giovedì 15 maggio 2025

PARIGI, 2089

La notte parigina si adagiava molle sopra i tetti, come un vecchio mantello steso a coprire i rumori elettrici dei droni e gli schermi pubblicitari danzavano sui muri grigi con una luce livida, e il cielo, filtrato dalle polveri riflettenti, restituiva una luminosità opaca, quasi lunare.

Nathan, giovane americano di Boston appena laureato in letteratura francesce ad Harvard, sedeva sul letto di una stanza al dodicesimo piano dell’Hôtel Nouvelle Concorde, nel cuore del Marais. In mano, stringeva una guida turistica sgualcita: “Paris for Wanderers – 2025 Edition”. L’aveva comprata quella mattina alla Librairie Mémoire Perdue, una bottega anacronistica immersa nel tempo, dove l’odore della carta vecchia si mescolava a quello del muschio e del rame.

Claire, la sua fidanzata francese originaria di Carcassone e studentessa di Ingengeria robotica conosciuta qualche anno prima ad Harvard, era distesa accanto a lui, i capelli scuri sparsi sul cuscino come linee d’inchiostro.

Il foglietto era scivolato tra le pagine di quella vecchia guida come un seme dimenticato. Nathan l’aveva raccolto quasi con timore. Non era carta comune, era una carta che aveva attraversato il tempo, e forse anche la mente e il dolore di qualcuno.

Sul bordo inferiore, una scritta a penna indicava:

Berlin, Mitte, Weinbergspark, 28th August 2017

Nathan lesse la poesia a voce alta, mentre Claire lo ascoltava in silenzio.

Once upon a time

there was a Wall.
Impossible to overcome.
One day it suddenly crumbled apart.
Its bricks moved over heads.
The Wall became invisible
to whom was not.
Once again it divided
separated, tore apart and distinguished.
Until it makes all unbearable again.

Then it comes the Day.
Finally the contact would come possible.
Where? How?
Always at the boundaries.

Berlin, Mitte, Weinbergspark, 28th August 2017

Il silenzio che seguì era denso, saturo. Fuori dalla finestra, Parigi non era più la Parigi che forse aveva conosciuto l'autore della poesia: era un organismo pulsante, metallico, ordinato come una ragnatela meccanica. I droni di sorveglianza si muovevano su traiettorie luminose. I pannelli sulle facciate trasmettevano immagini emotivamente calibrate per ciascun quartiere. L'aria era stabile, ma artificiale e una voce pubblica, dolce e uniforme, annunciava ogni ora: «Il livello di armonia sociale è soddisfacente. Continuate a collaborare per una convivenza ottimale.»

Claire, accovacciata accanto a lui con il mento appoggiato al ginocchio, ruppe il silenzio.

«"Once upon a time there was a Wall…" sembra quasi una favola, no? Un inizio antico.»
«Sì… ma poi diventa subito freddo. Invalicabile. "Impossible to overcome."»
«Il Muro… Cos'era per chi l’ha scritto? Forse non solo Berlino. Forse era ovunque.»

Nathan scosse il capo.
«No, aspetta. Leggi questa parte: "Its bricks moved over heads." Non è solo caduto. I mattoni sono passati sopra le persone. Come se la violenza fosse diventata invisibile… ma continuasse.»

Claire chiuse gli occhi.
«E poi: The Wall became invisible to whom was not. Chi non era cosa? Che significa secondo te?»
«Forse chi non era il muro… non lo vedeva più. O forse chi non era consapevole. È ambiguo. Ma potente. Una riga sola, e ti fa pensare al fatto che spesso solo chi ha sofferto riesce a vedere il dolore.»

Claire mormorò:
«E poi dice: Once again it divided, separated, tore apart and distinguished. Come se il muro invisibile fosse ancora più feroce del precedente.»

Nathan fece una pausa.
«Fino a rendere tutto insopportabile. Until it makes all unbearable again. Mi chiedo cosa avesse visto quella persona per scrivere una cosa del genere. Cosa l’aveva spezzata.»


Nathan si voltò verso Claire.
«Secondo te… chi l’ha scritta?»
Claire lo guardò, pensierosa.
«Una donna, secondo me.»
«Davvero?»
«Sì. Una donna sola. Forse anziana. Forse seduta su una panchina di quel parco, a Berlino. Una che ha visto un cambiamento enorme, ma poi ha capito che non era affatto la fine di qualcosa, solo l’inizio di un’illusione.»

Nathan sorrise appena.
«Io invece me lo immagino diverso.»
«Dimmi.»
«Un uomo. Forse giovane. Cresciuto dopo la caduta del Muro, ma con dentro la memoria tramandata. Forse un figlio di chi è stato diviso. Un artista, magari, o un programmatore che ha smesso di credere nel suo lavoro.»
«Un programmatore poeta?»
«Perché no? I veri rivoluzionari hanno sempre abitato in più mondi.»

Claire si alzò, si avvicinò alla finestra. Parigi, da lassù, era solo grigia: i giardini erano sintetici, gli alberi crescevano in base alle esigenze energetiche e non c’era odore di terra. Il rumore dell’acqua era trasmesso in loop nei parchi urbani per illudere la mente. Tutto era progettato per la sicurezza e l’efficienza. Nessuno si toccava più: il contatto fisico richiedeva autorizzazione e registrazione.
Persino i baci erano stati standardizzati da una carta comportamentale consensuale.

«Ti rendi conto,» mormorò Nathan, «che se uscissimo adesso e iniziassimo a ballare per strada… verremmo fermati entro tre minuti?»
Claire sorrise.
«E se ci baciassimo senza consenso digitale?»
«Due giorni di restrizione di movimento.»
«E se urlassimo?»
«Anomalia comportamentale. Analisi psico-profilo. Segnalazione ai tuoi supervisori emotivi.»

Claire scosse la testa.
«E pensare che nel 2010… la gente si stringeva nei concerti. Gridava. Sudava insieme. Non esistevano scanner neurali nei musei. I bambini correvano nei cortili.»
«Lo dici come se lo ricordassi.»
«Lo dico come se lo sognassi.»

Nathan tornò al foglietto. Lo rilesse per la terza volta. Poi disse:
«Il muro è ancora qui. Solo che non lo vediamo. È fatto di comfort, di algoritmi che ci danno solo ciò che ci piace, di strumenti che ci risparmiano la fatica di dubitare.»

Claire si sedette accanto a lui.
«E pensare che chi ha scritto questa poesia sembra proprio avesse già capito tutto: i mattoni si sono sollevati sopra le nostre teste e sono diventati invisibili. Ma non meno reali.

«Ti rendi conto che questa persona—chiunque fosse—stava parlando di noi? Del nostro tempo?»

«Sì. E ci ha lasciato un messaggio, una domanda implicita: dove sono i confini? Dove può avvenire il contatto?»

Nathan sospirò.
«Ai margini, dice la poesia.»
Claire annuì.
«Siamo noi, allora. I margini. I ribelli silenziosi. Gli osservatori. I poeti.»

