avvento, da alcuni mesi, dello slovacco Dubček alla guida del paese.
Dopo aver ringraziato con la canonica mancia il cameriere, ad ampie falcate, facendo i gradini delle scale a tre alla volta, mi ritrovai nella hall dell’albergo, dove non feci fatica ad individuare la mia “vittima”: era seduta con un abbigliamento assolutamente insolito per quell’ora del mattino, da sola, quasi sprofondata in uno dei malandati divani che ornavano malamente quel trascurato salone; mi avvicinai e, notando un certo imbarazzo da parte sua, cercai subito di rompere il ghiaccio.

Buongiorno e ben arrivata signora Aranka! Grazie per essere qui...  Il viaggio è andato bene? Le posso offrire qualcosa da bere?

Chi invece ruppe subito gli indugi fu proprio Aranka che m’interruppe bruscamente e cogliendomi completamente di sorpresa, mi abbracciò  prima, mi baciò poi ed infine mi prese sottobraccio e mi condusse con fare sicuro verso le scale, sussurrandomi nell’orecchio:

Risparmi i convenevoli. Non abbiamo molto tempo. Saliamo subito in camera sua… e mi raccomando, non si faccia strane idee su tutto questo: è solo perché non voglio che ci vedano parlare qui nell’atrio o che pensino per questo incontro qualcosa di diverso rispetto a quello che sembra… Non sia così rigido, sia sciolto…

L’imbarazzo all’improvviso fu tutto mio e senza capire bene quello che stava accadendo mi ritrovai di nuovo in camera mia, seduto sul letto, osservando Aranka che frugava in ogni dove alla ricerca di eventuali microspie, sorpreso piacevolmente dall’aspetto ancora attraente e sensuale della donna.

Perché mi guarda con quell’aria ebete? Non mi dirà che credeva di non essere spiato? Uno straniero in un albergo come questo…. – continuò, sempre sottovoce, facendomi segno con la testa di uscire con lei sul terrazzino della mia camera d’albergo. Di colpo mi sembrò di essere catapultato in un film di James Bond e la cosa, mi riempì di un inquietudine non ancora provata durante tutto il mio soggiorno praghese, caratterizzato più che altro da una vera e propria “via crucis” tra birrerie chiassose e piene di gioventù spensierata.

Ma scusi, perché tutto questo? Mi sembra che le cose stiano cambiando… chi dovrebbe interessarsi ad un turista italiano che fa il giornalista a tempo perso?

Lei è proprio un ingenuo sa? Non mi faccia pentire per la decisione di rivelare proprio a lei la storia che sto per raccontare; avessi scelto un professionista avrei avuto maggiori possibilità che l’incontro risultasse sospetto… o almeno così pensavo prima di conoscerla! Lei è davvero convinto che.. tutta questa… tutta questa libertà, sia destinata a durare? Fino a quando crede che i Russi lo tollereranno? Qualcuno dice che sia questione di giorni, forse di ore e loro piomberanno qui a rimettere le cose a posto… e quelli sono molto bravi nel sistemare le cose, mi creda… mi creda davvero. Ma non perdiamo altro tempo, ascolti…

Aspetti, prendo il taccuino per gli appunti…. o forse è meglio usare il registratore?

Ma allora lei proprio non vuole capire! Niente taccuini, niente nastri registrati, troppo pericoloso! Cosa crede possa fare la Polizia al confine se le trovano addosso la traccia di questa conversazione? Che la segnalino per il Premio Pulitzer? Venga qui…

Aranka mi lanciò ancora le braccia collo e mi riportò a sé sul terrazzo ed incominciò a raccontare, sempre sussurrando sotto voce, la storia che voleva io portassi con me in Italia; senza fiato, colmo d’inquietudine e d’imbarazzo mi accingevo ad ascoltare, facendo appello a tutto il mio equilibrio per non perdere il filo, compresso com’ero tra il contatto con il corpo ancora sinuoso a dispetto della non più giovane età della donna e  la vista dei tetti e delle guglie del centro di Praga.


Sono nata a Sušice, nella regione di Pilsen, nell’ottobre del 1918 e ho passato l’infanzia, l’adolescenza e sono diventata donna in quell’incendio pronto a divampare  che furono i Sudeti tra la nascita della Cecoslovacchia e l’annessione alla Germania nazista a seguito del patto di Monaco nel 1939. Mia madre proveniva da una famiglia di etnia tedesca che viveva a Sušice da almeno tre secoli, mentre mio padre era ceco e parte di una famiglia ceca che si era stabilita a Sušice, da almeno tre secoli, come amava dire lui: “se non altro per non essere da meno della famiglia di mia moglie”! 

