Qual è stata la migliore Udinese
di sempre? Domanda dalla risposta univoca quanto mai ardua “per definizione”,
ammesso e non concesso di trovare un accordo sull’altrettanto complessa
questione di cosa si debba intendere per “migliore” (miglior piazzamento? quella
capace di esprimere il gioco “migliore”? quella che ha lasciato la traccia
“migliore” nella mente e nel cuore dei suoi tifosi? quella che ha lasciato il
segno “migliore” fuori dalla friulanità? Ecc…)
Altra variabile decisiva alla
risposta “univoca” poi è l’età dell’intervistato: per cui quelli della
generazione prima della mia probabilmente risponderanno l’Udinese 1954/55
(quella di “Raggio di Luna” Selmosson capace di arrivare seconda dietro al
Milan di Liedholm), quelli della mia l’Udinese 1983/84 (il primo anno di Zico)
oppure quella 1997/98 (con Bierhoff e Zaccheroni in Uefa per la prima volta e
terzi in campionato) e quelle a seguire probabilmente si divideranno tra il
2004/2005 o il 2010/2011 (rispettivamente le annate simbolo di Luciano Spalletti
e Francesco Guidolin, in grado di conquistare da outsider i preliminari di
Champions League, piazzandosi al quarto posto finale). La mia risposta,
utilizzando il cuore del tifoso, è facile su entrambe le questioni: la squadra
“migliore” è quella che “ti ha fatto sognare di più” e quindi l’Udinese
“migliore” di tutti i tempi fu quella che prese il via nella stagione 1983/84
vincendo per 5-0 contro il Genoa alla prima giornata sul campo di Marassi, non
importa se poi, strada facendo disattese gran parte delle aspettative, sia sul
piano squisitamente tecnico e agonistico (si piazzò al nono posto della
classifica finale con un risultato insipido e inferiore all’anno precedente)
che su quello societario (abbandono del gruppo Zanussi e addio del general
manager Franco Dal Cin).
Riavvolgiamo il nastro e andiamo
con la mente a fine maggio del 1981: al termine delle prime due tribolate
stagioni di serie A (salvezza grazie ad un ripescaggio nella prima e all’ultimo
minuto dell’ultima giornata grazie alla classifica avulsa nella seconda), che
facevano seguito a ben 17 campionati di serie C e uno di B, la proprietà
dell’Udinese passa di mano dall’imprenditore veneto “dei gelati” Teofilo Sanson
al gruppo Zanussi di Pordenone. Registi dell’operazione l’allora Sindaco di
Udine Angelo Candolini e il giovane e ambizioso direttore sportivo
dell’Udinese, il trentottenne originario di Vittorio Veneto, Franco Dal Cin. Il
cambio di passo s’incomincia facilmente intuire sin dalle prime battute:
all’inizio degli anni ’80 il gruppo Zanussi è un colosso europeo nel campo
della produzione degli elettrodomestici, dà lavoro a 35.000 dipendenti e il suo
Presidente, il cavaliere del lavoro di origini romane Lamberto Mazza assumendo
anche la presidenza del club friulano, fa subito intendere che l’Udinese è
diventata una delle aziende del gruppo e pertanto dovrà raggiungere risultati
adeguati e in linea con il ruolo di testimonial di un importante impresa
industriale che opera sui mercati internazionali. Entusiasta del progetto è
senza dubbio Franco Dal Cin, che si adopera altrettanto sollecitamente per
vincere la sfida di portare in 3 anni un club di provincia a competere in
Italia e in Europa ai massimi livelli. Per la stagione 1981/82 il primo “step”
verso l’obiettivo finale prevede il raggiungimento di una tranquilla salvezza e
la creazione di un nucleo tecnico-agonistico all’altezza della categoria e così,
durante il mercato estivo e autunnale, vengono acquistati giocatori già esperti
e affermati quali il veterano della nazionale Franco Causio dalla
Juventus, Carlo Muraro e Franco Pancheri
dall’Inter già campione d’Italia, Cesare
Cattaneo dall’Avellino, Dino Galparoli dal Brescia, l’ex nazionale brasiliano
Orlando Pereira dal Vasco de Gama, Roberto Bacchin dal Bari e Angelo Orazi dal Catanzaro. I nuovi vengono a
dare esperienza e sostanza ad un gruppo di giovani usciti dalla Primavera
campione d’Italia e confermati in prima squadra tra cui i veneti Manuel Gerolin,
Fausto Borin e i friulani Paolo Miano, Gianfranco Cinello e Giorgio Papais.
