Praga, giugno 2006
L’appuntamento con la
nostra protagonista è fissato per le 18,00 di questa sera, presso il suo
piccolo appartamento situato nel centro della Città Vecchia e così ho
approfittato per perdermi, come consuetudine, tra i vicoli di Praga, con il
medesimo stupore e con il batticuore di sempre, interrogandomi sulle ragioni di
questi stati d’animo, che mi accompagnano ogni volta che la sorte mi concede di
passeggiare liberamente e senza meta per queste vie.
Dopo aver gustato un paio
di buone birre in uno dei tanti bar all’aperto che colorano la piazza di Staro
Mesto, assorto in tali pensieri senza trovare neanche questa volta una
soluzione convincente e mentre mi domando se per il cuore di questa Città
meravigliosa siano state più pericolose e devastanti le invasioni degli
eserciti stranieri, a partire dalla guerra dei trent’anni sino a giungere a
quella sovietica del 1968, o lo siano quelle che ormai quotidianamente si
verificano dal 1990 ad opera di orde di turisti giunti da ogni parte del
pianeta, i battiti dell’orologio della Torre bruscamente mi segnalano che è
tempo di fare la conoscenza di Vera Caslavskà.
Buonasera Signora Caslavskà e
grazie per avermi accordato questa intervista.
Buonasera. Lei è davvero fortunato… lo sa? Non ringrazi
me comunque, ma mia figlia Radka, l’unica persona di cui mi fidi e a cui
permetto solitamente di farmi visita qui a Praga, quando non sono a Bohnice, a
curare la mia depressione.. Se ho deciso di parlare con lei dipende solo dalle
insistenze di Radka, che a quanto pare ha un debole per l’Italia e per gli
italiani mezzi matti come lei… Non si aspetti però da me grandi cose o chissà
quali rivelazioni.. se è qui per questo rimarrà molto deluso, prima lei dei
suoi lettori.
No, no… non cerco lo
“scoop”, ma solo di portare in Italia la
sua storia raccontata dalla sua voce…
Radka mi ha lungamente parlato della sua infanzia Signora Caslavskà,
trascorsa durante gli anni ‘40 in una Praga appena uscita dalla guerra… Lei
cosa ricorda di quel periodo?
Non molto per la verità, visto che sono nata il 3 maggio
del 1942… più che fatti precisi ricordo suoni, melodie… nonostante le
difficoltà di quel tempo nel soddisfare i bisogni primari e la famiglia
numerosa, mia madre volle che io ed i miei quattro fratelli imparassimo ad
amare la musica, addirittura ancor prima delle persone: ci diceva che la musica
era la strada più diretta per conoscere la nostra anima ed i nostri sentimenti
e che quello era ciò che più contava nella vita… magari qualche giorno poteva
mancare il cibo alla nostra tavola, ma il nostro maestro di violino veniva
regolarmente saldato...
Una musicista mancata allora…
No, assolutamente… la musica mi piaceva solo ascoltarla,
fui proprio una delusione per mia madre.. la mia anima, il mio essere,
trovavano la loro via per esprimersi compiutamente attraverso la danza, la
musica era solo la scintilla che accendeva la fisicità…
E all’inizio questa “fisicità” si manifestò attraverso
la pratica del pattinaggio artistico… Giusto?
Si, è esatto; tutti i miei istruttori dicevano che ero
una predestinata, che in quella disciplina avevo un futuro radioso. Quell’astro
si spense a soli quindici anni, quando un fortuito incidente in allenamento,
oltre che rischiare di segnare il mio viso in modo permanente, mi fece abbandonare per sempre i pattini…
E qui inizia un’altra storia, la sua storia. Il suo
talento viene invece messo a frutto nella ginnastica artistica, dove sotto la
guida della futura campionessa olimpica di Roma 1960, Eva Bosakovà, entra in
breve a far parte della nazionale del suo paese.. e qui mi limito a leggere
l’almanacco: ottava ai Mondiali 1958, oro europeo alla trave nel 1959, ottava
nell’individuale e sesta alla trave a Roma 1960 gareggiando assieme alla sua
maestra, cinque ori europei sia nel 1965 che nel 1967, tre ori olimpici a Tokio
1964 e quattro successi mondiali tra il 1962 ed il 1966… poi arriva la
consacrazione definitiva a Città del Messico, Olimpiadi 1968..
