Il dottor Lorenzo Ricci avanzava con la sua Moto Guzzi V85 TT lungo una strada secondaria, il motore che ruggiva piano tra le curve dolci del Carso sloveno. L’autunno dipingeva il paesaggio con pennellate rosse e dorate, mentre l’aria portava con sé l’odore di terra umida e legna bruciata.
Era partito da Trieste con l’intenzione di raggiungere Gorizia, ma una deviazione presa d’istinto – o forse per distrazione – lo aveva allontanato dal percorso previsto. Poco male. Da quando era arrivato in questa terra aspra e silenziosa, aveva capito che perdersi non era necessariamente un errore.
Dopo chilometri di solitudine, raggiunse Križ, un piccolo villaggio di case in pietra immerso nella campagna. Qui il tempo sembrava scorrere più lentamente. L’unico segno di vita era una vecchia osteria con l’insegna sbiadita. Spense la moto e decise di entrare.
L’interno era caldo, illuminato da una luce soffusa. Il profumo di vino e carne arrosto lo avvolse subito. Dietro al bancone c’era un uomo anziano, la pelle segnata dagli anni, i capelli bianchi come la pietra carsica. Indossava un grembiule scuro e lo osservò con curiosità.
— Buongiorno, c’è qualcosa da bere? — chiese Lorenzo, sfilandosi i guanti.
L’oste sorrise appena. — Se non hai fretta, ti verso un bicchiere di teran. È vino del Carso, forte come la nostra terra. — La sua voce aveva un accento marcato, ma il suo italiano era sorprendentemente buono.
Lorenzo annuì e si sedette a un tavolo vicino alla finestra. Il vecchio riempì un bicchiere di liquido rosso scuro e glielo porse.
— Sei italiano?
— Sì, di Roma. Medico. Sono in vacanza e… mi sono perso.
L’oste annuì lentamente. — Qui capita spesso. Le strade del Carso sono come la vita: pensi di sapere dove stai andando, poi all’improvviso ti trovi da un’altra parte.
Lorenzo sorrise. — E lei? Vive qui da sempre?
— Io? Sono nato qui, quando questa era ancora Jugoslavia. Prima era Italia, prima ancora Impero Austroungarico. Ho parlato sloveno con mio padre, italiano con mia madre e tedesco con mia nonna. Ogni pietra di questo posto ha sentito lingue diverse, ha visto guerre, ha visto confini cambiare. Ma il Carso… lui non cambia. Lui resta. — Si appoggiò al bancone, guardando fuori dalla finestra. — Vedi quei muretti a secco? Sono lì da prima di mio nonno. Gli uomini passano, la terra resta.
Lorenzo bevve un sorso di teran. Era aspro e denso, con un retrogusto ferroso. Un vino che raccontava la sua terra.
— Dev’essere stato difficile vivere qui con tutti questi cambiamenti.
Il vecchio fece una risata breve. — Difficile? Forse. Ma noi carsici siamo abituati. Qui la terra è dura, le radici devono lottare per trovare spazio tra le pietre. Ma proprio per questo, quando crescono, sono più forti.
Quelle parole gli rimasero in mente mentre riprendeva la strada. Da medico, Lorenzo vedeva ogni giorno la fragilità umana, il tempo che consumava i corpi, le vite che si spegnevano. Eppure, il Carso gli stava insegnando un’altra prospettiva: la resistenza.
Dopo un tratto di strada tortuosa, giunse a Štanjel, il borgo arroccato sulla collina, con le sue case di pietra e i vicoli che sembravano stringersi sempre di più mano a mano che si saliva. Fermò la moto accanto a un muretto e si guardò intorno. Il paese era immerso in un silenzio irreale, quasi sospeso nel tempo.
Vide una giovane donna camminare con passo svelto lungo il vicolo principale. Aveva i capelli raccolti in una coda biondo scuro e indossava un lungo cappotto beige. Forse avrebbe potuto aiutarlo a ritrovare la strada giusta.
Si avvicinò con un sorriso educato. — Mi scusi, buongiorno. Sto cercando la strada per Gorizia, credo di essermi un po’ perso…
La donna si fermò e lo guardò con un’espressione neutra, quasi diffidente. — Sorry, I don't speak Italian. Only English.
Lorenzo annuì, passando automaticamente all’inglese. — No problem. Could you help me? I was heading to Gorizia but I took a wrong turn. Which way should I go?
Lei sospirò appena, poi accennò con la testa verso una strada che scendeva dal borgo. — You need to go back down, then take the second road to the right. Follow the signs for Nova Gorica.
La sua voce era cortese, ma fredda. Nessun sorriso, nessuna curiosità nei suoi occhi chiari. Diversa, molto diversa dal vecchio oste di Križ, che lo aveva accolto come se fosse un ospite atteso da tempo.
— Thank you. — disse Lorenzo, notando che lei già si stava voltando per andarsene.
— You're welcome. — rispose lei in modo meccanico, riprendendo il suo cammino senza voltarsi.
Lorenzo la osservò per un istante mentre si allontanava lungo il vicolo in pietra. Non c’era stata ostilità, ma nemmeno il minimo desiderio di scambiare due parole in più. Era solo indifferenza, o forse qualcos’altro?
Risalendo sulla moto, pensò alla differenza tra le generazioni. Il vecchio oste di Križ aveva vissuto un’epoca in cui le lingue e le identità si sovrapponevano, costringendo le persone a conoscersi, a trovare modi per comunicare. I giovani, invece, crescevano in un mondo diverso, più veloce, più definito, forse anche più chiuso. Per lei, lui era solo un turista di passaggio, uno sconosciuto di cui non valeva la pena ricordarsi.
Accese il motore e riprese la strada, lasciandosi Štanjel alle spalle. Davanti a lui, in cima a una collina, già si stagliava il profilo imponente del castello di Rihemberk, come un’ultima sentinella a vegliare su quella terra di confine.
Spense la moto e rimase a contemplare l’alta torre centrale che si staglia imponente contro il cielo viola del tramonto. Il vento soffiava tra le pietre antiche, portando con sé il sussurro del tempo.
"Noi passiamo, ma la terra resta."
Rimontò in sella e si rimise in viaggio.
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