Alla guida tecnica viene
confermato Enzo Ferrari, l’allenatore quarantenne di San Donà di Piave che la
stagione precedente aveva condotto la primavera al titolo nazionale e,
subentrando da esordiente all’inizio del girone di ritorno a Gustavo Giagnoni in
prima squadra, aveva “ribaltato” un gruppo già destinato alla retrocessione e,
inserendo il blocco della giovanile, l’aveva traghettato ad una spettacolare
rimonta conclusasi con la salvezza.
La tifoseria riempie uno stadio
Friuli la cui capienza è stata portata sulla soglia dei 40.000 posti e assiste
entusiasta al raggiungimento dell’obiettivo stagionale: comoda salvezza
conquistata con tre giornate d’anticipo sciorinando spesso nelle partite
casalinghe uno spregiudicato gioco d’attacco e stropicciandosi gli occhi con le
giocate del capitano Franco Causio che, ben lungi dall’essere “bollito”,
riconquista la nazionale in partenza per i mondiali e vince il premio della
stampa sportiva quale miglior giocatore per rendimento di tutta la seria A.
L’obiettivo societario dichiarato
per la stagione seguente è quello di consolidare definitivamente la presenza
nella massima serie, con una squadra in grado di competere ora con le prime
otto della classifica e ancor prima che inizi il mercato estivo sono già stati
opzionati (e poi perfezionati) gli acquisti di giocatori di caratura
internazionale come il nazionale brasiliano Edinho dalla Fluminense, il
capitano della nazionale jugoslava Ivica Surjak dal Paris Saint-Germain, il
centravanti titolare neo campione d’Italia della Juventus Pietro Paolo Virdis,
l’esperto bomber del Torino Paolo Pulici, il portiere Roberto Corti del
Cagliari e, strappandolo alla concorrenza delle “Big”, il giovane talento
Massimo Mauro dal Catanzaro. Parallelamente i migliori della stagione conclusa
vengono confermati, lo stadio Friuli ingrandito con l’aggiunta di altri 5.000
posti in piedi rialzando le curve e agli abbonati per la stagione 1982/83 data
la possibilità di sottoscrivere anche azioni societarie diventando così soci
del Club in analogia con quanto avveniva (e avviene) nelle polisportive come il
Real Madrid ed il Barcellona.
Anche il secondo step verso
l’obiettivo finale viene centrato con precisione “ingegneristica”: i quasi
20.000 abbonati assistono ad un sesto posto finale con sole 4 sconfitte nell’arco
delle 30 partite stagionali e al conseguimento del record dei pareggi: ben 20,
spesso vittorie mancate di un soffio. La qualificazione in coppa Uefa (allora
si qualificavano solo 2 squadre) mancata solo nelle ultime giornate, e i grossi
club costretti a “fare le barricate” quando scendono sul terreno del Friuli per
non uscire sconfitti, sembrano essere segnali di un sicuro viatico al
conseguimento dell’obiettivo finale per la stagione 1983/84.
Così si arriva ai primi giorni di
giugno del 1983 quando, lasciando tutto il mondo sportivo – e non solo – a
bocca aperta, il general manager Franco Dal Cin annuncia che l’Udinese ha
acquistato dal Flamengo di Rio de Janeiro, con un contratto triennale, niente
meno che Arthur Antunes de Coimbra detto Zico, l’asso brasiliano che assieme a
Michel Platini e Diego Armando Maradona divide la fama di essere “il più forte
del mondo”. A livello mediatico una sorta di Lionel Messi o di Cristiano
Ronaldo dei giorni nostri, per aiutare un po’ i più giovani a capire al meglio
di cosa si trattasse. I tifosi friulani, ancora inebriati dalla vittoria
mundial dell’estate precedente, dove i friulanissimi Bearzot e Zoff avevano
condotto la nazionale italiana ad una imprevisto e leggendario titolo mondiale
in Spagna, passano un mese e mezzo “di fuoco” tra l’incredulità prima, la
rabbia poi e infine una gioia pazzesca. La federazione, presa in contropiede, all’inizio
si mette di traverso e chiude le frontiere ai giocatori stranieri, respingendo
il tesseramento del campione brasiliano all’Udinese e quello dell’altro
nazionale carioca Toninho Cerezo alla Roma per presunte irregolarità formali e
regolamentari. Scoppia il finimondo: adunate oceaniche di piazza, cartelli “O
Zico o Austria”, mobilitazione del mondo politico regionale e persino
l’intervento del Presidente della Repubblica “più amato dagli italiani” Sandro
Pertini; a fine luglio un comitato di tre insigni giuristi - Massimo Severo Giannini, Giuseppe Guarino e
Rosario Nicolò - nominati dal CONI accolgono
i ricorsi di Roma e Udinese e danno via libera al loro arrivo immediato, con Re
Zico che raggiunge i nuovi compagni all’Hotel Nevada di Tarvisio in
preparazione per la stagione 1983/84.