La stanza si fece più scura.
Il mondo fuori si piegava nella sua routine luminosa.
Nathan prese carta e penna—cose che quasi nessuno usava più—e scrisse. 

We didn’t cross the wall.
The wall crossed into us.

– Paris, 15th May 2089

Claire lo guardava in silenzio.
«Forse anche noi dovremmo scrivere qualcosa. Lasciare un segno per chi verrà.» 
Disse Nathan, serio.
«Un altro poeta del futuro?»
Chiese Claire, in tono canzonatorio.
«O solo un altro cuore aperto.»
Rispose il ragazzo prima di inserre il foglio accanto alla poesia nella guida.

La richiuse con delicatezza.
«Domani torniamo alla libreria.»
«E la lasciamo lì.»
«Per qualcuno che sappia vedere oltre il vetro.»
«Per chi sa vedere ancora oltre il muro invisibile, per chi vive ancora ai margini.»






mercoledì 14 maggio 2025

MARRAKECH NON GIUDICA

 

Marrakech, Marocco

Tetto di una riad nella medina – fine pomeriggio

Il muezzin aveva appena finito di chiamare alla preghiera. Le ultime note sembravano svanire tra i vapori della città come incenso nel vento. Ruben se ne stava seduto sul tetto della piccola riad in cui alloggiava da una settimana, con le gambe incrociate e un bicchiere di tè alla menta tra le mani.

Il sole, ormai basso, incendiava i muri color terracotta. Marrakech lo accoglieva con la sua danza continua di contrasti: sacro e profano, caos e silenzio, vita e ritiro. Per un pittore, era un incubo e una salvezza: la luce cambiava ogni cinque minuti, e ogni dettaglio sembrava chiedere di essere ritratto. Ma Ruben non aveva toccato un pennello da settimane.

«Non ti stanchi mai di guardare la città dall’alto?»
La voce era femminile, calma. Proveniva dalla scala dietro di lui.
Era Laila, la padrona della riad. Indossava un caftano color ocra e portava con sé un piatto di mandorle e fichi secchi.

«Mi dà l’illusione che le cose abbiano un ordine» rispose Ruben, senza voltarsi subito. Poi aggiunse, quasi tra sé: «Da quaggiù sembrano tutte piccole. Le voci, i giudizi, le umiliazioni… anche le ambizioni degli altri».

Laila si sedette accanto a lui, poggiando il piatto sul tappeto. «Tu non sei in vacanza» disse dopo un attimo. «Hai l’aria di chi è in esilio. Volontario, forse. Ma pur sempre esilio.»

Ruben sorrise amaramente. «Sono qui perché in Spagna non volevo più indossare maschere. Né nei salotti della critica, né nei circoli d’arte, né nelle accademie. E non volevo più inchinarmi a chi scambia la manipolazione per autorevolezza. Ma adesso mi chiedo: è stato coraggio o rigidità? Ho rinunciato a tutto pur di non piegarmi… E se fosse solo orgoglio?»

Laila lo guardò con uno sguardo assorto, poi versò altro tè. «Il potere non cambia le persone» disse, «le denuda. Fa emergere ciò che c’è già. Chi ha paura diventa feroce, chi è vuoto diventa crudele. Chi ha anima, protegge. Tu ti sei sottratto a un gioco sporco. Questo non è orgoglio. È igiene.»

Ruben alzò lo sguardo, sorpreso dalla limpidezza delle sue parole. «Eppure ho perso molto.»

«Hai perso solo ciò che ti chiedeva di tradirti. La carriera? Gli applausi? Il consenso? Non valgono la pace che hai adesso negli occhi.»

Un silenzio profondo li avvolse, mentre sotto di loro il suq ricominciava a respirare, tra i profumi delle spezie e il vociare dei venditori. Marrakech gli appariva come uno specchio deformante: amplificava le sue domande ma, a volte, gli restituiva solo brandelli di risposta.

Laila si alzò, lasciandogli il piatto di frutta secca. «La sera qui è fatta per chi ha bisogno di silenzio» disse. Poi sparì giù per le scale, lasciandolo con le sue domande e le luci morbide del tramonto.


Il tetto – poco dopo il tramonto

Ruben era rimasto solo, ancora seduto, il bicchiere ormai vuoto tra le mani. La città sotto di lui era cambiata. I colori si erano attenuati in un blu profondo, le voci si erano fatte più rarefatte, e le prime stelle avevano iniziato a spuntare sopra i minareti.

Nel silenzio, i pensieri tornarono a premere. Quelli veri, quelli che in Spagna aveva imparato a ricacciare dentro con eleganza: nei vernissage, nei pranzi con i galleristi, nei workshop in cui tutti fingevano di credere nella libertà, mentre si inchinavano ai giochi di potere.

La verità – e se la ripeteva qui, con brutalità – era che non aveva mai imparato davvero a difendersi. Non perché fosse ingenuo. Ma perché non sapeva smettere di sentirsi responsabile. Sempre. Anche di ciò che non poteva cambiare. Anche degli errori altrui, anche dei silenzi degli altri.

Tutti gli dicevano che aveva "principi forti", ma spesso sembrava più una maledizione che una virtù. Quando gli altri si svendevano, lui si chiedeva se non fosse colpa sua per non essere stato d'esempio. Quando vedeva i mediocri premiati, gli veniva da pensare che forse non aveva parlato abbastanza, o troppo. Era un artista, sì, ma portava dentro un senso di dovere che lo divorava: voleva che il mondo fosse più giusto. Come se spettasse a lui aggiustarlo.

E poi c'era il potere.

Un tempo lo aveva idealizzato. Pensava che fosse uno strumento, neutro, come un pennello: dipingi un capolavoro o un falso, dipende dalla mano. Ma ora… ora sapeva che il potere non è mai neutro. È un rivelatore. Come il fuoco sull’oro.

Chi era giusto, col potere proteggeva. Chi era ambizioso, col potere opprimeva. Chi era fragile, lo usava come corazza e diventava tiranno. Il potere non corrompe: semplicemente toglie la paura delle conseguenze. E allora emerge il vero volto.

Lui non aveva mai avuto vero potere. Ma lo aveva visto da vicino. E ogni volta aveva detto “no” quando sarebbe bastato un “sì” per guadagnarsi un invito, una mostra, una recensione benevola. Era questo il dubbio che lo torturava: e se sotto la sua coerenza ci fosse solo incapacità di adattamento?

O forse no. Forse era semplicemente uno che non sapeva fingere. Uno che aveva scelto, ogni volta, di restare fedele a qualcosa che oggi nessuno considera più importante: l’onestà con se stessi. Anche se quella scelta significava rimanere soli.

La voce di Laila gli tornò alla mente: “Hai perso solo ciò che ti chiedeva di tradirti.”

Si sporse in avanti, guardando le lanterne accendersi nella medina. Ogni luce, ogni ombra, era un frammento di qualcosa che voleva dipingere, ma non ancora. Prima doveva capire se aveva fatto bene. Se era ancora intero.