Sentivo salire la tensione e cercai di stemperarla, ironizzando sussurrandole anch’io all’orecchio.

Sušice? La capitale mondiale dei fiammiferi? Mi hanno riferito di una leggenda secondo la quale non c’è credenza al mondo che non contenga una scatola di fiammiferi prodotta dalle fabbriche della ditta Solo di Sušice …Mi pare il posto meno indicato per vivere, specialmente se ti trovi vicino ad un rogo che ha bisogno solo di essere acceso!

Aranka mi fissò negli occhi con severità e per un attimo, che mi sembrò non finisse  mai, mi sentii un perfetto idiota; stavo per chiederle scusa quando la donna, avvertendo il mio disagio, appoggiò la testa sulla mia spalla e incominciò a sorridere…

Che potevo aspettarmi da un italiano come lei, che per campare fa l’ingegnere e  nel tempo libero, per vivere, scrive articoli per il giornale della sua città! E che, potendoselo permettere, invece di andare in vacanza in Polinesia, viene qui a Praga a cercare storie nascoste da una donna con l’anima morta… Eppoi ha ragione sa? Non era né il posto né il momento giusto per nascere… ma questa è una cosa che né noi, né nessuno prima o dopo di noi ha facoltà di decidere.  

Venire al mondo è un po’ come essere al ristorante con la facoltà di scelta limitata al menù fisso del giorno… -  provai ad insistere rinfrancato dalla reazione di Aranka alla mia pessima ironia di poco prima.

Vorrebbe farmi intendere che il nostro libero arbitrio è limitato alla possibilità di farci piacere o meno, quello che ha deciso di proporci il cuoco? Guardi che se è così, il cuoco che preparò il mio menù fu molto poco ispirato, credo che abbia usato i peggiori avanzi…
Dopo che per secoli tedeschi e cechi nei Sudeti avevano convissuto più o meno amichevolmente quali sudditi degli Asburgo, con la nascita della Cecoslovacchia lo spirito di rivalsa dell’etnia ceca ebbe la meglio sulla ricerca di conservazione di quella tedesca, divenuta di colpo minoritaria all’interno di un  nuovo stato governato ora dai cechi e non più dalle elités parlanti la lingua di Goethe.   Mio padre ripeteva spesso, con un gusto dell’ironia simile al suo, che la mia nascita, avvenuta nello stesso mese di quello della nuova Repubblica Ceco-slovacca, gli aveva sconvolto per sempre l’esistenza.

Posso immaginare che l’aria in famiglia incominciò a farsi avvelenata…

Immagina male mio caro… i miei genitori si amavano per davvero; un matrimonio misto, in ogni epoca, è sempre un percorso ad ostacoli che solo per essere celebrato mette a dura prova i sentimenti dei promessi sposi. Quella che incominciò a farsi avvelenata fu l’aria che respiravo fuori dalla famiglia: le due etnie incominciarono a chiudersi in sé, a tagliare piano piano, ma inesorabilmente, i rapporti nella vita quotidiana: i tedeschi vivevano con l’incubo di essere esclusi e di perdere i privilegi di un tempo mentre i cechi con l’ossessione di recuperare il tempo e le posizioni sociali perdute a vantaggio dei tedeschi, ora che avevano in mano le redini del potere statuale.
Io non riuscivo a capire, nella mia ingenua gioventù, il motivo di tanto livore… sin da bambina avevo appreso naturalmente entrambe gli idiomi, così come i miei genitori parlavano tra di loro talvolta in ceco, talvolta in tedesco. Pensi che quando si dovette decidere quale scuola dovessi frequentare, fu mia madre ad insistere perchè mi iscrivessi alla scuola ceca e quindi a fare in modo che quella diventasse la mia prima lingua.

Aranka si fermò quasi per riprendere il fiato, o piuttosto il coraggio per proseguire, appoggiando di nuovo la testa sulla mia spalla, stringendosi più forte verso me; dalla strada, intanto, la scena di noi due abbracciati da più di un quarto d’ora immobili sul terrazzo, incominciò a non passare inosservata e qualcuno incominciò, tra sorrisi compiaciuti e divertiti, a manifestare sonoramente la sua approvazione. Sempre più forti erano il mio imbarazzo e la mia inquietudine per quella conversazione e per quel contatto che stavano diventando qualcosa di surreale, mentre lei sembrava non curarsi di tutto ciò e come in trance, riprese a sussurrarmi all’orecchio.

