La seduta iniziò con un breve riepilogo da parte
mia del lavoro svolto la volta prima a cui lei fece seguito dicendomi che era
stata una settimana molto impegnativa nel rapporto con il suo compagno,
caratterizzata da diverse liti e anche da diversi dissapori con il marito circa
la “gestione” del figlio e che non aveva avuto molto tempo per pensare a quanto
avevamo fatto insieme nell’ultimo colloquio.
Mi disse anche che si era incontrata diverse volte
con la sua amica "del cuore" in cerca di sostegno, avendo avuto il bisogno di
“sfogarsi” e che comunque si sentiva un po’ più sicura nel difendere le sue
posizioni durante le discussioni; inoltre,
tenne a precisare, che iniziava a comprendere che era necessario per
lei migliorare le sua capacità a dire di no, anche se ho paura che
sia una cosa molto difficile – concluse.
A tale proposito le confermai che i cambiamenti
sono spesso dolorosi e necessitano di tempi adeguati e che in ogni caso il
processo di cambiamento può avere inizio solo laddove è sorta prima una consapevolezza circa la
necessità di modificare un comportamento e poi questa consapevolezza ha assunto
la dimensione di un bisogno.
Lei si disse d’accordo e mi confermò che
nonostante la situazione difficile, nelle ultime settimane si sentiva un po’
più ottimista e determinata.
Passammo di seguito all’esame della sezione dello
stemma araldico dedicato ai suoi progetti: era disegnata una grande casa con
intorno un giardino fiorito recintato e davanti alla porta, in mezzo al
giardino le sagome di tra persone che avevano tutte le fattezze di bambini solo
che due, un maschio e una femmina, erano più grandi e il terzo, maschio, più
piccolo. Il bozzetto era realizzato sempre con la una cura e le capacità
figurative attribuibili ad un bambino dell’ultimo anno della scuola primaria.
Mi spiegò che il suo sogno era di
vivere in una casa tutta sua (di mia proprietà e non in affitto ripeté
più volte con tono deciso) con un giardino da curare, con suo figlio e
con il suo compagno; le domandai subito se intendeva dire il suo “attuale”
compagno e lei ebbe un attimo di tentennamento prima di concludere dicendo si
… mi piacerebbe ci fosse anche Lui … ma quello che ho conosciuto all’inizio …
non quello di adesso. Decisi di mantenerla su questo punto: Mi ha
colpito che hai usato la parola anche … potresti chiarirmi meglio il
significato? – Intendo dire che ho bisogno di una persona vicino a me con
cui crescere mio figlio e da cui ricevere sicurezza … inizialmente pensavo che
Lui avesse queste qualità …
Decisi di proporle un lavoro esperienziale basato
sui principi della P.N.L. applicando la tecnica nota come “lasciati attrarre
dal tuo futuro”.
Le chiesi di alzarsi, respirare profondamente,
chiudere gli occhi e di immaginarsi che sulla porta dello studio (tre metri
davanti alla sedia ove era seduta) ci fosse il suo stato desiderato, la
sua nuova casa e il suo giardino.
Le dissi che ora si trovava nel suo stato
attuale e di raccontarmi come si sentiva, dov’era e cosa udiva.
Lei mi raccontò che si vedeva nella casa del suo
compagno e sentiva le sue urla; le domandai cosa provasse fisicamente e lei
rispose con fatica, dicendomi che aveva un groppo in gola e che non voleva
proseguire l’esperienza.
Le dissi che poteva sedersi e prendersi tutto il
tempo che voleva per sé, per ascoltarsi; rimanemmo qualche minuto in silenzio
mentre Maria con gli occhi lucidi e la testa inclinata verso destra fissava per
lo più alternativamente il soffitto e il pavimento.
Poi mi disse con tono della voce calmo ma basso che
ogni volta che si vede soccombere davanti alle richieste del suo compagno senza
reagire, le sale un nodo alla gola e subentra la voglia di piangere e questo la
fa sentire male e lei si blocca, non vuole andare oltre.
Compresi che il blocco emotivo aveva attivato il
meccanismo di interruzione del contatto della deflessione e che
l’incapacità di riconoscere e gestire le proprie emozioni deve essere molto
forte e probabilmente di natura disfunzionale, come avevo ipotizzato durante la
fase di pre-contatto, e pertanto decisi di non andare oltre.
Provai a porle la domanda miracolosa del
counseling breve di J.M. Littrel, - Se
tu avessi la bacchetta magica in mano e potessi realizzare qualsiasi tuo
desiderio, cosa chiederesti? Voglio una casa di proprietà con il giardino,
per me e mio figlio! Deve esserci un giardino da curare.
Le feci notare che non aveva inserito il suo
compagno o un compagno in genere.
Prima
voglio la casa, poi si vedrà – mi disse con gli occhi lucidi ma con piglio più
deciso e voce ferma.
Le chiesi
cosa significava per lei avere una casa con giardino.
Rispose che una casa con il giardino per lei
voleva dire sentirsi al sicuro e occuparsi del giardino sentirsi in pace con se
stessa.
Decisi di chiudere la seduta rimanendo in silenzio
per un paio di minuti, invitandola a chiudere gli occhi e respirare profondamente
prima di fare il consueto riepilogo della seduta che conclusi più o meno così:
Oggi abbiamo esaminato i progetti che hai
per il futuro e che mi hai detto essere quelli di avere una tua casa di
proprietà con giardino, dove stare con tuo figlio e un compagno, che mi hai
detto ti piacerebbe essere quello che hai conosciuto all’inizio della
relazione. Poi ti ho proposto un’esperienza volta a mettere a fuoco il
passaggio tra il tuo stato attuale e lo stato che desideri che però hai deciso
di sospendere perché le emozioni che ti suscitava questo lavoro mi hai detto
essere troppo dolorose. Successivamente alla domanda della “bacchetta magica”
mi hai detto che vorresti una casa tua per te e per tuo figlio e un’eventuale
compagno solo in tempi successivi e che per te il significato di avere una casa
con il giardino corrisponde ad un bisogno di sicurezza e pace.
La cliente confermò dicendo, in conclusione della
seduta, il mio bisogno principale è di avere sicurezza e pace.
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