Si presenti...
Mi chiamo Miroslav Berger... ma
potrei essere anche Herbert Neumann, Franjo Oblak, Mustafà Handanovic, Sandor
Sallai o Furio Grion... sono nato a Praga, in Boemia, il 12 maggio 1895, ma poco cambierebbe se fossi nato in
quell'anno a Graz, a Zagabria, a Sarajevo, a Budapest o a Pola.
Sono boemo, ma il cognome già
dice che i miei avi erano tedeschi... più precisamente ebrei di lingua
tedesca...
Si potrebbe dire dunque che
lei condivide le origini di Franz Kafka...
Certo, ma anche di molti altri! A
differenza di Kafka però, io non sono né un poeta e né sono in grado di scrivere in tedesco... di mestiere facevo il
garzone in un birrificio nel quartiere di Smichov!...Eppoi sono morto nel
maggio del 1915 lontano dalla mia Praga: più precisamente nei pressi di una
località che si chiama Cervignano, dove una granata del Regio Esercito italiano
mi fece a pezzi...
E' morto a vent'anni.. si
sentirà particolarmente sfortunato!
Lei dice? Certo mi ha dato molto
fastidio lasciare quella valle di lacrime così presto... ma non mi sento
particolarmente sfortunato, visto che ho diviso la stessa sorte di qualche
milione di miei coetanei tra il 1914 ed il 1918... ad Herbert in Galizia, a
Franjo sul Carso, a Mustafà a Caporetto, a Sandor sul Grappa e a Furio sul
Piave non è andata meglio!
Cambio la domanda
allora.. vi sentirete una generazione
alquanto sfortunata..
Non molto più sfortunata di
quella di mio nonno... che morì a Custoza nel 1866 colpito da un colpo di
cannone piemontese... per non parlare dei nonni di Herbert e Sandor, che
morirono a Sadowa, uccisi nello stesso anno dai proiettili dei prussiani...
Adesso però vorrei farle io una domanda, se me lo consente: com'è andata alla
generazione di suo nonno?
La generazione di mio nonno?
Si è persa nell'inverno del 1942 nelle pianure della Russia meridionale...
Vede? Anche lei non mi dà motivo
per far sentire la mia generazione particolarmente sfortunata... purtroppo!
Purtroppo?
Si, purtroppo. Perchè se la mia
generazione si dovesse sentire particolarmente sfortunata, vorrebbe dire che
molte altre generazioni del passato e del futuro hanno avuto sorte migliore.
Lei mi conferma che così proprio non è stato.
La mia vita terrena è stata
sicuramente breve, ma le garantisco, particolarmente intensa e vissuta in una
città meravigliosa: in questo mi sento maledettamente fortunato. Vuole forse
confrontare un'adolescenza vissuta assieme ai propri coetanei tra i vicoli
della Città d'Oro, con quella di Mustafà in un disperso villaggio sulle
inospitali montagne interne della Bosnia? Oppure è convinto che corteggiare una
cameriera nella birreria U Fleku a Praga sia eccitante come in una bettola ai
confini del Regno di Serbia? Lei crede che avere 18 anni nella città degli
alchimisti sia proprio lo stesso che compierli nella Puzsta ungherese? Mi
creda, ho di che sentirmi fortunato!
Ne prendo atto. Ma le domande
le faccio io! Sento in lei scorrere forte il sangue del nazionalismo.. una
brutta bestia, non trova? Soprattutto per chi doveva vivere in uno stato
multietnico, come allora era l'Impero Asburgico...
Si vede che lei parla e pensa
proprio come tutti i suoi contemporanei, che valutano le cose della storia con
le lenti del proprio tempo... appartenere ad uno stato multietnico non
significa rinunciare alla propria identità e a manifestare con orgoglio la
ricchezza della propria terra! Semmai significa metterla in gioco assieme a
tutte le altre, in un'armonica fusione: solo così l'intero sarà maggiore della
somma delle singole parti.
Certo, l'amore per la propria
terra e per la propria cultura e le proprie tradizioni non devono trasformarsi
nella negazione o nella sopraffazione dei valori altrui.
Quindi lei vorrebbe negare che
la prima guerra mondiale fu causata anche dal nazionalismo, dominante in tutte
le nazioni europee alla vigilia dell'attentato di Sarajevo?