Era venuto a Marrakesh per smettere di parlare, ma anche per imparare ad ascoltarsi. E forse, in quel preciso momento, capì che non era una fuga. Era un ritorno. Forse l’unico errore sarebbe stato arrendersi a ciò che gli chiedeva di essere altro da sé.

E mentre una brezza leggera gli accarezzava il volto, per la prima volta dopo molto tempo, non si sentì colpevole di nulla.

Notte sul tetto della riad

La notte era scesa del tutto. Ruben non si era mosso. Marrakech, con i suoi richiami e le sue luci tremolanti, sembrava essersi ritirata in una quiete rispettosa. Dal tetto vedeva le terrazze spente, le finestre socchiuse, la città respirare nel suo ritmo antico.

Poi, senza volerlo, arrivò il ricordo. Come un taglio nella tela.

Madrid, due anni prima. Una galleria indipendente, un progetto collettivo. Ruben aveva lavorato per mesi a una serie di quadri dedicati alla memoria, usando materiali organici: cenere, terra, carta bruciata. Aveva osato uscire da ogni schema — troppo, forse.

Aveva portato tutto in una grande tela centrale, una sorta di paesaggio mentale in rovina. Il giorno dell’inaugurazione, era fiero e inquieto come sempre, ma convinto di ciò che aveva creato.

Poi era arrivato Antoine, il nuovo curatore venuto da Parigi. Uno di quelli che si muovono tra arte e potere con la scioltezza di chi ha capito presto che la verità si piega, e si vende. Lo aveva preso da parte, con un mezzo sorriso, una mano sulla spalla.

«Hai talento, Ruben. Ma così ti bruci da solo. Nessuno vuole sentirsi in colpa guardando un quadro. Soprattutto chi paga.»

Parole che suonavano gentili, ma erano un verdetto.

Qualche giorno dopo, l’opera era stata spostata in una sala secondaria. Niente luci dirette. Nessuna menzione nel catalogo. Un altro artista — uno più “funzionale” — aveva preso il suo posto nel centro espositivo. Nessuno lo aveva difeso. Alcuni avevano abbassato lo sguardo. Altri gli avevano consigliato, sottovoce, di “essere più furbo”.

Ruben, invece, non aveva detto nulla. Aveva ritirato le sue tele in silenzio, sotto la pioggia, caricandole da solo su un vecchio furgone. Non per orgoglio. Perché non voleva dover ringraziare chi aveva appena svuotato il suo lavoro di senso.

Quella sera aveva capito una cosa semplice e lacerante: nel mondo che frequentava, il talento serviva. Ma solo se sapevi piegarlo. Solo se accettavi di modellarlo intorno al potere altrui.

Il nodo alla gola gli era rimasto per giorni. Non per l’umiliazione. Ma per il pensiero che forse avrebbero avuto ragione. Che l’integrità non bastava.

Ruben si passò una mano sul volto. Quel ricordo bruciava meno, ma lasciava una traccia, come polvere fine negli occhi.

E poi, la domanda che lo colpì con forza:

E se non fosse stata integrità?
Se il suo rifiuto dei compromessi non fosse nobile, ma solo orgoglio?
E se sfidare il potere non fosse giustizia, ma una forma sottile e disfunzionale di sentirsi superiore?

Era sempre stato così: incapace di compiacere, di tacere, di adattarsi. Ma non per ingenuità. Forse per vanità? Per la pretesa di non dover mai abbassare lo sguardo? Forse aveva solo confuso la coerenza con il rifiuto di mostrarsi vulnerabile. Aveva scelto l’isolamento perché non sopportava il disprezzo degli altri, ma ancor più perché temeva quello verso sé stesso.

Forse la sua coerenza era solo un modo elegante per dominare la scena con il rifiuto. Forse non voleva essere accettato: voleva essere temuto. Ammirato. Incompreso.

Il pensiero lo svuotò. Eppure, nell’ammetterlo, sentì qualcosa aprirsi. Una crepa. Una possibilità.

Forse la vera integrità non era dire sempre “no”. Ma avere il coraggio di guardarsi in faccia anche quando il proprio “no” somiglia a una sentenza, e non a una scelta.


Ritorno al presente 

La voce di Laila tornò ancora una volta alla mente, questa volta come una carezza:
“Hai perso solo ciò che ti chiedeva di tradirti.”

E per la prima volta, Ruben si domandò se tradire e superare non fossero, in certi casi, due verbi fratelli.

Forse non era una fuga, questa. Forse era l’inizio di un ritorno. Non alla carriera. Ma a sé stesso. A ciò che resta, quando il volto che porti in pubblico si sgretola e sotto non c'è una posa — ma ancora, ostinata, una voce.

La sua.

Quella di un uomo che dipinge, anche se nessuno guarda. Un uomo che sceglie il silenzio, solo quando parlare significa mentire.



martedì 13 maggio 2025

CIVIDALE VOLA SUL 2-0, FORLI' ANCORA KO 82-74

A quarantott'ore dal successo in gara uno la Gesteco era chiamata, come recita lo slogan ben visibile sulle magliette indossate dai supporters ducali per i playoff, a "tirare fuori gli artigli" per respingere il tentativo dell'Unieuro Forlì di pareggiare il conto della serie e guadagnarsi il vantaggio del fattore campo in vista del trasferimento in Romagna del seguito della sfida.

Missione tutt'altro che semplice, non solo in ragione della forza dell'avversario, ma anche in considerazione dei guai al ginocchio di Lucio Redivo che ne limitano decisamente impiego e movenze e delle imperfette condizioni fisiche di Gabriele Miani, uscito malconcio per una botta già durante lo svolgimento di gara uno; inoltre era assai improbabile attendersi una nuova prestazione insufficiente al tiro dalla distanza di avversari del calibro di Perkovic e Pollone, circostanza che domenica sera si era rivelata un fattore a favore dei ducali durante l'infuocato finale.

Cividale mostra davvero gli artigli e conquista il 2-0, riuscendo nell'impresa grazie ad una gara di grande sofferenza collettiva dove questa volta emergono altri protagonisti indiscussi rispetto alla gara di domenica: capitan Rota, Marangon e soprattutto un Gabriele Miani decisivo nelle battute finali, firmano delle prestazioni individuali molto importanti, sostituendosi ai mattatori di gara uno Lamb e Mastellari, a conferma che le risorse del gruppo di Pillastrini sono davvero molte.

Stoica la prova di Lucio Redivo che stringe i denti e fa sentire la sua classe nei momenti caldi della gara, oltre alla "solita" prestazione tutta sostanza di Jack Dell'Agnello.

