Nel settembre del 1989 mi accingevo a preparare la mia
tesi di laurea in Tecnica del commercio interno ed internazionale presso la
Facoltà di Scienze Economiche e Bancarie dell’Università degli Studi di Udine
ed il mio relatore mi propose di occuparmi di un argomento che, a suo dire, se
ben sviluppato mi avrebbe consentito di ottenere una votazione finale di
assoluto valore.
In buona sostanza dovevo
progettare, dopo uno studio preliminare dell’interscambio commerciale tra
l’Italia e la Repubblica Federale Socialista Jugoslava e dei settori
maggiormente vocati all'esportazione dei due paesi con il resto del mondo, la
realizzazione di una joint venture tra un’azienda artigiana calzaturiera di
Gonars (UD) ed una industriale di medie dimensioni jugoslava (allora) situata a
Tržič, a nord, di Lubiana.
In parole semplici gli italiani
mettevano a disposizione il design e le idee, gli jugoslavi la manodopera
presso i loro stabilimenti con lo scopo di aggredire il mercato comunitario, ed
in particolare il nord Europa con prodotti dallo stile italiano, ma a costi decisamente più competitivi.
“Vedrà, il suo sarà un lavoro in
grado di anticipare i tempi che le schiuderà interessanti prospettive di lavoro
per il suo futuro” disse il Professore, per vincere la mia titubanza verso un
lavoro che si mi appassionava, ma che temevo essere troppo in anticipo sui
tempi. Accettai e di buona lena incominciai la raccolta dei dati, visitai le
aziende, stesi il primo studio di fattibilità addirittura il professore mi
spingeva ad iscrivermi ad un corso di sloveno.
Nel giugno del 1991, quando il
mio lavoro stava faticosamente arrivando al traguardo, come tutti oggi ben
sapete fu la Repubblica Federale Socialista Jugoslava ad arrivare al capolinea.
Le armi incominciarono di nuovo a
fare sentire la loro voce dalla fine della seconda guerra mondiale ed io
dovetti prendere tutti fogli della mia tesi e
buttarli nel cestino: la caduta del muro di Berlino aveva messo in moto
un’accelerazione nella Storia, tale da far si che la mia “avveniristica” tesi
nascesse in realtà già morta.
Nell'autunno del 1991, sconsolato
dall'andamento dei miei studi, mi recai dal mio relatore per cambiare
l’argomento della tesi: lui mi propose lo stesso copione, spostando però questa
volta l’oggetto dell’analisi alla Cecoslovacchia; un “sesto senso” mi disse che
forse era il caso di venire a più miti consigli, abbandonare la ricerca del
“nuovo” e così decisi di chiedere al professore una tesi che si occupasse del
marketing nelle banche italiane; l’imperativo era diventato laurearsi al più
presto e quell'argomento mi sembrava più rassicurante: era ragionevole
attendersi che le banche non sarebbero state inghiottite dai riflussi della
storia da un momento all’altro, almeno nel 1993.
Il relatore non ne fu entusiasta,
ma di fronte al mio fermo diniego, alla fine mi assegnò l’argomento richiesto;
potete immaginare come mi sia sentito il 1 gennaio del 1993, a pochi mesi dalla
discussione della mia tesi di laurea sul mercato bancario italiano, quando la
Cecoslovacchia si dissolse anch’essa, dando vita alla Repubblica Ceca ed alla
Slovacchia.
Terminati gli studi, fui assalito
da un desiderio che è divenuto nel seguito della mia vita un imperativo: capire
perché la scelta di quella tesi mi aveva fatto “perdere” 2 anni di studio e
ritardato così il mio ingresso nel mondo del lavoro.
Iniziai così ad occuparmi della
storia del novecento dell’Europa Centro-Orientale e da questi studi è nata
l’idea di pubblicare il libro "LA TERRAZZA DI PRAGA", che racchiude, attraverso la narrazione di
vicende “immaginarie” di personaggi “immaginari”, la drammatica odissea vissuta
dalle genti di quest’area dalla fine del dominio asburgico al crollo del muro
di Berlino sino ai giorni nostri.
Un lavoro dedicato ai miei
coetanei, quelli che come me sono nati durante la metà degli anni sessanta del
‘900 in Friuli - Venezia Giulia , che hanno avuto maestri elementari formati
nella scuola del regime fascista ed hanno concluso gli studi universitari
condotti per mano da professori formati durante il ’68.
Ragazzi cresciuti convinti di
vivere in un mondo immobile, in paesi dove per 500 abitanti ce n’erano almeno
altrettanti chiusi nelle caserme, in cui i buoni stavano di qua ed i cattivi di
là di un confine vissuto come eterno.
Ragazzi che hanno visto cadere il
muro di Berlino improvvisamente addosso a loro e rimanere disorientati innanzi
all’accelerazione della storia, che oggi consente loro di andare senza
passaporto da Lisbona a Riga quando per lunghi anni era un’avventura da film di
spionaggio andare a fare il pieno di benzina a pochi chilometri da casa propria.
Ragazzi divenuti uomini senza che nessuno avesse voluto spiegare loro,
sinceramente, da dove arrivavano e che per questo, oggi, hanno molta paura nel
cercare di comprendere dove stanno andando.
Trieste, aprile 2008
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