Endlich, come avrebbe detto il suo caro amico Karl da Passau, il fondo della disperazione per Ruben era arrivato. “L’impossibile è davvero qualcosa che può accadere sempre: tanto nel bene, come si era verificato più volte in passato, quanto nel male, come oggi” rifletteva lo spagnolo, fissando il cielo sopra Pontevedra, insolitamente, beffardamente azzurro e sgombro da nubi. Il senso di vertigine era potente, così come la perdita di senso della realtà che si stava affacciando con prepotenza; per Ruben già era impresa titanica pensare che ciò che fino a ieri e per anni aveva sempre percepito come Amore Vero, potesse essere schiacciato senza rimedio da un “qualcosa”, figuriamoci quale poteva essere l’impatto su di lui della visione di Carmen, in compagnia di altri due uomini, sorridente, e che alla sua vista inattesa mutava espressione e cambiava strada pur di non incontrarlo, fingendo di non averlo neppure visto, dopo giorni e giorni di silenzio e lontananza.
A questo proprio non era preparato. Troppo brutto. Una colata di letame troppo densa per essere ingoiata senza prima riuscire a trovare un’idea, su cui confidare in seguito, nella riuscita dello smaltimento.
Il primo impulso era stato quello di correre incontro a Carmen e con tutta la voce che aveva in corpo urlarle lì, sulla pubblica piazza, in mezzo a decine e decine di persone intente a sviluppare le proprie trame quotidiane, inseguendo i propri sogni o fuggendo i propri incubi: “No, così no!” perché quel liquame avrebbe sporcato per sempre quello che Ruben aveva vissuto come Amore, quello stato indefinibile del corpo, del cuore e della mente, che puoi decifrare solo quando s’impossessa di te e che forse non si ripete più in una Vita. E per cui, liberamente, senza che nessuno te lo chieda, condividi la tua Vita. Avrebbe voluto dare la possibilità a Carmen di impedire che il ricordo della fine del loro tempo, quell’immagine che lo avrebbe accompagnato per il resto dei suoi giorni, fosse quell’istante. Temeva da tempo che quel giorno fatale sarebbe arrivato, credeva anche di esserne preparato. Invece no. A questo non si è mai “preparati”. E invece Ruben si piantò, lì. Fermo. Immobile, come il Cristo crocefisso che lo stava fissando in cima al Cruceiro di Praza das cinco Rùas. Probabilmente si sarebbe fatto mutilare, pur di avere un’immagine finale meno orrenda da portare con sé per il resto del “Cammino”, di come e di dove lo avevano condotto immani sforzi e tante sofferenze nel corso degli ultimi anni.
Non era pronto. Doveva arrivare la mattina di quel 28 maggio, il mese delle rose, per fargli capire quanto cieco e sordo era stato. Di quante tonterias si era raccontato da solo. La tremenda rabbia che sembrava avergli riempito lo stomaco di lava incandescente e che aveva contratto tutti i suoi muscoli come se dovessero prepararsi a combattere contro un branco di lupi della Sierra de la Culebra, stava mutando in qualcosa di diverso.
Indietreggiò e si lasciò cadere pesantemente su di una delle sedie della taverna che faceva angolo con Rùa Isabel II; ora si sentiva completamente vuoto: quell’ondata tracimante di rabbia aveva “cannibalizzato” ogni sua energia, ciò che restava era appena sufficiente al cuore per continuare a battere, più rallentato, e ai polmoni di funzionare a singhiozzo. Non avrebbe fatto nulla. Non l’avrebbe rincorsa. Non le avrebbe chiesto nulla. L’Amore è Libertà. E’ scelta. Lei aveva scelto, in modo brutale, forse, ma aveva scelto di scendere da quel treno in folle corsa. La luce accecante che s'irradiava dal Sole e da quel cielo senza nubi arrivava sempre con più fatica agli occhi di Ruben, che iniziava a vedere gli oggetti in maniera sempre più grigia e sfuocata. Prima di perdere completamente i sensi, si ricordò una battuta udita anni prima al cinema, dal protagonista del film: “se Lei lo vuole, lasciala andare. Se tornerà entro tre giorni non se ne andrà più, altrimenti l’avrei persa per sempre, perché comunque, mai, era stata tua.” Si, non l’avrebbe più cercata: dal nulla una mattina di novembre era spuntata in Praza das cinco Rùas e proprio lì, nel nulla, era ritornata. Non prima di aver trasformato ciò che un tempo era la vita di Ruben, nel suolo di Nagasaki dopo lo scoppio della seconda bomba atomica. Poi calò il buio più fitto, mentre Ruben si addormentò, cadendo in un sonno simile alla Morte.
Tre giorni dopo si risvegliò. Era in un letto d’ospedale. A fianco al suo letto, nessuno. Un’altra Vita lo attendeva.
Nessun commento:
Posta un commento