Si parte con Rota, Lamb, Marangon, Dell'Agnello, Berti per Cividale e Tavernelli, Harper, Perkovic, Gaspardo e Magro per Forlì per un avvio che vede la Gesteco approcciare il match con miglior precisione ed intensità e andare subito aavanti 7-0 a 7'41", costringendo con sollecitudine Martino a richiamare i suoi per una sospensione. La fatica di gara uno sembra farsi sentire perchè entrambe le compagini producono un gioco poco fluido, caratterizzato poca lucidità e da molti errori che si riflettono su di un punteggio basso, con il tabellone che segna 10-5 a 3'16" dalla prima sirena a cui si arriva sul 20-12 per i ducali, perchè nell'ultimo minuto vanno a segno due triple di Mastellari e di Miani per Cividale di Cianciarini per Forlì.

Il secondo periodo si apre con la Gesteco che si porta subito sul + 10 (22-12) sempre grazie a Miani ma poi subisce il ritorno degli ospiti che con un parziale di 0-6 tornano a contatto (22-18) a 7'40" e il match ora fila via senza che nessuna delle due squadre riesca a prendere in mano le redini dell'incontro e Cividale ancora avanti 28-24 a 2'57" dall'intervallo lungo; le percentuali di Forlì restano basse però ai padroni di casa mancano i punti e le giocate di Redivo e Lamb, che fino a questo momento non sono stati impiegati con continuità e hanno portato solo 2 punti in cascina.

Cividale fatica terribilmente a trovare il canestro e soffre l'intensa difesa ospite e così l'aggnacio è cosa fatta (29-29) con due punti di Pascolo a 1'15" e poi il primo vantaggio, sempre con Pascolo ben servito sotto canestro da Perkovic (29.31) a 40".

Si va infine al riposo con l'Unieuro avanti di 1 punto (32-33), perchè Perkovic vanifica la prima tripla di Redivo della serata.

La Gesteco in questo quarto ha perso l'occasione di allungare sfruttando le non brillanti percentuali degli avversari per almeno metà del periodo (11/33 dal campo con 3/16 dall'arco), sicuramente penalizzata dall'impiego a singhiozzo di Berti (gravato di 3 falli ma miglior rimbalzista con 6 carambole e 5 punti nei 10 minuti in campo), Redivo (1 su 3 dal campo in 13 minuti di sofferenza) e Lamb (due falli e zero punti nei soli 6 minuti in cui è stato sul parquet).

A metà gara inoltre anche i falli impensieriscono Pillastrini, perchè oltre al già citato Berti con 3 penalità, si trovano già con 2 falli Lamb, Miani e Marangon.

La ripresa del gioco è un guaio per i gialloblù che patiscono immediatamente parziale di 0-6 (31-39) prima che Lamb si sblocchi dall'arco (35-39); Forlì però si dimostra più lucida ed energica e sfrutta una difesa dei padroni di casa che ha poca attenzione ed energia e i ducali scivolano a – 8 (35-43) quando il cronometro segna 6'41" dalla terza sirena.

Berti commette il quarto fallo su Harper e Forlì mantiene il più 8 ma non riesce ad assestare un allungo importante perchè a Cinciarini viene fischiato un tecnico che permette a Rota di ricucire dalla lunetta (40-45) a 3'50"; nel finale Marangon con una tripla e un recupero che frutta 2 liberi riporta Cividale a contatto (47-48), e nell'ultimo minuto, mentre una tripla di Ferrari finisce sul ferro quella di Perkovic va a bersaglio e ci vuole un capolavoro di Rota sotto il canestro dell'Unieuro (rimbalzo, canestro e tiro libero aggiuntivo) per tenere il 50-51.

Un fallo in attacco fischiato a Gaspardo e un tecnico a coach Martino mandano Rota in lunetta per il 51-51, ma poi il capitano commette passi nell'ultimo possesso e Gaspardo si rifà con gli interssi timbrando il 51-53 a fil di sirena.

Redivo apre l'ultima frazione mandando avanti Cividale dall'arco (54-53) ma gli ospiti con Pascolo (un vero problema stasera per i ducali) e Perkovic dall'arco rimandano Forlì a + 4 (54-58); non c'è tregua perchè la Gesteco piazza un controbreak di 5-0 firmato da Miani e così ora il tabellone dice 61-58 a 7'52" dalla fine di un match che resta davvero apertissimo ad ogni tipo di finale.

Perkovic adesso è "on fire" e acciuffa la parità da distanza siderale, subito però imitato dall'asso di Bahia Blanca per una gara che adesso si gioca a ritmi forsennati; Rota ancora da 3 porta Cividale sul + 6 (67-61) a 5'48" e coach Martino richiama ancora i suoi, intuendo che il momento può diventare decisivo per indirazzare la contesa.

A metà periodo Dell'Agnello capitalizza un recupero di Redivo e regal ail + 8 (69-61) ma Perkovic è adesso è una sentenza e accorcia 69-64 quando si entra nella fase caldissima della contesa che si sconsiglia , al solito, ai deboili di cuore.

Il tabellone dice 73-66 a 1'32" dopo un canestro di Dell'Agnello ma Perkovic continua il suo show e infila il 73-69, subito ricacciato indietro da Miani che da casa sua riporta il + 7 sulla sponda ducale (77-69) ; non è finita perchè Gaspardo con un gioco da 3 punti fa sentire ancora il fiato sul collo a Cividale a 50".

A 25" Redivo firma il 78-72 dalla lunetta perchè anche Forlì ora è in bonus e Martino richiama i suoi in panchina per cercare di imbastire il miracolo.

Al rientro in campo questa volta s'inceppa il mitra del croato mentre Dell'Agnello cattura rimbalzo e fallo che lo portano in lunett a siglare l'80-72 che sà di sentenza.

Finisce 82-74 con due liberi Miani e Cividale vola sul 2-0, andando ora in Romagna per cercare di sfruttare il match point, senza bisogno di giocare il passaggio del turno ancora una volta in via Perusini.

(Foto Roberto Comuzzo)


UEB GESTECO CIVIDALE – UNIEURO PALLACANESTRO FORLI' 82-74

(20-12, 32-33, 51-53)

UEB GESTECO CIVIDALE

Lamb 3, Redivo 13, Miani 19, Anumba, Mastellari 3, Rota (k) 14, Baldares n.e., Marangon 11, Berti 5, Ferrari 4, Dell'Agnello 10, Piccionne n.e.

Allenatore Stefano Pillastrini

Vice Giovanni Battista Gerometta, Alessandro Zamparini

Tiri da due 15/31, Tiri da tre 11/28, Tiri liberi 19/22 Rimbalzi 35 (27 dif. 8 off.)

UNIEURO PALLACANESTRO FORLI'

Parravicini 9, Cinciarini (k) 3, Tavernelli 4, Gaspardo 18, Perkovic 17, Pascolo 10, Magro, Del Chiaro 6, Pollone, Sanviti n.e., Harper 7.

Allenatore: Antimo Martino

Vice Andrea Fabrizi e Paolo Ruggeri

Tiri da due 20/36, Tiri da tre 8/32, Tiri liberi 10/14 Rimbalzi 37 (26 dif. 11 off.)

