martedì 1 luglio 2025

INCUBI DISSOLTI ALLA QUESTURA




La luce filtrava già dalle finestre, illuminando la sala d’attesa della Questura di Firenze. Erano da poco passate le otto, ma l’aria sapeva già di rinuncia: sudore, scartoffie e caffè bruciato dal distributore automatico. Su una delle sedie di plastica grigia, una ragazza scrollava nervosamente il piede, le mani serrate sul cellulare. Il viso era bello, giovane, acceso da una rabbia ostinata.

«È un incubo… davvero, un incubo. Ho preso un giorno di permesso solo per questo. Il volo è tra tre giorni e quella là, quella stronza con l'aria da "perenne lunedì mattina", più simpatica di un mal di denti mi liquida con un “Il sistema è in blocco da ieri sera, non possiamo procedere con le consegne”. Ma ti rendi conto? Siamo ostaggi di una burocrazia che nemmeno funziona!»

Accanto a lei, seduto con la calma tipica di chi non ha più nulla da dimostrare, un signore elegante, sulla settantina, si sistemò gli occhiali e sorrise.

«Ti capisco, ragazza mia. Io sono qui invece per denunciare lo smarrimento della carta d’identità. La terza volta, se contiamo anche quella finita in lavatrice. Ma almeno… grazie a questa coda ho socializzato con una ragazza giovane. Evento da festeggiare, alla mia età. Già i miei nipoti mi snobbano in maniera permanente, salvo Pasqua e Natale.»

Lei lo guardò, combattuta tra il sarcasmo e un sorriso vero.

«Lei la prende sul ridere, alla sua età e con le sue certezze se lo può permettere. Beato lei.»

«No, no. Non la prendo sul ridere. La prendo da lontano. Che è diverso. Eppoi, mi permetto di darti del tu,  sai qual è l'età migliore? Come diceva Gasmann ne "Il Sorpasso" - l'età migliore è quello che uno c'ha, fin non si schiatta, si capisce.»

La ragazza tornò a fissare il cellulare, ma poi alzò di nuovo lo sguardo, come se qualcosa nelle parole del vecchio avesse trovato un appiglio.

«Io... non riesco a pensarla così,  a prenderla da lontano. È come se ogni cosa fosse sul punto di crollare, sempre. Il lavoro è precario, le relazioni pure, e adesso anche i passaporti… Tutto digitalizzato, tutto instabile, tutto fuori dal nostro controllo: è un mondo ricco e generoso solo nel distribuire illusioni  e io mi ritrovo sempre più spesso a ripetere: mi mancano le certezze, mi mancano le certezze!»

L’anziano annuì piano, poi si voltò a guardarla con uno sguardo più intenso, come se avesse aspettato quel momento per dire qualcosa che gli stava dentro da tempo.

«Sai, quando ero più giovane, vivevo con la paura che accadesse qualcosa che mi stravolgesse la vita in maniera definitiva. La perdita del lavoro, qualcuno o qualcosa che mandasse all'aria la carriera, una malattia, l’addio di una persona cara: erano incubi ricorrenti, sempre lì, sul fondo della mente. E quando qualcosa di tutto ciò è realmente successo… sì, mi ha fatto male, ma non era più un incubo: era diventato realtà e una cosa vera la si può affrontare. Si abita. Si attraversa. Quando l’incubo diventa realtà, cessa di essere un incubo e finalmente hai di nuovo la tua vita in mano, scoprendo energie che neppure sospettavi di avere.»

La ragazza lo fissò. Qualcosa si incrinò dentro di lei — non la rabbia, ma la sua inutilità.

«Dice sul serio?»

«Assolutamente. L’incubo paralizza perché è sospeso mentre la realtà, anche quando è dura, è concreta. Ti obbliga a muoverti, ti costringe a scegliere, a cambiare, e in quel momento — paradossalmente — torni libero. Non sei più prigioniera della paura che succeda qualcosa. È successo. E tu ci sei ancora.»

«È… potente, quello che ha detto.»

L’anziano fece un gesto con la mano come a dire: “Macché potente, , è solo sopravvivenza.” Poi sorrise.

«Sai cosa invece mi manca davvero, ora che tu dici che ti mancano le certezze,  le mie certezze?»

Lei lo guardò, curiosa.

«Le illusioni. Mi mancano le tue illusioni.»

Un attimo di silenzio. La ragazza rise, non forte, ma vera. Quel tipo di risata che non cambia la giornata, ma cambia come la guardi.

Dall’altoparlante gracchiante arrivò una nuova chiamata. Nessuno dei due si alzò.

Poi, con un’espressione più calma, quasi leggera, la ragazza parlò:
«Sa che le dico? Il passaporto e il Kenia possono aspettare. Prenderò il treno e andrò con la carta d'identità fino in Normandia, ora che ci penso ho sempre voluto attraversare le Alpi in carrozza, vedere i paesi cambiare fuori dal finestrino, arrivare a Mont Saint-Michel e mangiare poi ostriche a Cancal... »

L’uomo la guardò con un certo stupore divertito. «E allora cerca di non perdere la carta d'identità come me! buon viaggio! E mi raccomando, ricordati: vai tranquilla e vai serena, qualsiasi cosa accada non ne fare un dramma,  tutt’al più ti arrangerai!”




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