I tre liceali — Giffoni, Remfutti e Leonardo — assistevano immobili, raccolti in un silenzio liturgico. Nessuno dei tre osava fiatare: lo sguardo dello Smilzo bastava a zittire l'intero bar, figurarsi tre sedicenni che speravano solo di non diventare bersaglio di nuove angherie.
La partita sembrava ormai segnata. Smilzo era a un tiro dalla vittoria e il suo sorriso era quello di chi pregusta il trionfo. Si fermò un istante, guardò gli spettatori, poi Bruto, poi di nuovo le biglie sul panno verde. Poi gli venne l'idea geniale, perchè non voleva solo vincere, ma addirittura stravincere, il confronto con il compare e quindi, con una teatralità che avrebbe fatto invidia a Vittorio Gassman, annunciò:
— Esco con Giffoni!
E quel sottile cinismo adolescenziale, fatto di istinto di sopravvivenza, prese forma in un mezzo sorriso appena dissimulato.
Smilzo gli porse la stecca come si consegna un’arma sacra a un prescelto condannato a morte.
Giffoni, che di biliardo a goriziana ne sapeva quanto un giostraio dei canti gregoriani, si avvicinò tremante al tavolo. Cercò di darsi un tono, respirò, fece cenno di misurare l’angolo come aveva visto fare ai "professionisti", poi, tradito dall’emozione e dall’assoluta ignoranza del gioco, tirò.
Il risultato fu un disastro che pareva studiato a tavolino da qualche demone burlone. Fu un disastro epocale. La biglia battente si mosse a caso, pagò tutto quello che poteva pagare, fece danni irreversibili alla reputazione del tiratore e, per sicurezza, si infilò pure in buca come un suicidio sportivo. Bruto, incredulo, esplose in una risata così forte che fece vibrare i bicchieri del bancone.
Smilzo rimase invece senza parole per tre lunghi secondi, poi urlò portandosi le mani ai capelli:
— Ah Puffana!! Tutti! Li ha bevuti tutti!
La frase rimbalzò tra i muri del bar come un proiettile di gomma, sancendo ufficialmente la colpa di Giffoni e la punizione che ne sarebbe seguita.
Remfutti, fiutando l’escalation pericolosa, non attese conferma e si dileguò fuori dal bar con la rapidità di un ladro di polli inseguito dai carabinieri.
Leonardo lo guardò sparire, geloso della fuga, ma era troppo tardi.
Senza attendere un istante, infatti, lo Smilzo ordinò:
— Giffoni! Leonardo! Venite qui! Nei bagni! Subito!
I due obbedirono istantaneamente, sospinti dall’istinto di sopravvivenza più che dall’autorità morale del loro carnefice. Una volta dentro, la porta si chiuse con un secco clangore. Sopra il battente, la famigerata feritoia — trampolino di mille torture acquatiche — li osservava come l’occhio di un idolo crudele.
Dall’esterno riecheggiò l’urlo trionfante di Smilzo:
— Perturbazioni in arrivo!
Giffoni e Leonardo, che per una volta avevano fiutato l’inganno prima che si concretizzasse, si accovacciarono subito contro la porta, stretti uno all’altro, riducendo al minimo l’area esposta al fuoco nemico.
La prima secchiata esplose nel bagno con la forza di un monsone. Poi vennero la seconda e la terza, ma nessuna li raggiunse: l’acqua si spandeva sul pavimento come un’onda impotente. Smilzo, insospettito dal silenzio, aprì la porta d’un colpo, pronto a godersi il risultato della propria opera.
Li trovò perfettamente asciutti.
Rimase interdetto, quasi offeso dalla loro astuzia improvvisa. E in quel brevissimo attimo di smarrimento, i due liceali partirono come fulmini: scivolarono di lato, sfilarono via dal bagno e fuggirono verso l’uscita, correndo tra i tavoli tra le risate isteriche di Bruto che li inseguiva urlando metà minacce e metà insulti.
Passarono alcuni giorni. Giffoni, che viveva nell’ansia di incontrare Smilzo, si muoveva per il paese con l’aria di chi teme costantemente un agguato. Ma il destino, come sempre inflessibile, presentò il conto una mattina davanti alle scuole elementari.
— Vieni qui! — tuonò la Voce Sfumata alle sue spalle.
— Siediti sul monumento! — disse lo Smilzo indicando il monumento d'arte contemporanea che troneggiava nel piazzale antistante l'edificio scolastico.
Giffoni obbedì. Si arrampicò sul basamento e rimase seduto, esposto allo sguardo di mamme, bambini, maestre e pensionati che passavano, ognuno dei quali si chiedeva perché quel ragazzo fosse seduto sul monumento come un santo laico in attesa della beatificazione.
— Mezz’ora. Senza muoverti. — decretò Smilzo, soddisfatto, prima di allontanarsi con passo trionfale.
Giffoni rimase immobile, con le mani sulle ginocchia, mentre intorno a lui la vita del paese scorreva come se fosse tutto normale. Nel frattempo, i suoi pensieri cominciarono a fluire con la dignità di un'Assemblea di Classe — cioè pochissima.
Perfetto, pensò. Sono diventato un’installazione artistica. “Ragazzo Seduto con Paura” — opera anonima, tecnica mista: metallo, jeans e umiliazione.
Ironia della sorte volle che quello fosse un monumento eretto in memoria delle vittime della Resistenza al nazifascismo.


E’ sempre fantastico sentire questo racconto, conosco il fatto da più di quarant’anni e conoscendo bene tutti i soggetti, oggi è ancora più bello riviverlo in un flash back!
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