Arbitri: Marco Attard di Firenze, Fulvio Grappasonno di Chieti e Marco Marzulli di Piacenza

Spettatori: 2.600 circa



 

lunedì 12 maggio 2025

MANDI ENZO, FORMIDABILI I TUOI ANNI

Per chi è nato dopo la metà degli anni ’70 e si dichiara tifoso dell’Udinese, il nome di Enzo Ferrari potrebbe non evocare molto, almeno in ambito calcistico. Più probabile che la mente corra subito alla Formula Uno e al sogno di possedere una Ferrari con il celebre cavallino rampante sul cofano.

Diversa è la reazione di chi ha i capelli ormai color argento o, nella migliore delle ipotesi, “sale e pepe”. Per loro, la notizia della scomparsa di Enzo Ferrari – omonimo del leggendario Drake – avvenuta lo scorso 11 maggio, è arrivata come un colpo al cuore. Il destino ha voluto che giungesse pochi minuti prima dell’ennesima prova di sciatteria dell’Udinese 2024/25, che, ormai salva con largo anticipo, ha lasciato l’intera posta al già retrocesso Monza in un rassegnato Stadio Friuli.

Un uomo di calcio, dentro e fuori dal campo

Nato a San Donà di Piave il 21 ottobre 1942, Enzo Ferrari è stato prima calciatore – con esperienze in Serie A, B e C vestendo, tra le altre, le maglie di Genoa, Palermo, Monza e anche Udinese – poi allenatore dalla mente lucida ma non privo di coraggio.

Arrivò a Udine come tecnico della Primavera nella stagione 1979/80, dopo un primo incarico in panchina con il Conegliano in Serie C2. Fu improvvisamente chiamato alla guida della prima squadra nel campionato 1980/81, in occasione della quarta giornata d’andata contro la Fiorentina, a seguito dell’esonero di Marino Perani. In attesa del subentrante Gustavo Giagnoni, strappò subito un prezioso 0-0 contro i viola.

Richiamato ancora una volta in corsa dopo poche giornate, questa volta per sostituire lo stesso Giagnoni, prese le redini di una squadra penultima con soli 11 punti alla seconda giornata di ritorno e già rassegnata alla retrocessione. Enzo Ferrari, però, non si lasciò sfuggire l’occasione di trasformare invece una disfatta annunciata in un’impresa.

Mise ai margini vecchi mestieranti logori e lanciò una pattuglia di giovani promettenti provenienti dalla sua Primavera: Miano, Gerolin, Papais e Cinello furono la linfa nuova che portò l’Udinese a una salvezza memorabile, conquistata negli ultimi minuti dell’ultima giornata grazie a un gol di Gerolin contro il Napoli.

L’era Zanussi e l’arrivo del fuoriclasse

L’arrivo della Zanussi come nuova proprietà aprì una fase di consolidamento e crescita. Il progetto prese il volo con l’arrivo, nell’estate del 1983, di un colpo che fece storia: Zico. La stella brasiliana si aggiunse a un gruppo già impreziosito da campioni come Causio, Mauro, Virdis ed Edinho.

Enzo Ferrari rimase alla guida della squadra fino al maggio 1984, quando fu sostituito da Luis Vinicio, chiamato per tentare (invano) l’assalto alla Coppa Italia. Il torneo si concluse con un’uscita nei quarti contro il Verona e un deludente nono posto in campionato.

In quattro stagioni sulla panchina dell’Udinese, Ferrari collezionò 105 presenze in Serie A (30 vittorie, 44 pareggi, 31 sconfitte) e 16 in Coppa Italia (9 vittorie, 5 pareggi, 2 sconfitte), ottenendo come miglior risultato un sesto posto in campionato e l’accesso ai quarti in Coppa.

Una delle gestioni tecniche più longeve in tutta la storia del club friuliano.

Il viaggio continua

Conclusa l’esperienza friulana, Ferrari proseguì la carriera in Spagna, alla guida del Real Saragozza – con cui arrivò a espugnare il Bernabeu – per poi tornare in Italia ad allenare diverse squadre di Serie B: Triestina, Padova, Avellino, Palermo, Reggina. Ebbe anche un’ultima apparizione in Serie A nel 1994/95, chiamato alla guida della Reggiana da Franco Dal Cin, suo vecchio mentore, in un tentativo disperato - e inutile - di salvezza.

Un’eredità di passione e talento

Uomo cortese, sempre disponibile al dialogo e all’aneddoto, Enzo Ferrari seppe vincere un titolo nazionale con la Primavera dell’Udinese nel 1980/81 e lanciò con coraggio numerosi giovani talenti veneti e friulani che poi si fecero strada nelle massime categorie.

Fu protagonista di un’epoca irripetibile, in cui l’Udinese, da matricola inesperta e traballante, divenne nel giro di pochi anni una squadra capace di impensierire le grandi. Forse non resse la pressione delle aspettative crescenti, ma diede il meglio di sé nel periodo pionieristico e più autentico.

Un ricordo personale

Ad Aiello del Friuli, nella primavera del 2015, mi confidò – a margine di una manifestazione in onore di Enzo Bearzot – un grande rimpianto: l’uscita di Zanussi dall’Udinese e l’addio di Dal Cin a metà della prima stagione di Zico. “Avevamo messo i ferri in acqua per far crescere ancora la squadra”, mi disse. “L’anno dopo il Verona vinse lo scudetto… credo che avremmo potuto esserci noi.” Non scherzava.

Per chi ha vissuto quegli anni, Enzo Ferrari resterà per sempre “l’allenatore di Zico” e e degli anni più belli.

Sarebbe anche bello, oltre che giusto, che l’Udinese Calcio di oggi trovasse il modo di ricordarlo come merita.

Mandi Enzo











domenica 11 maggio 2025

BUONA LA PRIMA, CIVIDALE S‘IMPONE 90-85 IN GARA UNO

 

Per gara uno della serie dei quarti di finale playoff in via Perusini arrivava lo stesso avversario che lo scorso 29 settembre aveva tenuto a battesimo la stagione 24/25 per i ragazzi di Pillastrini, ovvero l'Unieuro Forlì di coach Antimo Martino nelle cui fila militabno i friulani Gaspardo e Pascolo.

Ben pochi alla prima di campionato erano quelli che pronosticavano la circostanza, con i gialloblù ducali che per la prima volta addirittura affrontano la fase più calda e appasionante dell'annata con il vantaggio del fattore campo in virtù del piazzamento al quinto posto nella classifica generale contro il sesto ottenuto dai romagnoli.

Alla vigilia emozione ed ottimismo non mancavano in riva al Natisone, anche in virtù dei precedenti tra le due squadre, che vedono Cividale avanti negli scontri diretti per 4-2, con un parziale di 2-0 durante l'ultima regular season.

Addetti ai lavori, staff tecnici e giocatori sanno bene però che i playoff sono una fase affascinante proprio perchè capaci di invertire gerarchie che paiono consolidate e creare sorprese a ripetizione, in una sorta di azzeramento di quanto si è visto nella stagione regolare.

