martedì 18 aprile 2017

UNA STORIA ... VERA

Praga, giugno 2006

L’appuntamento con la nostra protagonista è fissato per le 18,00 di questa sera, presso il suo piccolo appartamento situato nel centro della Città Vecchia e così ho approfittato per perdermi, come consuetudine, tra i vicoli di Praga, con il medesimo stupore e con il batticuore di sempre, interrogandomi sulle ragioni di questi stati d’animo, che mi accompagnano ogni volta che la sorte mi concede di passeggiare liberamente e senza meta per queste vie.
Dopo aver gustato un paio di buone birre in uno dei tanti bar all’aperto che colorano la piazza di Staro Mesto, assorto in tali pensieri senza trovare neanche questa volta una soluzione convincente e mentre mi domando se per il cuore di questa Città meravigliosa siano state più pericolose e devastanti le invasioni degli eserciti stranieri, a partire dalla guerra dei trent’anni sino a giungere a quella sovietica del 1968, o lo siano quelle che ormai quotidianamente si verificano dal 1990 ad opera di orde di turisti giunti da ogni parte del pianeta, i battiti dell’orologio della Torre bruscamente mi segnalano che è tempo di fare la conoscenza di Vera Caslavskà.

Buonasera Signora Caslavskà e grazie per avermi accordato questa intervista.

Buonasera. Lei è davvero fortunato… lo sa? Non ringrazi me comunque, ma mia figlia Radka, l’unica persona di cui mi fidi e a cui permetto solitamente di farmi visita qui a Praga, quando non sono a Bohnice, a curare la mia depressione.. Se ho deciso di parlare con lei dipende solo dalle insistenze di Radka, che a quanto pare ha un debole per l’Italia e per gli italiani mezzi matti come lei… Non si aspetti però da me grandi cose o chissà quali rivelazioni.. se è qui per questo rimarrà molto deluso, prima lei dei suoi lettori.

No, no… non cerco lo “scoop”,  ma solo di portare in Italia la sua storia raccontata dalla sua voce…  Radka mi ha lungamente parlato della sua infanzia Signora Caslavskà, trascorsa durante gli anni ‘40 in una Praga appena uscita dalla guerra… Lei cosa ricorda di quel periodo?

Non molto per la verità, visto che sono nata il 3 maggio del 1942… più che fatti precisi ricordo suoni, melodie… nonostante le difficoltà di quel tempo nel soddisfare i bisogni primari e la famiglia numerosa, mia madre volle che io ed i miei quattro fratelli imparassimo ad amare la musica, addirittura ancor prima delle persone: ci diceva che la musica era la strada più diretta per conoscere la nostra anima ed i nostri sentimenti e che quello era ciò che più contava nella vita… magari qualche giorno poteva mancare il cibo alla nostra tavola, ma il nostro maestro di violino veniva regolarmente saldato...

Una musicista mancata allora…

No, assolutamente… la musica mi piaceva solo ascoltarla, fui proprio una delusione per mia madre.. la mia anima, il mio essere, trovavano la loro via per esprimersi compiutamente attraverso la danza, la musica era solo la scintilla che accendeva la fisicità…

E all’inizio questa “fisicità” si manifestò attraverso la pratica del pattinaggio artistico… Giusto?

Si, è esatto; tutti i miei istruttori dicevano che ero una predestinata, che in quella disciplina avevo un futuro radioso. Quell’astro si spense a soli quindici anni, quando un fortuito incidente in allenamento, oltre che rischiare di segnare il mio viso in modo permanente,  mi fece abbandonare per sempre i pattini…

E qui inizia un’altra storia, la sua storia. Il suo talento viene invece messo a frutto nella ginnastica artistica, dove sotto la guida della futura campionessa olimpica di Roma 1960, Eva Bosakovà, entra in breve a far parte della nazionale del suo paese.. e qui mi limito a leggere l’almanacco: ottava ai Mondiali 1958, oro europeo alla trave nel 1959, ottava nell’individuale e sesta alla trave a Roma 1960 gareggiando assieme alla sua maestra, cinque ori europei sia nel 1965 che nel 1967, tre ori olimpici a Tokio 1964 e quattro successi mondiali tra il 1962 ed il 1966… poi arriva la consacrazione definitiva a Città del Messico, Olimpiadi 1968..