Seguiranno nei giorni successivi
la famosa passerella in auto d’epoca per le vie di Udine gremite di tifosi
festanti e la dichiarazione sul palco di piazza XX settembre che lui è venuto
all’Udinese per “portare lo scudetto”, con il Presidente del coordinamento
degli Udinese Club, Gian Raffaele Antonucci, pronto a chiosare “Che ne direste
se cambiassimo il nome di questa piazza in Piazza Zico?”.
Udine finisce al centro
dell’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica, non solo sportiva, di
tutto il mondo e nell’ambiente nazionale l’ipotesi ventilata dal brasiliano
inizia ad essere presa in seria considerazione: la squadra friulana è arrivata
sesta alla fine della scorsa stagione ed è piena di giocatori esperti dai
“piedi buoni” di livello internazionale e di alcuni giovani giocatori italiani
che si sono già distinti nella massima categoria. A ben vedere, per dare
maggiore e definitiva competitività alla squadra, servirebbero un difensore e
un centrocampista di più qualità e forse un tecnico più esperto a gestire la
nuova situazione venutasi a creare, ma nel frattempo i risultati del
precampionato autorizzano a “credere nel sogno”. L’Udinese si presenta
imbattuta ai nastri di partenza della nuova stagione, passando per la prima
volta i gironi della Coppa Italia espugnando il San Paolo di Napoli,
collezionando una serie di “scalpi” prestigiosi battendo al Friuli nell’ordine:
l’Hajduk Spalato (3-1), il Vasco de Gama (3-0), il Real Madrid (2-1), l’America
di Rio (3-0) e pareggiando per 1-1 sul campo dell’altrettanto ambiziosa
Sampdoria di Mancini, Wierchowod, Bordon, Brady e Francis. Gli abbonati, ancor
oggi record per la società, avevano superato le 26.000 unità. Dopo le prime due
giornate di campionato l’Udinese è in testa alla classifica a punteggio pieno
assieme alla Roma, ma con miglior differenza reti e Zico è già in testa alla classifica
dei marcatori con due doppiette. I friulani sono richiesti in tutta Italia e
nel mondo disputare amichevoli, il Barcellona in marzo viene a Udine e perde
per 4-1, mentre a fine campionato la squadra è invitata negli Stati Uniti e in
Australia per disputare una serie tornei e di amichevoli. Ecco, per me, quello
è stato l’apice della storia del club: il momento in cui sognare era divenuto
lecito. Durò poco. Il colosso svedese Electrolux acquistò il pacchetto di
maggioranza del gruppo Zanussi nella primavera del 1984 e liquidò l’uscita del
Cav. Lamberto Mazza dalla direzione pordenonese con le azioni dell’Udinese
Calcio Spa; il Club pertanto usciva dalle strategie e, soprattutto, dalle
disponibilità finanziarie di un gruppo industriale per passare nelle mani di un
privato, con le conseguenze facilmente immaginabili. Il general manager Franco
Dal Cin, che nel frattempo aveva già opzionato inutilmente per la stagione
1984/85 il brasiliano Junior del Flamengo e Fulvio Collovati dell’Inter, colse
subito la mala parata e prima che il campionato 1983/84 finisse lasciò
l’incarico per accasarsi con i nerazzurri milanesi. Lamberto Mazza avocò a sé
l’intera gestione, facendo entrare nel consiglio di amministrazione anche il
figlio Stefano e dovette adeguare i programmi sportivi alla mutata situazione
societaria. Che certo non erano più quelli di “vincere lo scudetto e giocare le
coppe europee” ma ritornava ad essere quello di consolidare la permanenza in
serie A. A fine stagione venne esonerato l’allenatore Enzo Ferrari e non fu
rinnovato il contratto al capitano Franco Causio che seguì Dal Cin a Milano,
mentre Pietro Paolo Virdis fu ceduto al Milan. Venne imbastita una trattativa
con il Torino anche per la cessione di Zico, che non andò in porto per la
riluttanza del brasiliano e per i malumori della piazza, ancora non del tutto
pronta a scendere così bruscamente dal treno dei sogni.
Nel 2015 ebbi occasione di
conversare con Enzo Ferrari sulle gioie e i dolori di quel periodo, su cosa
fosse mancato a quella squadra per raggiungere l’obiettivo finale e mi confermò
di aver creduto anche lui nella fattibilità dell’impresa, che riuscì invece al
Verona 1984/85. A suo dire remarono contro la cattiva gestione del brasiliano,
costretto a disputare un gran numero di amichevoli per questioni finanziarie,
ma inutili dal punto di vista tecnico, che lo portarono ad una serie di
infortuni decisivi per il suo rendimento e per l’apporto che avrebbe potuto
ancora dare nella fase finale e cruciale del campionato, il mancato acquisto di
un paio di buoni elementi a centrocampo e in difesa ma più di tutto il
cambiamento societario che scombinò tutta l’architettura su cui si era basato
il progetto e con la quale era stato ben condotto fino a quel momento.