Il volto di Vera Caslavskà a questo punto si
contrae in una smorfia, ed i suoi occhi, che mentre procedevo in quell’elenco
di trionfi sportivi si erano fatti via via sempre più gonfi, fissano ora le
mille guglie ed i tetti di Praga visibili dalla finestra del suo piccolo e
scarno appartamento, e rilasciano due lacrime, che scorrono veloci tra solchi
della pelle del suo viso…
Il silenzio nella stanza, in quel momento, sembra
urlare più della folla dei palazzetti e delle palestre che hanno assistito alle
sue vittorie e da parte mia l’imbarazzo cresce… mi sento bloccato dalla paura
nel formulare la prossima domanda…
Fortunatamente è Vera che mi anticipa…
Prima di Città del Messico accadono molte altre cose… non
so cosa lei possa sapere e comprendere di quello che fu la primavera del 1968
per noi praghesi…mentre a occidente ovunque i giovani si ribellavano per
abbattere il “sistema capitalistico” sventolando le bandiere ed i simboli del
comunismo, nel nostro paese un’intera società e non solo le nuove
generazioni, accoglievano con entusiasmo le timide auto-riforme che il regime
comunista aveva lanciato dall’alto e per portare quello stesso regime ben oltre
le sue intenzioni e con una velocità non compatibile nel mondo del 1968…
Queste però sono considerazioni con il “senno di
poi”.. mi permetta signora Caslavskà… allora mi pare voi tutti vi illudeste che
il sistema si potesse trasformare, diciamo così, senza colpo ferire. Anche lei
se non sbaglio, assieme agli intellettuali e a molte altre personalità del suo
paese, firmò il “Manifesto delle duemila parole”, il famoso documento con cui
si chiedeva un deciso passaggio verso un sistema democratico e la fine di ogni
forma di censura…
Guardi, nella primavera del 1968 io avevo 26 anni, per di
più ero innamorata di un mezzofondista e passavo quasi interamente le mie giornate
in palestra senza interessarmi di politica.. però respiravo l’aria che c’era nel
mio paese ed era impossibile, per chiunque fosse onesto con se stesso, non
parteciparvi e non lasciarsi trasportare dalla speranza e anche se, come lei
forse saprà già, quella firma in seguito mi causò un mare di guai, la rifarei
comunque ogni giorno della mia vita!
Nuovamente il volto della donna sembra essere
distorto dal ricordo e a stento Vera trattiene le lacrime, anche se questa
volta, i muscoli del viso sembrano essersi contratti per la rabbia e non per la
commozione, come qualche momento prima.
Segue un altro silenzio carico di grida e rumori,
gli stessi che Vera Caslavkà sembra udire anche adesso, che i suoi occhi si
sono posati di nuovo sulle mille luci che iniziano ad illuminare la città al
calare delle prime ombre della sera.
Sono i rumori della notte del 20 agosto 1968,
dominata in tutta la Cecoslovacchia dallo sferragliare dei seimila carri armati
del Patto di Varsavia, dal rombo dei Mig a bassa quota, dal crepitare isolato
delle raffiche dei Kalashinokov e dalle urla della folla incredula.
Come prima, Vera non attende la mia prossima
domanda, e riprende il suo racconto.
Come avevano previsto quelli che la maggioranza di noi
definiva ingenuamente pessimisti, nel
mese di agosto arrivarono i russi con i loro carri armati per rimettere le cose
a posto… e le rimisero, eccome se le rimisero…scatenarono una vera e propria
caccia alle streghe! Dopo neanche una settimana uno dei miei fratelli, Vaclav,
fu prelevato dalla polizia segreta con l’accusa di propaganda antisovietica ed
io, il giorno dopo, temendo di subire la stessa sorte, lasciai il mio campo di
allenamento in Moravia per raggiungere il piccolo paese di Sumperk, tra i monti
Jeseniky, vicino ad Ostrava…
Ma se non sbaglio mancava meno di un mese all’inizio
delle Olimpiadi di Città del Messico? Come fece ad allenarsi?