Le cose precipitarono con l’avvento del nazismo nella vicina Germania; nacque così anche tra l’etnia tedesca dei Sudeti il partito nazista ed iniziarono le manifestazioni, di volta in volta più rabbiose e violente, per l’annessione al Reich ed anche le prime azioni contro gli ebrei che vivevano nella zona. La polizia ceca reagiva blandamente, con molta cautela, timorosa e preoccupata di fornire al potente vicino qualsiasi pretesto per intervenire militarmente a difesa dei Sudeten Deutsch.
Nonostante tutto questo posso dire che quelli, paradossalmente, furono gli anni più belli della mia vita: ero una bella ragazza piena di vita, iniziavo a scoprire il mio corpo ed entrai in quello stato di perfetta simbiosi tra corpo, anima e mente che è l’innamoramento… Capisce vero di cosa sto parlando? Lei non è mai stato innamorato per davvero?

Non lo so, ma se continua così, temo che sarò costretto ad innamorarmi di lei… visto che di solito faccio fatica a coordinare testa e gambe… continui la prego!

Lei è proprio buffo sa?... io non posso che augurarle di aver provato in vita sua quello che provai io tra il 1937 ed il marzo 1939… trent’anni fa.. quando mi innamorai di Lubos…

Lo sguardo di Aranka d’improvviso si accese davvero come un incendio e mi sembrò di sentire davvero tremare il suo corpo.. per un attimo persino il tono della sua voce, fin lì deciso e senza cedimenti di sorta, sembrò trasformarsi in un soffio talmente lieve da poter svanire nel nulla da un momento all’altro.



Lubos? Chi è quest’uomo fortunato?

Chi era vorrà dire, visto che è morto nell’agosto del 1950 all’età di 36 anni…

 rispose Aranka come ferita nella carne e nello spirito ancora una volta per la perdita dell’amato, mentre io non riuscì a dissimulare il mio reale dispiacere per l’ennesima battuta a vuoto…
 
Il capitano dell’aviazione da guerra cecoslovacca Lubos Bruckner è stato l’uomo per cui avrei sacrificato la mia stessa vita prima del settembre del 1939; come può capire dal cognome, un ceco di origine tedesca… ci siamo amati alla follia, anzi le dirò, io non ho ancora smesso di amarlo anche se non gli ho mai perdonato di avermi lasciato in quel maledetto settembre..

Se non le dispiace, mi deve qualche precisazione…

Le dissi in punta di piedi, temendo di combinare un altro pasticcio.

Certo, sono venuta qui proprio per questo, perché porti in Occidente la storia di Lubos; il mio capitano nel marzo del 1939 dovette consegnare alle truppe tedesche che invasero la Cecoslovacchia in seguito al Patto di Monaco, tutti gli aerei da caccia del campo in cui prestava servizio. Aveva ricevuto l’ordine di arrendersi senza combattere e pur eseguendo scrupolosamente l’ordine superiore, intimamente non riuscì mai ad accettarlo.
I Sudeti vennero annessi al Reich e lei può solo immaginare il clima che s’instaurò nella mia terra e le vessazioni a cui fu sottoposta la popolazione di etnia ceca: destituzione dai posti di comando delle amministrazioni pubbliche, chiusura delle scuole e delle istituzioni culturali e così via.
Quando nel giugno del 1940 in Europa era rimasta la sola Inghilterra a fronteggiare la Germania nazista e le forze aeree inglesi avevano disperato bisogno di piloti per contrastare la possibile invasione tedesca, Lubos mi disse che il suo posto non poteva essere accanto a me  e che doveva partire per aiutare gli inglesi a combattere contro i nazisti. Piansi tutte le mie lacrime per trattenerlo, gli dissi che a me non importava nulla degli inglesi, dei cechi, dei nazisti, che avevo 22 anni ed ero innamorata di lui e che andandosene via per difendere il mondo da Hitler, lasciava me sola a dovermi difendere dalle SS!