Cividale si conferma "bestia nera" per i romagnoli e si porta sull'1-0 nella serie al termine di un match molto combattuto e ben giocato dalle due squadre, che si sono alternate nella conduzione del punteggio ma con i ragazzi di Pillastrini capaci di recuperare uno svantaggio di 10 punti subito nel terzo quarto e poi superare gli avversarsi con un ottimo ultimo periodo, non senza qualche patema di troppo nelle ultime battute.

Da registrare le ottime performance al tiro di Lamb e Mastellari per i ducali, che sono stati comunque autori di una buona prova collettiva, iscrivendo a referto 9 uomini su 10.

In un pala Gesteco esaurito e tinto di giallo per la palla a due Pillastrini si affida a sorpresa a Rota, Lamb, Marangon, Dell'Agnello e Berti mentre Martino risponde con Perkovic, Tavernelli, Gaspardo, Magro e Harper e Cividale parte subito con un Lamb sugli scudi che infila subito 10 punti per un parziale che vede avanti i gialloblù per 12-6 a 7'14"; Berti commette il secondo fallo a 6'17" e il coach ducale inserisce Miani per il lungo n. 19 mentre Marino lancia cambia Magro per Dal Chiaro con il tabellone sul 16-10. La fase finale del primo periodo vede ancora l'americano di Chicago in evidenza che, prima di essere richiamato in panchina, infila la tripla del 23-17, con il tempo che poi va però in archivio sul 27-26 perchè Forlì stringe le maglie difensive e la Gesteco s'inceppa senza l'apporto del suo numero uno, autore già di 15 punti con 5/6 dal campo.

Lamb è davvero in serata di grazia e al rientro sul parquet firma un parziale di 6-0 con un gioco da 4 punti e un tiro dalla distanza (33-26) portando così a 21 il bottino personale; Ferrari a stretto giro s'incunea nella difesa ospite e inchioda il 35-26 a 8'27" e così Martino chiama subito i suoi in panchina per un minuto di sospensione. I suoi rientrano bene e accorciano sul 35-30, Pillastrini deve cambiare Lamb – scintille con Harper - con Redivo e Forlì così torna a – 1 (36-35) dopo una rtripla di Parravicini a metà tempo. Una palla persa di Ferrari costa un gioco da tre punti in transizione e così i romagnoli mettono per la prima volta il naso avanti (38-40) a 3'57" dall'intervallo lungo a cui si giunge poi sul 46-48 per gli ospiti perchè Cividale non riesce più trovare soluzioni in grado di superare con continuità la difesa dell'Unieuro. Con un Lucio Redivo sottotono per guai fisici e a secco di conclusioni è Mastellari che, mettendo a segno 5 punti nell'ultimo minuto, consente alla Gesteco di rimanere a contatto a metà gara.

Nel terzo periodo Pillastrini rilancia Lamb, ma Cividale ha Miani e Berti già gravati di 3 falli e gli ospiti si riprendono subito 9 punti di margine (46-55) e poi si ritrova anche con Dell'Agnello a 3 falli per un tecnico che viene fischiato al 77 gialloblù.

L'inerzia è ora tutta a favore dei romagnoli che a 5'58" vanno avanti di 10 punti (51-61) dopo una tripla di Harper che costringe il coach ducale a richiamare i gialloblù in panchina per cercare di rimescolare le carte e recuperare terreno. Redivo e Mastellari dimezzano lo svantaggio in un amen (56-61) e così è Martino a bloccare il tempo e a voler riparlare con i suoi a metà frazione. Lamb è implacabile dall'arco (59-61) e allunga il parziale a 8-0, mentre ancora Mastellari ricuce sul 61-62 con Forlì che si aggrappa ad Harper e Perkovic per rimanere davanti (62-67) con la penultima sirena che suona sul 69-70 e preannuncia un ultimo quarto al calor bianco.

Lucio Redivo riporta avanti (71-70) i padroni di casa in avvio con una bella conclusione dalla media e poi Mastellari aggiunge altri due punti (73-70) in penetrazione, mentre Forlì in questa fase perde la via del canestro. Mastellari pounisce ancora dall'arco in transizione (76-70) e capitan Rota scrive +9 (79-70) a 6'32" con Martino che richiama i suoi dopo il parziale di 11.0 subito dall'inizio dell'ultimo tempo. I romagnoli non si sbloccano e Mastellari continua sparare a mitraglia per il + 12 (82-70) a 5'23" dall'ultima sirena, prima che un colpo di reni di Harper e Perkovic permetta all'Uniero di limare lo scarto (82-74) e Pillastrini subito pronto a firmare il cronometro con una sospensione e a rimandandare in campo Lamb per il finale. La mossa è azzeccata, perchè i gialloblù rispondono andando a + 13 dopo un gioco da 3 punti di Ferrari a 3'35" per l'87-74; il match ha però ancora molto da dire perchè Forlì ribatte con un controparziale di 6-0 e a 2'34" il tabellone segna 87-80 e Rota perde subito un pallone sul pressing degli avversari. Dell'Agnello trova i punti dell'89-80 ma Cividale è in bonus e così dalla lunetta Pollone accorcia (89-82) a 1'35" per il "solito" finale con il cuore in gola da queste parti.

Cinciarini infila la tripla del – 4 ma anche Forlì adesso è in bonus e Redivo con 1/2 dalla lunetta a 8" dà un margine che diventa decisivo (90-85) perchè vanno a vuoto gli ultimi diri dalla distanza di Perkovic e Pollone.

Appuntamento tra due giorni per un altro match tutto da vivere.


UEB GESTECO CIVIDALE – UNIEURO PALLACANESTRO FORLI' 90-85

(27-26, 46-48, 69-70)


UEB GESTECO CIVIDALE

Lamb 24, Redivo 9, Miani, Anumba 4, Mastellari 19, Rota (k) 6, Adebajo n.e., Marangon 2, Berti 7, Ferrari 8, Dell'Agnello 11, Piccionne n.e.

Allenatore Stefano Pillastrini

Vice Giovanni Battista Gerometta, Alessandro Zamparini

Tiri da due 23/41, Tiri da tre 11/30, Tiri liberi 11/15 Rimbalzi 38 (25 dif. 13 off.)

UNIEURO PALLACANESTRO FORLI'

Parravicini 8, Cinciarini (k) 3, Tavernelli 5, Gaspardo 12, Perkovic 16, Pascolo 4, Magro 10, Del Chiaro 4, Pollone 5, Sanviti n.e., Harper 18.

Allenatore: Antimo Martino

Vice Andrea Fabrizi e Paolo Ruggeri

Tiri da due 24/40, Tiri da tre 6/27, Tiri liberi 19/19 Rimbalzi 33 (24 dif. 9 off.)

