Con l’approssimarsi del 9
novembre mi sembrava naturale, persino ovvio dedicare lo spazio riservatomi
dalla redazione per il numero che chiuderà il 2009 alla “celebrazione” di quel
fatale giovedì di 20 anni fa, il giorno che i tedeschi chiamano “Die Wende”, la
svolta, ovvero la “caduta del muro di Berlino”.
Impossibile non prendere in
considerazione il “tema” e cadere nella trappola, visto il tam tam mediatico a
cui si è stati sottoposti quest’anno: pubblicazioni, memorie, analisi ex post,
documentari, persino festival teatrali dedicati, figuriamoci poi per uno come
chi vi scrive, la cui vita si è interamente svolta in una regione di confine
profondamente incisa dalle vicende legate alle cause che prima hanno portato
alla costruzione, poi al lungo permanere ed infine al crollo repentino del
Muro.
Infatti con decisione avevo
iniziato il “lavoro” fino a quando, intento a scrivere, l’occhio per un attimo
si è posato su di un libro di poesie slovene che mi è stato recentemente
regalato: “Alojz Gradnik – Pesmi” (Poesie).
Di botto ho pensato che forse era
meglio commemorare la caduta del Muro gettando nel cestino virtuale del PC il
lavoro fin lì svolto, come gli effetti del crollo del comunismo fecero sulla
mia avviata tesi di laurea sul commercio italo-jugoslavo iniziata nel settembre
1989 e finita nella spazzatura reale nell’estate del 1991 per la non
immaginabile e sanguinosa fine della Repubblica Federativa Socialista di
Jugoslavia.
Cosa mai potevo aggiungere che
non sapesse di già sentito e di già detto? Meglio farsi venire qualche idea
meno scontata; così ho cancellato il file, sono sceso in strada, ho preso
l’auto e sono partito da Cividale in direzione Venko per raggiungere il borgo
di Medana nella Goriška Brda.
Con questi pensieri sono arrivato
a Medana, piccolo borgo costruito intorno alla Chiesa sulla cima di una delle
tante colline che costituiscono la Brda, e ho raggiunto la casa dove è nato e
vissuto il poeta Alojz Gradnik; l’edificio si trova fuori dal borgo ed è
attualmente in stato di abbandono,
nonostante nel giardino si tenga ogni anno in estate dal 1998 un
festival internazionale di poesia a lui dedicato.
Il posto è magico: sedersi e
rimanere in silenzio a scrutare all’orizzonte i riflessi del mare Adriatico che
viene limitato dalla pianura friulana la quale a sua volta, senza discontinuità
oltrepassa la conca di Gorizia e incontra le riva del mare slavo che termina a
Vladivostock, è un esperienza da provare anche per gli animi meno sensibili
alle domande a cui tutti, prima o poi, cerchiamo vanamente una risposta
convincente.
Alojz Gradnik nacque a Medana il
3 agosto 1882 e morì a Lubiana il 14 luglio 1967; il padre nato a Trieste era
sloveno e in povertà si trasferì nel Collio dove fece una fortuna con la
coltivazione della vite, mentre la madre, anch’essa di umili origini, era
friulana e proveniva da una famiglia residente a Medea.
Il padre mandò il giovane
Alojz prima a Gorizia per frequentare il
prestigioso e plurilingue Ginnasio di Stato e poi a Vienna, dove nel 1907 conseguì
la laurea in legge e si avviò alla professione di magistrato.
Dal 1907 al 1909 operò in Cormons
e le sue lingue veicolari furono l’italiano e il friulano, tanto che nel 1957
in occasione del Congresso annuale della Società Filologica Friulana in Cormons,
nel numero unico di “Sot la Mont e sot la Nape” ricordò i suoi parenti friulani
e la latinità del periodo cormonese.
Successivamente dal 1909 al 1920
prestò servizio a Pola, a Gorizia ed in altre località minori del litorale, per
poi emigrare nel Regno di Jugoslavia a seguito della fine dell’Impero di
Austria-Ungheria e del passaggio del Goriziano all’amministrazione italiana; a
Belgrado fu consulente del Ministero della Giustizia e dal 1936 al 1941 a
Zagabria fu membro della Corte di cassazione con giurisdizione sui territori
già facenti parte dell’Impero asburgico.
A seguito dell’invasione della
Jugoslavia da parte delle forze dell’Asse e la creazione dello Stato
indipendente di Croazia, le autorità fasciste di Zagabria lo espulsero quale
persona indesiderata ed Alojz Gradnik trovò riparo a Lubiana, dove le autorità
italiane, lo fecero internare nel campo di Gonars; terminata la seconda guerra
mondiale, nonostante Gradnik fosse sempre stato un convinto antifascista, un
simpatizzante del Fronte di Liberazione Nazionale ed avesse persino scritto dei
poemi che sostenevano la lotta di liberazione contro i nazi-fascisti, il regime
comunista jugoslavo lo costrinse ai margini della vita sociale a causa del suo
intimo sentimento religioso e per lo stile dei suoi scritti ritenuti troppo
ispirati ad una visione del mondo conservatrice e troppo basata sulle antiche
tradizioni e quindi non conformi al realismo socialista.