Naturalmente, come ogni buon uomo che si rispetti, preferì correre in aiuto di Sua Maestà,  invece di rimanere a difendere la sua bella…

Naturalmente… disse che non potevo capire, che anche lui mi amava, che però c’erano dei valori superiori, che non poteva accettare di vedere il mondo andare alla mercè dei nazisti senza fare nulla.. Voi uomini siete sempre bravi e coraggiosi quando si tratta di cercare la gloria come Achille, quando si parla di grandi orizzonti… molto meno quando si deve pensare alla vita di ogni giorno! Naturalmente mi disse che avrebbe avuto cura di sé e che un giorno sarebbe tornato per vivere con me in un mondo libero e che altrettanto naturalmente avrei dovuto aspettarlo.    
Lo amavo come e più di me stessa… però gli dissi che se partiva doveva dimenticarsi di me: io avevo bisogno di lui come non mai proprio in quel momento; se partiva non l’avrei aspettato.
Lui partì ed io non glielo perdonai mai. Neppure oggi lo faccio.

E’ morto nel 1950… quindi sopravvisse alla guerra, magari se lo avesse aspettato…

Non solo sopravvisse alla guerra, fu addirittura decorato al valore da Sua Maestà assieme a molti altri piloti cechi, polacchi, francesi ed americani che, assieme ai colleghi inglesi, vinsero nei cieli la battaglia contro la Luftwaffe e contribuirono forse in modo decisivo alla sconfitta della Germania.
Non seppi nulla di lui fino al maggio del 1945, quando lo vidi arrivare a Sušice ancora con l’uniforme della R.A.F. addosso. La città nel frattempo era stata liberata dalle truppe americane del generale Patton.


Dagli americani? Io sapevo che la Cecoslovacchia era stata liberata dall’Armata Rossa…

Non è l’unico a crederlo si consoli… In realtà tutta la regione di Pilsen e parte della Boemia occidentale furono liberate dalle truppe della III Armata americana… probabilmente con le stesse scene di entusiasmo che si erano riscontrate in Francia o in Italia all’arrivo dei liberatori.
Nel giro di un paio di giorni quei soldati sarebbero potuti arrivare sino a Praga; il loro comandante, il generale Patton mordeva il freno… era certo di arrivare prima dei Russi e forse la storia della Boemia sarebbe stata molto diversa; invece il suo governo la pensava diversamente, gli accordi con l’Unione Sovietica prevedevano che il mio paese rientrasse nella sfera d’influenza moscovita e così, dopo pochi mesi gli americani si ritirano oltre il vecchio confine con la Germania.
Per alcune settimane regnò una feroce anarchia, dove si scatenò una vera e propria caccia al tedesco.. si dice che tre milioni di tedeschi abbandonarono forzatamente quelle terre abitate da secoli; io non so esattamente quanti fossero, ma le posso dire con certezza che non esiste più una minoranza tedesca nei Sudeti.

E Lubos? La cercò?

Certo che mi cercò! Si presentò da me come l’Eroe che ritorna dopo aver sconfitto il Drago per la sua bella… Nel vederlo non scoppiai a piangere solo perché avevo perso tutte le mie lacrime al momento della sua partenza… ma per lui lo shock fu ancora più grande, nel vedere la sua bella in attesa del secondo figlio.. e scoprire che il padre dei miei bambini era il suo vecchio amico Karel.
Karel non era un eroe, per lui non ho mai provato quello che sentivo e tutt’oggi sento per Lubos, ma non mi ha mai lasciata sola e si è sempre preso cura di me e dei bambini con amore.

Aranka fermò il suo racconto quasi spossata da quel turbine di eventi che aveva rievocato, ed ancora appoggiò la testa sulla mia spalla quasi priva di forze ed in cerca di conforto; rimanemmo immobili come due statue in quella posizione fino a che, presi il coraggio di rompere quel pesante silenzio..

Signora Aranka, a questo punto temo che dovrò chiederle cosa accadde a Lubos..

Quel famoso cuoco di cui si parlava prima aveva preparato un pessimo menù anche per lui… Lubos credo pensasse, ed in fondo lo era anche, di essere un eroe di guerra, una sorta di Ulisse che rientra ad Itaca dopo la guerra di Troia.. non solo non trovò una Penelope in paziente attesa, ma pure i Proci ebbero la meglio su di lui.. Fu arrestato nel 1949 dalla polizia segreta del Regime comunista che si era imposto con il colpo di stato voluto dai Russi nel 1948…

Arrestato? E per quale motivo? Aveva perso la testa e commesso qualche crimine?

