“Cividale del Friuli, 9 ottobre 2018
Da alcuni anni siamo tutti immersi, più o meno consapevolmente come
attori e spettatori, in una profonda trasformazione delle forme di
comunicazione tra esseri umani e di conseguenza nella modalità di relazione
provocata dagli sviluppi tecnologici che, con ritmi sempre più impetuosi,
oramai sono penetrati in ogni momento e in ogni angolo delle nostre vite.
Personalmente sento il bisogno di salvaguardare degli spazi di umanità
che ci possano mettere un po’ al riparo da tutta questa comunicazione mediata
da mezzi artificiali e dalle conseguenze non sempre positive di questa modalità,
non per sostituirla, ma per integrarla affinché le nostre competenze
relazionali e di socializzazione di tipo “tradizionale” ed eminentemente “umano”
non vadano irrimediabilmente perdute per sempre.
Sono a proporvi di individuare un momento spazio-temporale settimanale
in cui poter condividere con sistematicità la nostra umanità nella forma più
autentica e antica dissertando intorno del tema del Viaggio, inteso sia in
senso filosofico e metaforico che in senso più ampio e prosaico. Magari con
l’aggiunta di un bicchiere di buon vino…
Una sorta di circolo ellenico, insomma, in cui ciascuno dei
partecipanti possa portare i propri pensieri, le sue esperienze su di un tema
generale di interesse comune – il Viaggio appunto - e condividerlo con gli
altri in vista di una sintesi collettiva e che magari poi sia in grado di
accrescere il patrimonio di tutti.
Ho pensato ad una sorta di “Ordine dei Viaggiatori”.
Mi rivolgo a Te perché penso che tu possa essere interessato dal
progetto, farne parte in concreto arricchendolo con la tua sensibilità,
esperienza e conoscenza.”
Meno di due anni fa scrissi
questa sorta di “manifesto”, perdendo subito la voglia di pubblicarlo. Non era
finito nel cestino, come tante idee bizzarre o coraggiose, ma rimasto
archiviato in un cassetto o per meglio dire, in una cartella dimenticata del
computer. Appunto.
Facendo le pulizie sul disco è
tornato a galla in questo periodo e mi sono fatto una sonora risata. Meno male
che è rimasto nascosto. La realtà di questi ultimi mesi avrebbe reso quel
circolo “ellenico” un’associazione segreta fuori legge per tutte le polizie d'Europa, al pari della Carboneria durante il Risorgimento e non solo un allegro convivio di aspiranti Don Chisciotte.
La ben nota pandemia ha dato
forse un colpo mortale a quel disegno, “incoronando” la comunicazione
tecnologicamente mediata tra esseri umani come la forma “naturale” di
socialità. Senza ritorno.
Lezioni on-line, udienze on-line,
riunioni on-line, aperitivi on-line, amori on-line…
Meno male, diranno i più: senza
internet il mondo si sarebbe fermato del tutto e la pandemia avrebbe mietuto
ancora più vittime senza il distanziamento sociale, che in qualche modo la rete
ha attenuando surrogando praticamente qualsiasi forma di attività condivisa o
condivisibile.
E lo dico anch’io.
Quello che mi turba è che tutto
questo “on-line” non sia percepito dai più come una formidabile scialuppa di
salvataggio che ci dovrebbe traghettare in qualche modo – e al più presto - di
nuovo a riva, dopo che una burrasca ha fatto colare a picco “la barca” in mare
aperto, ma bensì il mezzo di trasporto da non abbandonare, con il fine di vagare
lontano da terra per sempre.
Leggere che qualcuno propone con
entusiasmo e convinzione che udienze nei tribunali, lezioni a scuola, lavoro
negli uffici debba avvenire “normalmente da remoto”, a prescindere dal sussistere
o meno di un’emergenza sanitaria, e che la riunione “fisica” tra persone debba
diventare “l’eccezione da evitare come la peste” alla regola dello smart
working, mi provoca un profondo malessere.
Forse quel dimenticato “manifesto”
è destinato ad avere un valore rivoluzionario in un prossimo futuro, perché se
in un tempo definito i morti della pandemia saranno contabilizzati con evidenza
scientifica, le perdite umane del distanziamento sociale, iniziato ben prima
del Covid-19, saranno tutte da calcolare. E, temo, non saranno poche.
Lo so, le mie sono farneticazioni
di un nostalgico appassionato delle code allo sportello per presentare un
documento e che non nutre nessun entusiasmo nel fissare in solitudine lo schermo bloccato
di un pc o di uno smartphone, parlando nel frattempo con il guru informatico di
turno, per capire perché un sito è regolarmente “in palla” durante un “click-day” e soprattutto quale "magia" attivare per sbloccarlo.
L’augurio sincero, per tutti gli
amanti dello smart working è di leggerlo bene, non omettendo la “a”.
Altrimenti diventa smrt working.
Che, invariabilmente, in tutte le
lingue slave significa “morte” del “working”.
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