La sala biliardo del Bar "Ai Birilli Bevuti", nei primi anni ’80, era un regno di fumo, caffeina, vino sfuso, sogni appena sbocciati e desideri sopiti o sepolti, odore di ormoni maschili in gioventù e di sudore adulto figlio di lavori usuranti. Il juke-box lampeggiava come un semaforo epilettico, lo Space Invaders gracchiava guerre spaziali perennemente perse, e il tavolo da ping pong sembrava un altare pronto ai sacrifici pomeridiani.
Giffoni, Remfutti e Leonardo—tre liceali sedicenni con più interrogazioni arretrate che speranze di vita lunga—entravano sempre al crepuscolo, dopo aver finto di aver fatto svogliatamente i compiti pomeridiani, col terrore nei muscoli e la vaga speranza che quel giorno i bulli avessero trovato qualcun altro da tormentare.
Ma la puntualità degli dei non sbaglia mai.
A un certo punto, la porta sbatté e comparvero loro: Bruto, Torace di Pietra, massiccio come una colonna dorica, e Smilzo, dalla Voce Sfumata, alto, magro e con un timbro gutturale che faceva diventare moscie tutte le consonanti. Muratori di professione, filosofi della prepotenza per vocazione.
— Fermi! — tuonò Bruto, Torace di Pietra, sollevando una stecca come fosse la clava di un eroe antico. — Giù le biglie! Oggi si balla!
I tre si scambiarono occhiate di panico, pronti a essere sacrificati al dio del funky, ma rimasero immobili, tentando la via della resistenza passiva, tanto cara al Mahatma Gandhi.
Smilzo, dalla Voce Sfumata, già picchiettava sul juke-box, che rispose sputando a volume assassino “Give Me The Night” di George Benson.
— Allora!?! — sbroccò subito lo Smilzo, con un comando che rimbalzò sui ragazzi come un ordine perentorio, come l'ordine di un Obersturmfuher delle SS in un campo di prigionia — GIFFONI, HO DETTO BALLA!!! —
Giffoni, amante dei classici, cercò di ispirarsi al suo eroe preferito, Odisseo, utilizzando una presunta fine astuzia per vincere, come il Re di Itaca, la brutalità del Ciclope.
— Se devo ballare, posso almeno… scegliere io la musica?
— Concesso.
Allora Giffoni, con lo stesso sorriso di Ulisse che porge il vino al Ciclope per ubriacarlo, si avvicinò al Juke-box, infilò le 200 lire nella buchetta e pigiando sui tasti R e 9 fece la sua scelta: “Please Don’t Go” dei KC & The Sunshine Band. Un lento. Lentissimo. Una mossa che sembrava invincibile: il Ciclope era stato ubriacato e pronto per essere accecato!
I due bulli si guardarono senza scomporsi. Sorrisero.
— Bene — decretò Smilzo, dalla Voce Sfumata. — Giffoni e Remfutti: BALLATE!!. Adesso!
Remfutti guardò Giffoni con uno sguardo carico di muto rimprovero, simile a quello di Ettore quando scoprì che Paride aveva rapito e nascosto Elena nella nave che da Sparta li riportava a Troia dopo la visita a Menelao.
Allora!?! — tuonò di nuovo lo Smilzo, assumendo la postura e il ringhio di Caronte nei confronti di due dannati recalcitranti nel salire sulla barca che attraverso l'Acheronte li deve condurre nella Città Dolente, nell'Etterno Dolore — GIFFONI e REMFUTTI, HO DETTO BALLATE!!! —
I due, irrigiditi come lampioni, otorto collo si cinsero le spalle e iniziarono a dondolare come due giraffe stordite. Il bar esplose in una risata collettiva. Il barista, con la voce ingolata che sembrava parlare da un pozzo, gorgheggiando rideva fino alle lacrime.
Quando la tortura terminò, Smilzo non era ancora sazio e Bruto non stava nella pelle dalla voglia di dare una lezione ancora più memorabile per punire quel tentativo di insubordinazione.
— Adesso… nell’arena! — proclamò Bruto dal Torace di Pietra, aprendo la porta che portava al corridoio dei bagni.
Dietro, l’altra porta conduceva al campo da bocce, dove il padrone teneva Dingo, un cane lupo che abbaiava a un chilometro di distanza, feroce come un guardiano dell'Ade e al cui confronto Cerbero sarebbe parso un affettuoso cocker spaniel inglese.
— GIFFONI, REMFUTTI E LEONARDO! I GLADIATORI NELL'ARENA! — tuonò Smilzo, dalla Voce Sfumata, con solennità pari all'araldo che annunciava all'Imperatore Diocleziano l'entrata dei malcapitati cristiani all'interno dell'Anfiteatro Flavio, pullulante di Tigri bianche giunte appositamente da Oriente.
Prima che Dingo li raggiungesse, Bruto riaprì la porta e li tirò dentro tra le risate fragorose degli avventori. Dingo rimase a ringhiare, offeso di non aver avuto la cena.
Quando tutto fu compiuto, Smilzo sbuffò:
— Adesso basta. Mi avete rotto i coglioni! ARIAAAAAAAA!!!
Cacciati come foglie al vento, i tre liceali uscirono senza voltarsi, mentre Bruto, Torace di Pietra, e Smilzo, dalla Voce Sfumata, si misero a giocare a biliardo, discutendo di traiettorie e colpi con la serietà di due filosofi greci invitati alla casa di Platone per un Simposio.
E così, in quell'umida e nebbiosa serata invernale nel bar "Ai Birilli Bevuti", nacque un’altra leggenda di prepotenze, timori e umiliazioni: una delle tante destinate a essere raccontate tra risate, imprecazioni assieme all'imperitura memoria di un juke-box finito al macero e a quella di Dingo, ricongiuntosi ormai da molti anni a Cerbero, per mordere dannati nei pressi della città di Dite.
E a quella dell'Arena di Bruto e Smilzo, trasformata oggi in una ridente e chiassosa balera.


Grazie Giuseppe per i tuoi affascinanti testi, pari ad un improvviso raggio di sole!
RispondiEliminaGrazie a te per la cortesia e la pazienza di leggere. :-)
Elimina