Veramente non ero neppure sicura di potervi partecipare,
data la situazione temevo per la mia incolumità… Passai quelle lunghe giornate,
nascosta come un ladro, spostando sacchi di patate per mantenere allenata la
mia muscolatura e facendo esercizi alla meno peggio…
Ma all’ultimo momento il restaurato regime ritenne che io
le fossi più utile in Messico a rappresentarlo, che in Cecoslovacchia nascosta
o in carcere… in fin dei conti all’epoca ero un’atleta di fama internazionale!
Così qualche giorno prima dell’inizio dei Giochi Olimpici un’autovettura della
Polizia mi prelevò per portarmi direttamente all’aeroporto di Praga,
destinazione Città del Messico…
Il volto di Vera sembra farsi per un attimo
raggiante.
E qui l’incredibile, nonostante i precari e
rudimentali allenamenti dell’ultimo mese, il trionfo assoluto: 4 medaglie
d’oro, sempre sul gradino più alto del podio, con le ginnaste sovietiche più in
basso costrette ad udire l’inno nazionale ceco!
Come capita spesso anche a voi italiani nello sport, è nei momenti di difficoltà più estrema che
si trova il modo di esprimere il meglio di se stessi; è davvero sorprendente
quello che è in grado di fare il nostro corpo quando entra in simbiosi con il
nostro animo e la nostra più profonda volontà!
Ne devo prendere atto senza fiatare! Nessuno a Città del Messico potrà mai
dimenticare la sua finale dell’esercizio a corpo libero, sulle note della celeberrima
“Raspa”, la danza messicana del sombrero!
Vera abbozza un sorriso, poi il suo sguardo sembra
fissarsi sul vaso di fiori appoggiato in mezzo al tavolo del soggiorno... un
nuovo silenzio che grida…
Dalla strada giungono voci di giovanotti che fanno
baldoria… nella birreria al piano terra dell’edificio c’è una festa, si
festeggia un amico che deve sposarsi di lì a pochi giorni..
Il volto di Vera è divenuto di marmo; improvvisamente, i suoi occhi sembrano
animarsi di nuovo e mi fissano, mi scrutano in profondità… lei sa che io
conosco il resto della sua storia e cerca di capire che razza di uomo sono… se
avverto che i suoi nervi sono resi fragili e tesi dalla vita come le corde del
violino che la madre voleva imparasse a suonare da bambina…
Ho capito
che andare oltre questa soglia non sarebbe giornalismo, ma diventerebbe
sciacallaggio, e così ho deciso di non proseguire l’intervista; questa volta
sono io ad interrompere l’ennesimo silenzio che parla.
Signora Caslavkà, l’intervista è terminata…
Prima che io abbia il tempo di continuare, la donna
che la stampa occidentale definì La donna dell’anno 1968 insieme a
Jackie Kennedy, si è già alzata dalla sua sedia, ha allungato la sua mano
versa la mia e l’ha stretta con dolcezza e teneramente mi ha baciato la guancia
e accompagnandomi alla sua porta mi ha sussurrato:
Si faccia raccontare il resto della mia storia da mia
figlia Radka e, se ritiene che gli italiani non siano tutti matti come lei, la
scriva pure sul suo giornale. Arrivederci.
Dopo essere rimasto inebetito per qualche minuto
dinnanzi alla porta chiusa della casa di Vera, mi sono di nuovo perso nei
vicoli di Staro Mesto prima di raggiungere e passare il Karluv Most e
finalmente, con l’animo in un tumulto crescente, ho raggiunto il mio albergo
nella Nerudova Ulica a Mala Strana.
Non riesco a togliermi di dosso quel fremito e
l’aumento del battito cardiaco che quella stretta, quel bacio di quella donna
di 64 anni, tormentata dal male oscuro della depressione, mi hanno provocato… Eppoi le sue ultime
parole: “se gli italiani non sono tutti matti come lei, scriva pure il resto
della storia”… la mia passeggiata notturna per Praga certo non ha attenuato i
dubbi, la strana magia di quell’incontro e non mi ha chiarito
l’opportunità di pubblicare il resto della storia.