Arbitri: Valerio Salustri di Roma, Alessandro Costa di Livorno e Andrea Csssinadri di Bibbiano (RE)

Spettatori 2.700 circa

giovedì 8 maggio 2025

BUON PLAY-OFF A TUTTI!

Non ancora esauriti i festeggiamenti per la promozione diretta di Udine, ma terminata invece la fase di play-in con l'ingresso nella fase calda della post-season di Brindisi e della Fortitudo, e con il conseguente inizio delle vacanze per Avellino, Torino, Pesaro e Verona, nonché il completamento della griglia dei play-off, sabato prenderà il via l'attesa post-season che determinerà, tra le 8 società qualificate, chi si guadagnerà il secondo pass per salire al piano di sopra.

Come noto, le magnifiche otto ancora in corsa sono Rimini, che sfiderà – a sorpresa – Brindisi; Cividale, invece, incrocerà le armi con Forlì per la parte alta del tabellone; mentre Rieti attenderà l'Urania Milano e Cantù dovrà sudare contro la Fortitudo nella parte bassa.

Tutte le sfide si giocheranno al meglio delle 3 su 5, con il privilegio dell’eventuale bella in casa per Rimini, Cividale, Rieti e Cantù.

Definito dunque il cammino verso la vittoria finale, è tempo di pronostici – cosa sempre difficile, antipatica e con alto tasso di smentita – nonché di considerazioni su cosa ci si potrà attendere da questa post-season.

È bene chiarire subito che con i play-off inizia un vero e proprio nuovo torneo, che spesso e volentieri se ne infischia di quanto si è visto nei precedenti 7 mesi di stagione regolare, e in cui le motivazioni delle singole partecipanti quasi sempre fanno la differenza, andando spesso ben oltre lo stato di forma o il valore del roster con cui si approccia la fase cruciale dell’annata.

La storia è piena di scalate sorprendenti: e senza andare troppo in là, basta tornare allo scorso anno con la promozione di Trieste, capace di arrivare ai play-off da “cenerentola”, con lo svantaggio del fattore campo in ogni turno, e poi infilare la promozione con un percorso di 9 vittorie (6 su 6 fuori casa) e una sola sconfitta.

Iniziamo dunque l’analisi delle 8 contendenti, in rigoroso ordine di piazzamento finale, provando a valutare la situazione con un voto da 1 a 10 per stato di forma e motivazioni.


RIMINI

È reduce da una stagione almeno a due facce: prima di essere falcidiata da infortuni in diversi uomini chiave, quando mancava poco al giro di boa, la squadra di coach Sandro Dell’Agnello le aveva suonate praticamente a tutti e conduceva meritatamente la graduatoria; in seguito è incappata in una serie nera di sconfitte a ripetizione, culminate nel tracollo nella semifinale di Coppa Italia contro Cividale. Il blocco del motore ha permesso a Udine di riprenderla e fuggire verso la promozione, ma dopo le Finals di Bologna, con il recupero di tutti gli effettivi, i romagnoli hanno ripreso a correre, tentando fino in fondo di contrastare i friulani, salvo poi perdere lo scontro diretto al Carnera nelle ultime battute della terz’ultima giornata. In prospettiva per la semifinale un derby con Forlì oppure un incrocio con il "gatto nero" Cividale (1-6 il record contro i ducali con uno 0-3 al PalaFlaminio).


Situazione attuale: 8,5
Motivazioni: 8,5 (mezzo punto in più per il vantaggio del fattore campo in ogni turno)


CANTÙ

Era partita con l’ambizione di centrare la promozione diretta e ha allestito – e conserva – un roster decisamente più che competitivo per la categoria. Tuttavia, l’andamento della regular season è stato inferiore alle attese, nonostante la vittoria della Coppa Italia. Sicuramente l’infortunio a De Nicolao ha ingarbugliato i piani di Brienza, ma i blasonati brianzoli non hanno mai dato l’impressione di aver trovato davvero la quadra, e la pressione e le aspettative dell’ambiente certo non hanno aiutato.

Voto situazione attuale: 6,5
Motivazioni: 10 (perché la promozione non è solo un obiettivo, ma un imperativo societario)


RIETI

Quarta al termine di una regular season giocata con buona continuità, con alcuni passaggi a vuoto fisiologici vista la lunghezza del torneo e il livello dei competitors. Ha sempre frequentato i piani alti della classifica e nel roster ci sono alcuni giocatori abituati ai finali infuocati. Nonostante questo, l’obiettivo promozione non sembra essere tra le priorità societarie, e la corsa potrebbe verosimilmente fermarsi in semifinale.

Situazione attuale: 7
Motivazioni: 7


CIVIDALE

Arriva alla post-season per la terza volta consecutiva su tre tentativi ed è reduce da una nuova stagione da incorniciare: nella prima fase del torneo è rimasta tra gli inseguitori più ravvicinati della lepre Rimini e ha conquistato la qualificazione alle Finals di Coppa Italia, dove si è arresa solo in finale contro Cantù. Infortuni (prima di Natale, lunghi stop per Miani e Mastellari) e un calo più psicologico che fisico dopo la sconfitta in coppa ne hanno rallentato la corsa, mettendo in discussione anche l’ingresso diretto ai play-off. Ma, una volta recuperate energie e uomini, i ragazzi di Pillastrini hanno infilato vittorie in serie su campi minati e centrato un quinto posto che vale il vantaggio del fattore campo al primo turno. Il roster è collaudato, il PalaGesteco è un fattore, l’obiettivo è superare i quarti e andare il più lontano possibile, soprattutto in ottica di ritorno economico. La promozione, però, non è un diktat.

Situazione attuale: 8
Motivazioni: 7,5


FORLÌ

Si vede soffiare la quarta piazza all’ultima giornata e si trova così ad affrontare la sua “bestia nera” Cividale, a sfavore di campo, nel primo turno (0-2 con i ducali in campionato, 2-4 il computo totale negli ultimi tre anni). Il team allenato da Antimo Martino presenta un gruppo italiano di qualità, tra cui spiccano i friulani Gaspardo e Pascolo, ma ha dovuto fronteggiare diversi problemi con gli stranieri, che ne hanno limitato la corsa in una stagione ricca di alti e bassi. Resta comunque un gruppo da prendere con le molle, sostenuto da una piazza tra le più calde della cadetteria.

Situazione attuale: 7
Motivazioni: 7,5 (mezzo punto in più per la possibilità di un derby con Rimini in semifinale)


URANIA MILANO

Praticamente fuori dai play-off, compie una sorta di miracolo nelle ultime tre giornate, guadagnandosi l’ingresso diretto alla post-season. Dopo un ottimo girone d’andata, ha vissuto una lunga flessione e resta squadra “schiava” delle prestazioni di Gentile e Amato. Non sembra esserci una reale spinta da parte dell’ambiente, che potrebbe non bastare a tenere accesa la fiammella.