Qualche crimine? Ma che dice... un uomo orgoglioso e forte come Lubos non ne sarebbe mai stato  capace. Fu arrestato come nemico del popolo. Si, ha capito bene, Lui un nemico del popolo cecoslovacco: il regime comunista, in quel periodo di avvio della guerra fredda, non poteva tollerare che esistesse la prova vivente che non era stata solo la gloriosa Armata Rossa ad avere sconfitto il nazismo e liberato il nostro paese.
Assieme a Lubos in quegli anni vennero arrestati e fatti sparire con quell’infamante accusa molti di coloro che avevano combattuto contro i nazisti al di fuori delle formazioni comuniste.
Lubos morì in un campo di lavori forzati dedicato alla “rieducazione” dei nemici del popolo, solo un anno dopo il suo arresto; di questo venni a conoscenza solamente qualche anno fa; io credo che riuscì a sopportare di aver perso la sua donna, ma non riuscì ad accettare che il suo paese lo considerasse un traditore… e anche per questo non riesco perdonarlo!

Le parole di Aranka vennero improvvisamente interrotte a un battimani che proveniva dalla piazza: eravamo diventati una sorta di attrazione per i passanti.. sorrisi,  pensando al desiderio di segretezza che aveva spinto Aranka a quell’abbraccio lunghissimo…

Signora Koubikova, temo che i suoi propositi di mantenere segreto questo incontro siano comporomessi…

La donna parve come risvegliarsi dalla trance in cui era caduta per tutto il racconto… aveva perso non solo il senso del tempo ma anche il contatto con la realtà per tutta quell’interminabile e surreale conversazione. Ora che aveva ripreso pieno possesso del presente, mi diede uno schiaffo, si divincolò da me come solo un’amante tradita è capace di fare, rientrò nella camera, raccolse il suo impermeabile dal letto e raggiunse velocemente la porta… prima di uscire si voltò e quasi scusandosi, con uno sguardo implorante, mi disse:

Se ne vada.. se ne vada via… non c’è più tempo… lasci questo paese al più presto!!!

E sparì nel corridoio dell’albergo; erano le 11,00 del mattino del 20 agosto 1968. Mi distesi sul letto e fissando il soffitto ripercorsi con la mente tutto il racconto di Aranka e con il corpo l’emozione  di quel contatto fisico: avevo la sensazione di aver assorbito tutte le emozioni della donna… non riuscivo però a levarmi dalla mente le sue ultime parole ed il suo ultimo sguardo.
Anche quell’irrazionale sensazione di “fine della ricreazione” che percepivo all’inizio della giornata si faceva sempre più forte e così, in fretta e furia preparai la valigia e abbandonai l’albergo.
Al calar della sera mi trovavo già al confine con l’Austria e superai i lunghi controlli senza particolari problemi; alle 22,30 mi stavo già coricando nel letto di una Gasthof nei dintorni di Linz, pensando alla follia di quella fuga da Praga per una “fine del mondo” annunciata prossima, ma di cui, al di là delle sensazioni percepite da uno strano sesto senso attivato misteriosamente da una bizzarra donna boema, non avevo avuto alcun riscontro oggettivo in tutto il viaggio di ritorno. Tutto sembrava assolutamente tranquillo, quella sera, in Cecoslovacchia…
Mentre caddi esausto tra le braccia di Morfeo, per le troppe emozioni di quella giornata, passate le 23,00,  Radio Praga iniziò a trasmettere che i Russi stavano invadendo la Cecoslovacchia con più di 6.000 carri armati...

Udine, novembre 2006

Con l’avanzare dell’età mi accorgo sempre più spesso che i miei pensieri viaggiano all’indietro, alla ricerca dei volti che hanno frequentato la mia vita. Tra i tanti, fa sempre capolino con prepotenza quello di Aranka Koubikova ed il ricordo di quella mattina di 38 anni fa su quel piccolo terrazzo affacciato su Vaclavske Nàmesti.

Le scrissi molte volte senza avere risposta e non ebbi più sue notizie, fino ad una mattina di fine novembre del 1989, quando il postino mi consegnò un pacchetto proveniente da Sušice;  lo aprii e all’interno c’era solo una scatola di fiammiferi: il retro, in piccoli caratteri, recava la scritta: “Prodotto dalle industrie Solo – Sušice (CS) – La capitale mondiale dei fiammiferi”. All’interno, tra i bastoncini trovai un foglietto arrotolato minuziosamente; lo srotolai e vi lessi: “Nel caso la sua credenza ne fosse priva – Non smetta di credere alle leggende: l’importante non è raggiungere Itaca, ma non smettere mai di correrle incontro ”.

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