Cividale del Friuli, luglio 2006
Sono rientrato in Italia da neanche due giorni, ho
letto i giornali, ho ripreso la quotidianità
e ho subito telefonato a
Radka per comunicarle la decisione di
scrivere un seguito dell’intervista sulla base delle notizie che lei mi ha dato
dopo l’incontro con Vera, pregandola di salutare affettuosamente sua madre e di
ringraziarla per aver dedicato ad un matto italiano un po’ del suo tempo.
Dunque, dopo aver vinto l’ultima medaglia d’oro a
Città del Messico ed averla dedicata ad Alexander Dubček, Vera Caslavskà sposò
con rito cattolico, dopo il rito civile all’Ambasciata cecoslovacca, nella
cattedrale di Plaza Xocalo nella capitale messicana, il suo collega olimpionico di mezzofondo e primatista mondiale dei 2000
metri, Josef Odlozil. Partecipò alla cerimonia nuziale il Presidente della
Repubblica messicana Gustavo Diaz Ordaz, mentre nella piazza antistante la
Chiesa si erano assiepate decina di migliaia di persone, giunte spontaneamente
per festeggiare gli sposi.
Al ritorno in Patria, il restaurato Regime
presentò il conto da saldare per il
trionfo messicano: divieto di rilasciare in interviste, divieto di espatriare
ed esclusione dalla squadra nazionale; fino al 1974, quando la Caslavka
ritrattò la sua firma al Manifesto delle 2000 parole, sarà privata anche della
possibilità di allenare e lavorare nel settore dello sport.
Nel 1979, su richiesta del governo messicano, il
regime la autorizzò a recarsi con il marito in Messico, per allenare la
nazionale di quel paese; la permanenza in Centroamerica durò poco, Vera
rientrerà in Patria nel 1980, quando il fratello Vaclav, in seguito alle
torture subite dalla polizia politica, morirà a soli 33 anni ed i genitori, non
riuscendo a resistere al dolore, morirono anch’essi a distanza di pochi mesi l’uno
dall’altro.
Nel 1987, termina bruscamente anche il matrimonio con
Odlazil e Vera resta sola con i suoi due figli Martin e Radka.
Il regime si frantuma nel 1989, in seguito alla caduta
del muro di Berlino ed il nuovo Presidente della Repubblica Havel vuole vicino
a sè Vera Caslavska, offrendole diversi incarichi di prestigio e lei accetta
quello di Presidente del Comitato Olimpico Nazionale, carica che ricopre dal
1990 al 1993, quando viene designata quale membro del Comitato Olimpico
Internazionale.
Ma non c’è lieto fine; un’altra notte d’estate
risulterà fatale: quella del 6 agosto 1993, quando in seguito ad una rissa
scoppiata tra giovani in preda ai fumi dell’alcol nella discoteca di Domasov,
il figlio diciannovenne Martin ha un diverbio con il padre ed ex marito Josef
Odlazil. Il diverbio degenera ed il padre, colpito da un pugno del figlio, nel
cadere in terra riporta un trauma cranico, che prima lo conduce al coma ed
infine, dopo 4 settimane, alla morte.
Il figlio Martin viene condannato per omicidio preterintenzionale a 4 anni di reclusione e, nel 1997, a seguito anche di una
petizione sottoscritta da diversi firmatari dell’Appello delle 2000 parole tra
cui Emil Zàtopek, viene graziato dal Presidente Havel.
Nonostante Vera non abbia né firmato e né chiesto
nulla per il figlio, la seconda moglie di Josef Odlazil, la accusa sulla stampa
di aver indotto il Presidente all’atto di grazia.
L’opinione pubblica si divide e qualcosa si spezza
definitivamente anche in Vera Caslavska, che da allora trascorre, senza concedere
interviste, la sua vita tra il suo appartamento nel centro di Praga e la Casa
di cure psichiatriche di Bohnice.
Fino al 30 agosto 2016, quando da Praga ha spiccato l'ultimo volo verso l'Eternità.
L’angelo disperato di Città del Messico.
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