Il volto di Vera Caslavskà a questo punto si contrae in una smorfia, ed i suoi occhi, che mentre procedevo in quell’elenco di trionfi sportivi si erano fatti via via sempre più gonfi, fissano ora le mille guglie ed i tetti di Praga visibili dalla finestra del suo piccolo e scarno appartamento, e rilasciano due lacrime, che scorrono veloci tra solchi della pelle del suo viso…
Il silenzio nella stanza, in quel momento, sembra urlare più della folla dei palazzetti e delle palestre che hanno assistito alle sue vittorie e da parte mia l’imbarazzo cresce… mi sento bloccato dalla paura nel formulare la prossima domanda…  Fortunatamente è Vera che mi anticipa…

Prima di Città del Messico accadono molte altre cose… non so cosa lei possa sapere e comprendere di quello che fu la primavera del 1968 per noi praghesi…mentre a occidente ovunque i giovani si ribellavano per abbattere il “sistema capitalistico” sventolando le bandiere ed i simboli del comunismo, nel nostro paese un’intera società e non solo le nuove generazioni, accoglievano con entusiasmo le timide auto-riforme che il regime comunista aveva lanciato dall’alto e per portare quello stesso regime ben oltre le sue intenzioni e con una velocità non compatibile nel mondo del 1968…

Queste però sono considerazioni con il “senno di poi”.. mi permetta signora Caslavskà… allora mi pare voi tutti vi illudeste che il sistema si potesse trasformare, diciamo così, senza colpo ferire. Anche lei se non sbaglio, assieme agli intellettuali e a molte altre personalità del suo paese, firmò il “Manifesto delle duemila parole”, il famoso documento con cui si chiedeva un deciso passaggio verso un sistema democratico e la fine di ogni forma di censura…

Guardi, nella primavera del 1968 io avevo 26 anni, per di più ero innamorata di un mezzofondista e passavo quasi interamente le mie giornate in palestra senza interessarmi di politica.. però respiravo l’aria che c’era nel mio paese ed era impossibile, per chiunque fosse onesto con se stesso, non parteciparvi e non lasciarsi trasportare dalla speranza e anche se, come lei forse saprà già, quella firma in seguito mi causò un mare di guai, la rifarei comunque ogni giorno della mia vita!

Nuovamente il volto della donna sembra essere distorto dal ricordo e a stento Vera trattiene le lacrime, anche se questa volta, i muscoli del viso sembrano essersi contratti per la rabbia e non per la commozione, come qualche momento prima.
Segue un altro silenzio carico di grida e rumori, gli stessi che Vera Caslavkà sembra udire anche adesso, che i suoi occhi si sono posati di nuovo sulle mille luci che iniziano ad illuminare la città al calare delle prime ombre della sera.
Sono i rumori della notte del 20 agosto 1968, dominata in tutta la Cecoslovacchia dallo sferragliare dei seimila carri armati del Patto di Varsavia, dal rombo dei Mig a bassa quota, dal crepitare isolato delle raffiche dei Kalashinokov e dalle urla della folla incredula.
Come prima, Vera non attende la mia prossima domanda, e riprende il suo racconto.

Come avevano previsto quelli che la maggioranza di noi definiva ingenuamente  pessimisti, nel mese di agosto arrivarono i russi con i loro carri armati per rimettere le cose a posto… e le rimisero, eccome se le rimisero…scatenarono una vera e propria caccia alle streghe! Dopo neanche una settimana uno dei miei fratelli, Vaclav, fu prelevato dalla polizia segreta con l’accusa di propaganda antisovietica ed io, il giorno dopo, temendo di subire la stessa sorte, lasciai il mio campo di allenamento in Moravia per raggiungere il piccolo paese di Sumperk, tra i monti Jeseniky, vicino ad Ostrava…

Ma se non sbaglio mancava meno di un mese all’inizio delle Olimpiadi di Città del Messico? Come fece ad allenarsi?

