giovedì 6 settembre 2018

GRAZIE OMERO, GRAZIE SIR WINSTON E ODISSEO SUPERSTAR

"Ancora una volta nel posto giusto ma nel momento sbagliato!" quel pensiero sorse d'improvviso con la lo stesso effetto di mille scorpioni infilati senza preavviso sotto lo camicia, mentre gli occhi di Ruben fissavano immobili i mille colori delle centinaia di turisti che sciamavano festosi davanti a lui, seduto sui tavolini del caffè Florian, in piazza San Marco. Tutto quel cacofonico vociare, unito al garrito dei gabbiani che planavano come Stukas ovunque scorgessero, uomini o cose che fossero, qualcosa di commestibile, assumeva per il suo udito solo un suono timido e soffuso. Le sue reti neurali erano tutte assorbite dalla necessità di fronteggiare il disturbo psichico ed il malessere fisico che quel pensiero aveva scatenato. Tutto era nato quando aveva avuto la malaugurata idea di controllare la posta elettronica sul suo smartphone, mentre sorseggiava l'abituale bicchiere di vino rosso e osservava, estasiato come la prima volta che era accaduto molti anni prima, la miscellanea di stili e di ornamenti architettonici che componevano la basilica marciana e i suoi pensieri già viaggiavano verso i siti del lungo viaggio nel Mediterraneo che il giorno dopo sarebbe iniziato con l'imbarco sulla nave Perseo. Quel dannato schermo luminoso rifletteva la notizia che per nulla al mondo avrebbe voluto leggere: la sua vita, di colpo, era finita sotto scacco di una minaccia più potente e pericolosa della bomba atomica sganciata ad Hiroshima. Dopo che i mille scorpioni erano scesi lungo il filo della colonna vertebrale pungendolo poi in ogni punto della schiena muovendovi a raggiera per un tempo che sembrava infinito, Ruben era riuscito a far breccia nel blocco emotivo e ad abbozzare un pensiero speculativo. "Acrisio! Laio! eccomi tra voi! Più progetti, pianifichi e più lotti per allontanare il destino che non desideri accettare e più gli semplifichi il suo sventurato decorso!" Aveva voglia di morire. Di dissolversi, di sparire per sempre. Come un automa si alzò in piedi senza bere quel pregevole cabernet souvignon, che ancora rimaneva nel calice ma che adesso gli pareva più sgradevole del fiele. Senza fiatare pagò alla cassa l'indecente conto, si avviò verso il bacino di San Marco e una volta passate le colonne dell'antica chimera e di San Teodoro volle proseguire il suo cammino oltre la linea del molo, per mettere in atto quel pensiero nichilista e sparire davvero in quel mare nel quale, anni prima, avevano preso avvio gli eventi infausti e che pochi istanti prima si erano manifestati in tutta la loro potenza distruttiva. Quell'uomo elegante, che si era levato il panama dal capo e procedeva con occhi spenti e vuoti, andatura lenta e regolare, in linea retta, verso il mare aveva iniziato ad attirare le attenzioni anche dei distratti turisti. Quando fu chiaro cosa stava per accadere, qualcuno iniziò a urlare. Ruben non sentiva nulla, i suoi sensi sembravano essersi spenti e, come per rispondere ad un ancestrale volere, le sue gambe lo stavano portando dalla terra al salto nel mare. Ora i suoi occhi percepivano solo il mare e in lontananza, sfuocata, la bianca sagoma della facciata palladiana di San Giorgio Maggiore, quando improvvisamente la visuale venne interrotta dal passaggio di un piroscafo. Questo stacco inatteso nelle immagini diedero un piccolo sussulto alle reti neurali di Ruben, che fino a quel momento sembravano cadute in uno stato di off-line. "Eolo!" lesse Ruben sul fianco di quel barcone. Si fermò. Di colpo. Ancora un passo e sarebbe finito in acqua, anche se lui non lo sapeva, perché lo sguardo non si era mai mosso dalla linea dell'orizzonte. "L'Odissea, Certo!" Quel nome letto su quella barca lo aveva trascinato dentro all'opera letteraria che lui adorava più di ogni altra e a quell'episodio in cui il suo eroe preferito, Odisseo, dopo mille peripezie era infine giunto alla vista della "petrosa" Itaca grazie all'otre dei venti donatogli da Eolo, dio dei venti. "Proprio come me!" pensò Ruben. "Odisseo