Quella stagione, in cui l’Udinese
aveva sempre veleggiato tra il quarto e il quinto posto, subito a ridosso di
Juventus e Roma che si contesero il titolo, si concluse con il piazzamento al
nono posto, “grazie” alla sconfitta casalinga con il Milan nell’ultima giornata
e ad una serie concomitante di risultati sfavorevoli nelle partite in cui erano
impegnate le altre squadre di medio-alta classifica. A fine partita, il
Presidente Lamberto Mazza comparve sul megaschermo dello Stadio Friuli – uno
dei primi realizzati d’Europa – per annunciare agli increduli tifosi ancora
delusi per l’esito del torneo, che se avessero voluto continuare a vedere Zico
in una grande Udinese avrebbero dovuto versare nelle casse sociali a titolo di
prestito almeno 4 miliardi di vecchie lire. Fu l’inizio della fine. Nella
stagione successiva, la squadra indebolita e con Zico bersagliato da continui
infortuni – giocò solo 16 partite segnando 3 reti – lottò per salvarsi sino
alle ultime giornate, con il brasiliano costretto a rientrare in fretta e furia
al Flamengo ad una giornata dal termine del campionato con l’accusa di evasione
fiscale e costituzione di capitali all’estero. Accolto come un Messia e
costretto dall’inadeguata gestione atletica e dalle alchimie
giuridico-finanziarie del suo trasferimento all’Udinese a tornare acciaccato in
Brasile, scappando pure come un ladro.
Ad ogni buon conto, ecco la rosa
con tra parentesi le presenze e le reti in campionato, della mia “migliore”
Udinese di sempre, capace di vincere 11 partite, pareggiarne 9 e perderne 10,
segnando 47 reti e subendone 40 nelle 30 giornate del torneo di serie A
1983/84.
Portieri
Fabio Brini (25, -35), Fausto
Borin (5, -5)
Difensori
Dino Galparoli (30,1), Cesare
Cattaneo (25,0), Edinho (29,4), Attilio Tesser (8,0), Franco Pancheri (20,0)
Centrocampisti
Luigi De Agostini (25,1), Paolo
Miano (26,1), Manuel Gerolin (21,0), Alberto Marchetti (24,1), Massimo Mauro
(30,2), Franco Causio (cap.- 30,3), Sandro Danelutti (8,0), Loris Dominissini
(11,0)
Attaccanti
Zico (24,19), Pietro Paolo Virdis
(29,10), Loris Pradella (13,1), Gino Masolini (1,0)
Staff Tecnico
Enzo Ferrari (allenatore)
Narciso Soldan (allenatore in
seconda)
Cleante Zat (preparatore
atletico)
Fauso Bellato (medico sociale)
Gianfranco Casarsa
(Massaggiatore)
Sono sicuro che molti storceranno
il naso sulla mia scelta perché è vero che quella squadra non vinse nulla e
anzi a fine campionato la delusione fu grande per il mediocre piazzamento, che
male ricompensava le grandi attese della vigilia.
Nella più che trentennale e successiva gestione della famiglia Pozzo furono raggiunti risultati strepitosi, sempre mettendo in pista formazioni capaci invece di raccogliere sul campo molto e molto di più di quanto era lecito attendersi alla partenza. Tutte quelle formazioni ci hanno sorpreso e ci hanno regalato gioie e importanti traguardi inattesi, ma a ben vedere nessuna ci ha mai fatto sognare per davvero, perché sapevamo sempre che comunque a fine anno sarebbero state smantellate e che sarebbe sempre “mancato il centesimo per fare l’euro” per vincere uno scudetto o “solamente” una Coppa Italia. Altri tempi e altro calcio. Tutto vero. Non è più tempo di sogni ma di realismo. Anche per il tifoso.
Concludo raccontando un aneddoto
per tentare di spiegare ai più giovani, che non hanno potuto vivere la parabola
dell’Udinese targata Zanussi, il motivo della mia scelta. Nell’estate del 2019 mi trovavo per un paio
di settimane in Irlanda, a Cork, per frequentare un corso di aggiornamento e
dividevo l’appartamento con un giovane brasiliano di una trentina d’anni. Ci
presentammo e naturalmente al canonico “Where’re you from?” risposi altrettanto
canonicamente “Italy, about 150 km north-east away from Venice”; il mio
interlocutore, di San Paulo, non fu soddisfatto e mi chiese di essere più
preciso e così, obtorto collo, aggiunsi: “Near Udine, you surely don’t know
it.” E lui: “Oh yes! Surely i know! Udine, Zico, Udinesi!!”.
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