Situazione attuale: 6
Motivazioni: 6


FORTITUDO BOLOGNA

Reduce da un’altra stagione sulle montagne russe, segnata da infortuni e contrattempi che l’hanno penalizzata soprattutto all’inizio, sotto la gestione Cagnardi. Il ritorno di coach Caja ha portato a una poderosa risalita fino alla zona play-off. La sconfitta interna con Cividale e un lieve calo nel finale hanno costretto i felsinei a giocarsi il play-in con Pesaro, superato con autorità. Ora si troveranno ad affrontare Cantù, avversario di grande prestigio, ma senza vantaggio campo. In questa sfida dal fascino antico – due delle piazze storiche più calde d’Italia – tutto può succedere. Se la Fortitudo riuscirà nell’impresa, il PalaDozza potrà diventare un’arma in più. Anche se, per conquistare la promozione, servirà vincere in ogni caso lontano da Piazzale Azzarita.

Situazione attuale: 8
Motivazioni: 9


BRINDISI

Potrebbe essere la “Trieste” di quest’anno? Difficile, ma Rimini farebbe bene a non sottovalutare la squadra di Bucchi, che arriva ai play-off passando per l’ultimo posto utile dei play-in, dopo aver eliminato Avellino e Verona, entrambe in trasferta. Retrocessi dal piano di sopra, erano indicati tra i favoriti a inizio stagione, ma hanno vissuto un’annata tribolatissima, con infortuni in serie e una lunga permanenza nei bassifondi della classifica. Ora si presentano quasi al completo – manca solo De Vico – e con nulla da perdere. Attenzione.

Situazione attuale: 7,5
Motivazioni: 8


Conclusione

Esaurita l’analisi, si lascia al lettore il compito di trarre le conclusioni e azzardare i propri pronostici.
Una cosa, però, è certa: come ogni anno, le sorprese non mancheranno, e ci si prepara – in ogni piazza – a un mese da vivere con spensieratezza e grande passione.

Buon play-off a tutti!


mercoledì 7 maggio 2025

SORSEGGIANDO IL CAOS A COZUMEL

Il tramonto sta colorando il cielo sopra il Mar dei Caraibi, tingendo le acque di un blu profondo che sfuma nel porpora. Le barche a vela si allontanano lentamente dalla riva, mentre qualche palma ondeggia al ritmo del vento. Il bar di legno, costruito a ridosso della spiaggia, è un angolo di tranquillità nella vivace Cozumel, dove le risate dei turisti e il rumore delle onde si mescolano a un’armonia senza tempo.

L’italiano è già seduto da qualche minuto, con la camicia sbottonata che lascia intravedere una pelle bruciata dal sole e un sorriso un po’ stanco ma soddisfatto. Il bicchiere di rum in mano riflette la luce calda del tramonto. L'aria è tiepida, ma la brezza marina che accarezza la pelle dà sollievo. È il tipo di posto dove ogni ora sembra la stessa, dove il tempo non ha fretta di andare avanti.

L’inglese arriva qualche istante dopo, con la pelle un po’ più pallida e gli occhiali da sole appoggiati in testa. Si siede accanto all’italiano, senza dire nulla, ma alza il bicchiere in un saluto. Il rumore delle onde, il vento che porta il profumo di mare e l’atmosfera rilassata rendono subito chiaro che i due hanno trovato un piccolo angolo di mondo da condividere.

L’italiano prende la parola, rompendo il silenzio.

“Anche tu sei scappato dall’ordine, eh?” chiede con un sorriso ironico.

L’inglese lo guarda e fa un cenno di assenso. Poi, sorseggiando il rum, risponde con un misto tra italiano stetanto e un inglese fluente senza troppa enfasi:

“ Order, mate? I’ve had too much of it in London. Bloody meetings, calendars, rules. Cozumel is the place to get away from it all. Total dis-order, like Mexico at all. Non dispiacere se rispondo nella mia lingua? Capisci inglese? Io capire italiano bene, ma non essere in grado di parlare bene... ”

L’italiano annuisce e, divertito, risponde.

"Of course i can understand english, man... anyway i prefer speaking italian"  E poi diventa più serio.

“Sai cosa diceva Paul Valéry?” chiede, riflettendo.

L’inglese lo guarda stupito e, facendo un altro sorso, risponde con un sorriso:
“The Poet, right? Tell me.”

L’italiano sorride e riprende:
“Sì, esatto. The French Poet Paul Valéry diceva che il mondo è sempre minacciato da due pericoli: l’ordine e il disordine.”

L’inglese si ferma un attimo, come se la frase lo stesse facendo riflettere. Poi, alza il bicchiere con un sorriso di complicità.
“And here we are... escaping both.”

L’italiano ride e scuote la testa.
“Eh no, mio caro,” ribatte, “la Natura ha creato il sonno per farci sfuggire al disordine… e l’uomo ha inventato il rum — o la birra, if you prefer — per liberarsi dall’ordine: non abbiamo bisogno del Messico.”

L’inglese annuisce con entusiasmo, sorseggiando un altro drink. Poi si ferma a osservare l’orizzonte, dove il cielo e il mare si confondono in una sfumatura sempre più intensa.
“Touché.” Dice con aria di complicità.

Nel frattempo, il sole scivola lentamente dietro le palme, tingendo l'acqua del mare di un rosso morbido. Cozumel sembra il posto ideale per dimenticare tutto ciò che è stato: una sensazione di pace che nasce da un equilibrio perfetto tra bellezza naturale e rilassamento totale.

L’inglese, però, non riesce a trattenersi e, con un sorriso malizioso, domanda:
“And women?”

L’italiano lo guarda, come se stesse aspettando proprio quella domanda.
“Le donne?” ripete lentamente, mettendo un accento curioso sul termine. “Ah... le donne sono il vero miracolo: ordine e disordine insieme, nello stesso momento.” Gli occhi brillano di una complicità che fa da eco a ciò che si intende senza dirlo troppo chiaramente.

L’inglese scoppia a ridere, lanciando uno sguardo verso l’orizzonte.
“Shakespeare?” chiede, pensandoci per un attimo.
L’italiano scoppia a ridere anche lui, ma poi scuote la testa con un sorriso sornione.
“No, Man” risponde, “Anonimo. Come tutte le verità che nessuno ha il coraggio di firmare.”

A quel punto, i due si fermano. Il rum scivola giù con naturalezza, mentre la brezza marina sembra portare via ogni pensiero. La sabbia sotto i piedi è ancora calda, ma la pace che regna intorno a loro è quasi surreale. Gli ultimi raggi di sole si mescolano con la luce delle lampade del bar e tutto sembra smettere di muoversi per un attimo.

L’italiano prende un altro sorso, poi si rivolge all’inglese, alzando il bicchiere.
“Alla... fuga.”

“Alla fuga” risponde l’inglese, con un sorriso soddisfatto. Entrambi si guardano per un istante, complici in una verità che nessuno dei due ha bisogno di esplicitare, mentre il cielo di Cozumel diventa sempre più scuro, e la loro conversazione continua a svolgersi al ritmo del mare.

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