Veramente non ero neppure sicura di potervi partecipare, data la situazione temevo per la mia incolumità… Passai quelle lunghe giornate, nascosta come un ladro, spostando sacchi di patate per mantenere allenata la mia muscolatura e facendo esercizi alla meno peggio…
Ma all’ultimo momento il restaurato regime ritenne che io le fossi più utile in Messico a rappresentarlo, che in Cecoslovacchia nascosta o in carcere… in fin dei conti all’epoca ero un’atleta di fama internazionale! Così qualche giorno prima dell’inizio dei Giochi Olimpici un’autovettura della Polizia mi prelevò per portarmi direttamente all’aeroporto di Praga, destinazione Città del Messico…

Il volto di Vera sembra farsi per un attimo raggiante.

E qui l’incredibile, nonostante i precari e rudimentali allenamenti dell’ultimo mese, il trionfo assoluto: 4 medaglie d’oro, sempre sul gradino più alto del podio, con le ginnaste sovietiche più in basso costrette ad udire l’inno nazionale ceco!

Come capita spesso anche a voi italiani nello sport,  è nei momenti di difficoltà più estrema che si trova il modo di esprimere il meglio di se stessi; è davvero sorprendente quello che è in grado di fare il nostro corpo quando entra in simbiosi con il nostro animo e la nostra più profonda volontà!

Ne devo prendere atto senza fiatare!  Nessuno a Città del Messico potrà mai dimenticare la sua finale dell’esercizio a corpo libero, sulle note della celeberrima “Raspa”, la danza messicana del sombrero!
Vera abbozza un sorriso, poi il suo sguardo sembra fissarsi sul vaso di fiori appoggiato in mezzo al tavolo del soggiorno... un nuovo silenzio che grida…
Dalla strada giungono voci di giovanotti che fanno baldoria… nella birreria al piano terra dell’edificio c’è una festa, si festeggia un amico che deve sposarsi di lì a pochi giorni..
Il volto di Vera è divenuto di  marmo; improvvisamente, i suoi occhi sembrano animarsi di nuovo e mi fissano, mi scrutano in profondità… lei sa che io conosco il resto della sua storia e cerca di capire che razza di uomo sono… se avverto che i suoi nervi sono resi fragili e tesi dalla vita come le corde del violino che la madre voleva imparasse a suonare da bambina…
 Ho capito che andare oltre questa soglia non sarebbe giornalismo, ma diventerebbe sciacallaggio, e così ho deciso di non proseguire l’intervista; questa volta sono io ad interrompere l’ennesimo silenzio che parla.

Signora Caslavkà, l’intervista è terminata…

Prima che io abbia il tempo di continuare, la donna che la stampa occidentale definì La donna dell’anno 1968 insieme a Jackie Kennedy, si è già alzata dalla sua sedia, ha allungato la sua mano versa la mia e l’ha stretta con dolcezza e teneramente mi ha baciato la guancia e accompagnandomi alla sua porta mi ha sussurrato:

Si faccia raccontare il resto della mia storia da mia figlia Radka e, se ritiene che gli italiani non siano tutti matti come lei, la scriva pure sul suo giornale. Arrivederci.

Dopo essere rimasto inebetito per qualche minuto dinnanzi alla porta chiusa della casa di Vera, mi sono di nuovo perso nei vicoli di Staro Mesto prima di raggiungere e passare il Karluv Most e finalmente, con l’animo in un tumulto crescente, ho raggiunto il mio albergo nella Nerudova Ulica a Mala Strana.
Non riesco a togliermi di dosso quel fremito e l’aumento del battito cardiaco che quella stretta, quel bacio di quella donna di 64 anni, tormentata dal male oscuro della depressione,  mi hanno provocato… Eppoi le sue ultime parole: “se gli italiani non sono tutti matti come lei, scriva pure il resto della storia”… la mia passeggiata notturna per Praga certo non ha attenuato i dubbi,  la strana magia  di quell’incontro e non mi ha chiarito l’opportunità di pubblicare il resto della storia.