Lei continua a parlare come un
libro stampato e a mettermi in bocca parole che non ho neanche pensato! Io non
ho detto questo... io ho detto solo che essere orgogliosi della propria identità
nazionale non significa essere nazionalisti! E che solo l'orgoglio
dell'appartenenza tra le varie etnie può permettere ad uno stato multietnico di
continuare a vivere ed anzi trovare in questo la sua ragione di esistere: la
pacifica e proficua convivenza tra esseri umani necessariamente diversi.
Nella mia epoca l'orgoglio per la
propria identità nazionale era degenerato in qualcosa di chiaramente pericoloso
e che voi avete definito “nazionalismo”: la negazione dell'altro per la
supremazia del nostro... in tutta Europa, e dico tutta, la mia generazione è
stata mandata al fronte tra ali di folla esultante, tra Parroci, Pastori o Pope benedicenti, tra
madri e fidanzate che lanciavano fiori!
E tutti convinti di essere
dalla parte giusta: a Vienna come a Berlino, ma anche a Parigi come a Londra e
a Mosca come a Belgrado.. Giusto?
Si questo è corretto. Questo è
potuto accadere perchè le etnie si sono chiuse in se stesse, hanno cessato di
dialogare e le “elités” intellettuali ed i governi hanno ceduto progressivamente
alle lusinghe dell'irrazionale, al mito
della supremazia, chi della propria razza, chi della propria storia e chi della
propria economia. Ma un errore ancora più grande è stato fatto alla fine di
quella carneficina.. ed è stato un errore molto grave, tale da porre le basi
per una catastrofe ancora più grande... dove ha perso la vita anche la
generazione di suo nonno... giusto?
Si riferisce alla seconda
guerra mondiale? Lei mi sembra conoscere fin troppo bene la storia europea per
essere stato il garzone di un birrificio di Smichov!
Potrei essere stato anche un
pastore bosniaco o un pescatore dalmata se per questo... ho avuto molto tempo
per osservarvi bene da quassù!! Siete cambiati si.. ma solo nel senso che fate
errori sempre diversi! E scambiate spesso le cause con gli effetti... come nel
1918, quando avete smembrato gli stati multietnici, ritenendoli colpevoli di
soffocare le identità nazionali e di aver causato la guerra.
La causa non erano gli stati
multietnici, in quanto tali, ma il diffondersi nelle elitès politiche,
economiche e culturali di tutti gli
stati di allora, di quel clima “filosofico” di cui dicevo prima e che voi oggi
chiamate come “nazionalismo”. Aver diviso l'Europa, alla fine della guerra, in
tanti piccoli stati nazionali, “ritagliati” grossolanamente e tutti
caratterizzati da una difficile convivenza tra un'etnia dominante e minoranze
assai numerose, è stato semplicemente un suicidio.
Certo, abbiamo continuato a
fare molti errori, anche dopo la fine della seconda guerra mondiale, se per
questo. Ma non può negare che oggi, grazie all'Unione Europea, abbiamo posto le
basi per una convivenza pacifica duratura tra quasi tutti i popoli
dell'Europa... forse qualcosa abbiamo imparato dallo scorso secolo.. non Le
pare?
Non voglio sembrarle pessimista
se Le dico che è presto per dirlo... sa com'è, da quassù ne ho viste talmente
tante.. e in così poco tempo! Però posso dirvi che Vi siete incamminati sulla
strada giusta... questo si... ovvero sulla costruzione di un grande Stato multietnico,
a patto però di averne compreso a fondo la missione, che è quella di dar vita
ad un'Unione dove le singole culture vengano esaltate e lasciate libere di
confrontarsi attivamente e di mescolarsi senza paura.
Concludiamo l'intervista con
la sua “benedizione” allora: siamo sulla strada giusta?
Si, l'ho appena detto... però
avete incominciato a fare già qualche passo sbagliato in questo cammino. Il
primo lo hanno fatto, al solito, le vostre “elitès”; uno Stato multietnico non
può fondare la sua ragione di essere solo sull'economia, sulla moneta o sulla
burocrazia comune. Ancora una volta gli uomini che avete scelto come guide
dimostrano di aver scambiato il fine con i mezzi.
Ma c'è un pericolo ancora più
grande che serpeggia tra di voi, nell'Europa di oggi: credere che una società
aperta e multietnica vada costruita rinunciando alle proprie singole identità,
nell'accettazione passiva dell'altro in nome di una presunta tolleranza e di
una fraterna integrazione.
La “lezione” è finita?
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