Solamente in seguito alla caduta
del regime e alla nascita del nuovo stato Sloveno sovrano, la figura di Alojz
Gradnik è stata “scoperta” ed elevata al rango di poeta della nazione slovena,
tanto che il recente studio dei suoi scritti ha notevolmente influenzato la
poetica dei poeti sloveni contemporanei.
Passeggiando per il giardino
della sua casa io credo che definire Alojz Gradnik un poeta sloveno, sia
riduttivo, a meno di non considerare la popolazione di lingua slovena che abita
da secoli il Litorale e la Brda per quello che è: un’incredibile spugna che,
mantenendo e difendendo fieramente le sue tradizioni linguistiche e culturali,
ha saputo assorbire fecondamente gli echi delle tradizioni linguistiche e
culturali a lei contermini ed in primis quelle del mondo latino e friulano.
Alojz Gradnik ne è testimone
vivente: i suoi natali ove si è mescolato il sangue sloveno a quello friulano,
le vicende storiche che hanno fatto sfondo non neutro alla sua vita, la sua
copiosa opera letteraria in lingua slovena tutta tesa al “canto” dei valori che
non mutano nei secoli nonostante il progresso e soprattutto la sua opera di
traduttore poligolotta.
Nonostante le pene inflitte alla
sua condizione umana e professionale dal regime fascista, Alojz Gradnik fu
grande amante della letteratura italiana al punto da tradurre in sloveno i
primi due canti della Divina Commedia e diverse opere di Francesco Petrarca,
Michelangelo, Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi, Giosuè Carducci, nonché dal
friulano allo sloveno le poesie di Novella Cantarutti, Aurelio Cantoni e Dino
Virgili.
Alojz Gradnik oltre allo sloveno,
al friulano, all’italiano parlava correntemente in tedesco, serbo-croato,
inglese e francese e conosceva il russo, l’ungherese, lo spagnolo, il latino,
il greco antico e studiò diverse lingue orientali tra cui il sanscrito, il
persiano ed il cinese mandarino; l’opera di mediazione culturale tra la
letteratura mondiale e quella slovena compiuta dal poeta di Medana è
straordinaria, se si pensa che grazie a lui in Slovenia furono fruibili in
lingua slovena le opere di Tagore, Rolland, Omar Khayyam, Chechov, Petöfi,
Garcia Lorca, Ramon Jimenez e di molti altri ancora.
Dalla casa di Alojz ho fatto a
piedi poche centinaia di metri e ho raggiunto il cimitero dove riposano le
spoglie di questo “grande”, certamente sconosciuto ai più ma la cui opera e la
cui vicenda umana, penso possa rappresentare nei secoli dei secoli, un luminoso
esempio.
Ecco svelato il segreto che un
animo sensibile potrà far suo vagando senza meta tra i tanti piccoli paesi
arrampicati sui dolci colli della Brda.
Sono rientrato a Cividale in
tarda serata, constatando a ritroso come passando il “confine”, il paesaggio
umano perda ai miei occhi i toni dolci e curati della Brda per scemare nell’abbandono e nella tristezza:
l’esatto opposto di ciò che accadeva 20 anni fa, quando facevo in senso
contrario quel viaggio per riempire il serbatoio della mia auto, prima della
caduta del muro di Berlino e l’inizio de “Die Wende”.
RIVA DEGLI SCHIAVONI
Mostravi rispetto per gli armeni
e per i torvi schipetari dalle lunghe gambe,
per i neri africani, per gli imperatori di Bisanzio
e per tutti gli elleni infedeli e sanguemisti.
Invece, noi sloveni, cos’eravamo per te?
“Degli Schiavoni”. E’ il segno del disprezzo
un tal nome? Siamo stati barbari
forse, servi per te a buon mercato?
Apri il libro della Storia!
Chi ti ha dato per la tua laguna i tronchi
da lunghi secoli ormai lambiti dal mare?
Chi ti ha difeso dalla luna musulmana,
chi guidava le tue navi alla vittoria,
e poi – da dove veniva il tuo doge Grandenigo?
EROS – TANATOS
Ti ho bevuta ma non sino alla fine, Amore.
Come vino profumato di dolci viti
t’ho gustato tanto da inebriarmi
e da non capire che tu sei la Morte.
Ho guardato nelle paurose tenebre dei tuoi abissi:
ma avendo lo sguardo velato dall’amarezza
non ho visto, o Morte,
che sei tu il più segreto Amore.
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