Cividale del Friuli, luglio 2006

Sono rientrato in Italia da neanche due giorni, ho letto i giornali, ho ripreso la quotidianità  e ho subito  telefonato a Radka  per comunicarle la decisione di scrivere un seguito dell’intervista sulla base delle notizie che lei mi ha dato dopo l’incontro con Vera, pregandola di salutare affettuosamente sua madre e di ringraziarla per aver dedicato ad un matto italiano un po’ del suo tempo.

Dunque, dopo aver vinto l’ultima medaglia d’oro a Città del Messico ed averla dedicata ad Alexander Dubček, Vera Caslavskà sposò con rito cattolico, dopo il rito civile all’Ambasciata cecoslovacca, nella cattedrale di Plaza Xocalo nella capitale messicana,  il suo collega olimpionico  di mezzofondo e primatista mondiale dei 2000 metri, Josef Odlozil. Partecipò alla cerimonia nuziale il Presidente della Repubblica messicana Gustavo Diaz Ordaz, mentre nella piazza antistante la Chiesa si erano assiepate decina di migliaia di persone, giunte spontaneamente per festeggiare gli sposi.
Al ritorno in Patria, il restaurato Regime presentò  il conto da saldare per il trionfo messicano: divieto di rilasciare in interviste, divieto di espatriare ed esclusione dalla squadra nazionale; fino al 1974, quando la Caslavka ritrattò la sua firma al Manifesto delle 2000 parole, sarà privata anche della possibilità di allenare e lavorare nel settore dello sport.
Nel 1979, su richiesta del governo messicano, il regime la autorizzò a recarsi con il marito in Messico, per allenare la nazionale di quel paese; la permanenza in Centroamerica durò poco, Vera rientrerà in Patria nel 1980, quando il fratello Vaclav, in seguito alle torture subite dalla polizia politica, morirà a soli 33 anni ed i genitori, non riuscendo a resistere al dolore, morirono anch’essi a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro.
Nel 1987, termina bruscamente anche il matrimonio con Odlazil e Vera resta sola con i suoi due figli Martin e Radka.
Il regime si frantuma nel 1989, in seguito alla caduta del muro di Berlino ed il nuovo Presidente della Repubblica Havel vuole vicino a sè Vera Caslavska, offrendole diversi incarichi di prestigio e lei accetta quello di Presidente del Comitato Olimpico Nazionale, carica che ricopre dal 1990 al 1993, quando viene designata quale membro del Comitato Olimpico Internazionale.
Ma non c’è lieto fine; un’altra notte d’estate risulterà fatale: quella del 6 agosto 1993, quando in seguito ad una rissa scoppiata tra giovani in preda ai fumi dell’alcol nella discoteca di Domasov, il figlio diciannovenne Martin ha un diverbio con il padre ed ex marito Josef Odlazil. Il diverbio degenera ed il padre, colpito da un pugno del figlio, nel cadere in terra riporta un trauma cranico, che prima lo conduce al coma ed infine, dopo 4 settimane, alla morte.
Il figlio Martin viene condannato per omicidio preterintenzionale a 4 anni di reclusione e, nel 1997, a seguito anche di una petizione sottoscritta da diversi firmatari dell’Appello delle 2000 parole tra cui Emil Zàtopek, viene graziato dal Presidente Havel.
Nonostante Vera non abbia né firmato e né chiesto nulla per il figlio, la seconda moglie di Josef Odlazil, la accusa sulla stampa di aver indotto il Presidente all’atto di grazia.
L’opinione pubblica si divide e qualcosa si spezza definitivamente anche in Vera Caslavska, che da allora trascorre, senza concedere interviste, la sua vita tra il suo appartamento nel centro di Praga e la Casa di cure psichiatriche di Bohnice.
Fino al 30 agosto 2016, quando da Praga ha spiccato l'ultimo volo verso l'Eternità.

L’angelo disperato di Città del Messico.

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