La notte parigina si adagiava molle sopra i tetti, come un vecchio mantello steso a coprire i rumori elettrici dei droni e gli schermi pubblicitari danzavano sui muri grigi con una luce livida, e il cielo, filtrato dalle polveri riflettenti, restituiva una luminosità opaca, quasi lunare.
Nathan, giovane americano di Boston appena laureato in letteratura francesce ad Harvard, sedeva sul letto di una stanza al dodicesimo piano dell’Hôtel Nouvelle Concorde, nel cuore del Marais. In mano, stringeva una guida turistica sgualcita: “Paris for Wanderers – 2025 Edition”. L’aveva comprata quella mattina alla Librairie Mémoire Perdue, una bottega anacronistica immersa nel tempo, dove l’odore della carta vecchia si mescolava a quello del muschio e del rame.
Claire, la sua fidanzata francese originaria di Carcassone e studentessa di Ingengeria robotica conosciuta qualche anno prima ad Harvard, era distesa accanto a lui, i capelli scuri sparsi sul cuscino come linee d’inchiostro.
Il foglietto era scivolato tra le pagine di quella vecchia guida come un seme dimenticato. Nathan l’aveva raccolto quasi con timore. Non era carta comune, era una carta che aveva attraversato il tempo, e forse anche la mente e il dolore di qualcuno.
Sul bordo inferiore, una scritta a penna indicava:
Berlin, Mitte, Weinbergspark, 28th August 2017
Nathan lesse la poesia a voce alta, mentre Claire lo ascoltava in silenzio.
Once upon a time
there was a Wall.
Impossible to overcome.
One day it suddenly crumbled apart.
Its bricks moved over heads.
The Wall became invisible
to whom was not.
Once again it divided
separated, tore apart and distinguished.
Until it makes all unbearable again.
Then it comes the Day.
Finally the contact would come possible.
Where? How?
Always at the boundaries.
Berlin, Mitte, Weinbergspark, 28th August 2017
Il silenzio che seguì era denso, saturo. Fuori dalla finestra, Parigi non era più la Parigi che forse aveva conosciuto l'autore della poesia: era un organismo pulsante, metallico, ordinato come una ragnatela meccanica. I droni di sorveglianza si muovevano su traiettorie luminose. I pannelli sulle facciate trasmettevano immagini emotivamente calibrate per ciascun quartiere. L'aria era stabile, ma artificiale e una voce pubblica, dolce e uniforme, annunciava ogni ora: «Il livello di armonia sociale è soddisfacente. Continuate a collaborare per una convivenza ottimale.»
Claire, accovacciata accanto a lui con il mento appoggiato al ginocchio, ruppe il silenzio.«"Once upon a time there was a Wall…" sembra quasi una favola, no? Un inizio antico.»
«Sì… ma poi diventa subito freddo. Invalicabile. "Impossible to overcome."»
«Il Muro… Cos'era per chi l’ha scritto? Forse non solo Berlino. Forse era ovunque.»
Nathan scosse il capo.
«No, aspetta. Leggi questa parte: "Its bricks moved over heads." Non è solo caduto. I mattoni sono passati sopra le persone. Come se la violenza fosse diventata invisibile… ma continuasse.»
Claire chiuse gli occhi.
«E poi: The Wall became invisible to whom was not. Chi non era cosa? Che significa secondo te?»
«Forse chi non era il muro… non lo vedeva più. O forse chi non era consapevole. È ambiguo. Ma potente. Una riga sola, e ti fa pensare al fatto che spesso solo chi ha sofferto riesce a vedere il dolore.»
Claire mormorò:
«E poi dice: Once again it divided, separated, tore apart and distinguished. Come se il muro invisibile fosse ancora più feroce del precedente.»
Nathan fece una pausa.
«Fino a rendere tutto insopportabile. Until it makes all unbearable again. Mi chiedo cosa avesse visto quella persona per scrivere una cosa del genere. Cosa l’aveva spezzata.»
Nathan si voltò verso Claire.
«Secondo te… chi l’ha scritta?»
Claire lo guardò, pensierosa.
«Una donna, secondo me.»
«Davvero?»
«Sì. Una donna sola. Forse anziana. Forse seduta su una panchina di quel parco, a Berlino. Una che ha visto un cambiamento enorme, ma poi ha capito che non era affatto la fine di qualcosa, solo l’inizio di un’illusione.»
Nathan sorrise appena.
«Io invece me lo immagino diverso.»
«Dimmi.»
«Un uomo. Forse giovane. Cresciuto dopo la caduta del Muro, ma con dentro la memoria tramandata. Forse un figlio di chi è stato diviso. Un artista, magari, o un programmatore che ha smesso di credere nel suo lavoro.»
«Un programmatore poeta?»
«Perché no? I veri rivoluzionari hanno sempre abitato in più mondi.»
Claire si alzò, si avvicinò alla finestra. Parigi, da lassù, era solo grigia: i giardini erano sintetici, gli alberi crescevano in base alle esigenze energetiche e non c’era odore di terra. Il rumore dell’acqua era trasmesso in loop nei parchi urbani per illudere la mente. Tutto era progettato per la sicurezza e l’efficienza. Nessuno si toccava più: il contatto fisico richiedeva autorizzazione e registrazione.
Persino i baci erano stati standardizzati da una carta comportamentale consensuale.
Claire sorrise.
«E se ci baciassimo senza consenso digitale?»
«Due giorni di restrizione di movimento.»
«E se urlassimo?»
«Anomalia comportamentale. Analisi psico-profilo. Segnalazione ai tuoi supervisori emotivi.»
Claire scosse la testa.
«E pensare che nel 2010… la gente si stringeva nei concerti. Gridava. Sudava insieme. Non esistevano scanner neurali nei musei. I bambini correvano nei cortili.»
«Lo dici come se lo ricordassi.»
«Lo dico come se lo sognassi.»
Nathan tornò al foglietto. Lo rilesse per la terza volta. Poi disse:
«Il muro è ancora qui. Solo che non lo vediamo. È fatto di comfort, di algoritmi che ci danno solo ciò che ci piace, di strumenti che ci risparmiano la fatica di dubitare.»
Claire si sedette accanto a lui.
«E pensare che chi ha scritto questa poesia sembra proprio avesse già capito tutto: i mattoni si sono sollevati sopra le nostre teste e sono diventati invisibili. Ma non meno reali.
«Ti rendi conto che questa persona—chiunque fosse—stava parlando di noi? Del nostro tempo?»
«Sì. E ci ha lasciato un messaggio, una domanda implicita: dove sono i confini? Dove può avvenire il contatto?»
Nathan sospirò.
«Ai margini, dice la poesia.»
Claire annuì.
«Siamo noi, allora. I margini. I ribelli silenziosi. Gli osservatori. I poeti.»
La stanza si fece più scura.
Il mondo fuori si piegava nella sua routine luminosa.
Nathan prese carta e penna—cose che quasi nessuno usava più—e scrisse.
We didn’t cross the wall.Claire lo guardava in silenzio.
The wall crossed into us.– Paris, 15th May 2089
«Forse anche noi dovremmo scrivere qualcosa. Lasciare un segno per chi verrà.»
Chiese Claire, in tono canzonatorio.
La richiuse con delicatezza.
«Domani torniamo alla libreria.»
«E la lasciamo lì.»
«Per qualcuno che sappia vedere oltre il vetro.»
«Per chi sa vedere ancora oltre il muro invisibile, per chi vive ancora ai margini.»