stava già assaporando il tribolato e desiderato ritorno a casa, quando quei rincoglioniti dei suoi compagni decisero slealmente di contravvenire ai suoi ordini e per bramosia di ricchezza cercarono un presunto tesoro nell'otre, liberando così i venti che provocarono una tremenda tempesta che poi li spazzò via tutti, riportando Odisseo in mezzo al mare, naufrago e senza coordinate." Odisseo, nonostante l'ennesima tremenda sciagura, non si perde d'animo e riprende la navigazione in cerca di Itaca. Ogni volta che il dio Poseidon gli ostacola l'impresa con tremende prove, lui non demorde, cade e si rialza. Non molla mai. Ruben in quel momento si sentì una cosa sola con il suoe Eroe: con l'aiuto di Μῆτις sarebbe riuscito di nuovo e sempre a trovare un filo conduttore, pur nella consapevolezza che non sarebbe sempre stato più possibile, da quel momento, trovare soluzioni indolori e capaci di evitare anche profonde cesure e cambiamenti di stato e contesto. Si voltò e di nuovo i suoi occhi videro i mille colori dei turisti e sullo sfondo, nitida, la torre dell'orologio di piazza San Marco. Le decine di persone che si erano avvicinate a lui, impaurite per quello che sembrava essere il gesto di un folle, furono rassicurate dai suoi sorrisi e ripresero le loro attività spensierate come se nulla fosse accaduto, volgendo nuovamente i loro sguardi sugli schermi dei loro smartphone. Se Odisseo aveva resistito per 10 anni lui lo avrebbe anche superato se necessario: "qualcosa" era scattato potente dentro il cervello di Ruben, che si sentiva ora persino eccitato dall'opportunità che la vita gli stava dando, non solo di dover emulare il suo Eroe preferito da sempre, ma addirittura di poterlo battere, quanto ad uso di fortitudo, intellectus, sapientia, scientia, pietas, consilium e timor Dei. Ora il suo destino gli era chiaro e soprattutto più accettabile. Non sarebbe caduto nello scoramento, nel vittimismo o peggio di tutto, nella passività. Aveva ritrovato lo spirito battagliero. Non avrebbe mollato, voleva combattere fino all'ultimo giorno che gli sarebbe rimasto, non avrebbe ceduto. Mai. Non l'avrebbero mai avuto prigioniero. Sarebbe morto con le armi in pugno, nel caso in cui la furia di Poseidone alla fine fosse risultata troppo potente per i suoi mezzi umani. Ripensò anche alle parole di Winston Churchill, pronunciate nel giugno del 1940, quando la Francia aveva capitolato, l'URSS aveva un patto di non belligeranza con la Germania e gli USA erano decisi a rimanere neutrali e la sua Inghilterra era rimasta sola contro Hitler che gli offriva la pace: " Non ho altro da offrirvi che sangue, fatica, lagrime e sudore». Abbiamo di fronte a noi un cimitero dei più penosi. Abbiamo di fronte a noi molti, molti lunghi mesi di lotta e di sofferenza. Se chiedete quale sia la nostra politica risponderò: di muover guerra, per terra, mare e aria, con tutto il nostro potere e con tutta la forza che Dio ci dà, di muover guerra contro una mostruosa tirannia, mai superata nell’oscuro deplorevole elenco dei delitti umani...  Combatteremo in Francia, combatteremo sui mari e gli oceani; combatteremo con crescente fiducia e crescente forza nell’aria. Difenderemo la nostra isola qualunque possa esserne il costo. Combatteremo sulle spiagge, combatteremo sui luoghi di sbarco, nei campii nelle strade e nelle montagne. Non ci arrende­remo mai."  Ecco, se fosse stato necessario Ruben avrebbe superato anche Sir. Winston. Nel frattempo si sarebbe goduto tutte le bellezze che la città di Carlo Goldoni e Giacomo Casanova potevano offrirgli quell'ultima sera prima di riprendere la strada verso il mare di guai che lo aspettava nel prossimo futuro. Tornò al caffè Florian, si sedette ad un altro tavolo, e per incominciare ordinò un gin tonic; volse gli occhi al cielo e rivolse il suo più profondo ringraziamento ad Omero, all'armatore della motonave Eolo battente bandiera della Serenissima e infine a sé stesso, per aver letto e riletto allo sfinimento l'Odissea.     

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