L’avverarsi del sogno di qualificarsi per una competizione europea, che neppure l’Udinese di Zico, quella costruita con quello specifico obiettivo, era riuscita a realizzare 15 anni prima riuscì invece ad una squadra costruita l’anno precedente con l’obiettivo di salvarsi e che, grazie all’intuizioni dell’allora quarantaquattrenne semisconosciuto allenatore romagnolo Alberto Zaccheroni da Meldola, aveva improvvisamente invertito la rotta a tre quarti di campionato, vincendo 8 delle ultime 11 partite, traslocando dal galleggiamento appena sopra la zona retrocessione direttamente al quinto posto finale e alla zona U.E.F.A., sconfiggendo fuori casa nell’ordine: Juventus (3-0), Parma (2-0), Fiorentina (3-2), Roma (3-0) e in casa Perugia (2-1), Atalanta (2-0), Verona (3-0) e Piacenza (4-0). Tutto ebbe inizio allo Stadio delle Alpi di Torino domenica 13 aprile 1997 grazie ad una bestemmia. L’Udinese, dopo qualche spavento a metà torneo, veleggia verso una tranquilla salvezza e scende in campo contro la Juventus, reduce dall’aver strapazzato sette giorni prima per 6 a 1 a San Siro il Milan dell’ultimo Sacchi, espugnato quattro giorni avanti, con uno strepitoso 2-1 l’Amsterdam Arena nella semifinale di andata della Champions League contro gli “Aiaci” e quel dì desiderosa di incamerare i 3 punti per tenere a distanza il Parma, secondo in classifica, nella corsa verso la vittoria dell’ennesimo scudetto. Una gara dall’esito segnato, insomma, anche in considerazione del fatto che all’andata “Madama” si era già imposta allo Stadio Friuli con un perentorio 4-1 e le statistiche complessive delle sfide tra i bianconeri torinesi e quelli friulani esponevano dati terrificanti a favore dei piemontesi: solo 4 vittorie udinesi nei 53 match precedenti a fronte di 37 vittorie juventine e con l’ultimo successo friulano in trasferta che risaliva allora alla stagione 1961/62. E a rendere quella “recita” all’apparenza oltremodo scontata e priva di sussulti ci aveva pensato dopo due minuti dal fischio d’inizio l’udito sopra la media dell’arbitro padovano Roberto Bettin, il quale, dopo aver fischiato un fallo per un intervento deciso del terzino belga Regis Genaux ai danni di un avversario, nel frastuono dello stadio aveva percepito una bestemmia indirizzata a lui dal difensore dell’Udinese e gli aveva sventolato sotto il naso il cartellino rosso. Friulani con un uomo in meno dopo neanche due minuti; e qui entrò in gioco il genio dell’allenatore di Meldola che invece di sostituire subito un attaccante e rimpiazzarlo con un difensore e far passare l’Udinese dal fin lì canonico e dogmatico 4-4-2 all’emergenziale 4-4-1, decide di modificare l’assetto tattico in 3-4-2. Fuori un centrocampista, Locatelli, per fare entrare Gargo, un difensore, alzando il terzino Helveg sulla linea di metà campo. Difesa “a tre” e per giunta a Torino contro la Juventus? Eresia delle eresie. Follia pura, è da pazzi giocare solo con tre difensori. Figuriamoci. Anni dopo Alberto Zaccheroni dirà che la difesa a tre lui l’aveva già provata in allenamento durante tutto l’arco di quel campionato ma non l’aveva mai proposta prima, perché “sentiva” che la squadra era riluttante, timorosa di lasciare il modulo collaudato. Quella, paradossalmente, per i giocatori si rivelò l’occasione perfetta: la situazione di classifica era tranquilla, perdere a Torino con la Juventus non sarebbe stato un dramma, bisognava invece moltiplicare gli sforzi per evitare la “goleada” degli avversari che la scelta dell’allenatore sembrava favorire. Dopo un primo tempo di assestamento al nuovo schema, la squadra rientra negli spogliatoi in vantaggio per 1-0, grazie ad un gol di Marcio Amoroso su rigore nel finale di frazione, con la consapevolezza che l’impianto tattico stia reggendo agli assalti juventini e che anzi si possano aprire nuovi e interessanti spazi per le ripartenze (il contropiede per quelli della mia generazione). Si convince che la “follia” può funzionare e in tutti la riluttanza lascia il posto alla voglia di stupire, di andare oltre, di fare l’impresa. E così fu: neanche due rigori fischiati dall’arbitro Bettin a favore della Juventus – uno di Vieri finito sulla traversa e uno di Zidane parato da Turci - furono in grado di tamponare le micidiali ripartenze friulane che fissarono nella ripresa il risultato su di un sensazionale 3-0 per l’Udinese, grazie alla doppietta di Marcio Amoroso e ad una “capocciata” di Oliver Bierhoff. Quella domenica ero in auto in direzione Palmanova e avevo iniziato come di rito ad ascoltare “tutto il calcio minuto per minuto” alla radio; alla notizia dell’espulsione di Genaux avevo spento l’apparecchio, più rassegnato che stizzito. Terminato il giro delle mura della città stellata e dopo aver consumato in compagnia una bella coppa di gelato nella piazza grande, ripresi l’auto per ritornare verso casa e, considerato che ormai le partite volgevano al triplice fischio di chiusura, decisi di sintonizzarmi di nuovo sulla trasmissione sportiva per conoscere l’entità della batosta. La voce di Carlo Nesti, chiamata dal conduttore Alfredo Provenzali a relazionare su minuto e punteggio, esclamò più o meno così: “Al “delle Alpi” il risultato resta invariato, pertanto a 5’ dal termine, il punteggio è di Juventus zero Udinese tre, cedo la linea di nuovo a te Alfredo.” Sicuramente un lapsus, pensai, spegnendo di nuovo la radio. Povero Nesti e poveri noi. Furono una serie di telefonate di amici, poco più tardi a darmi la sensazionale e “impossibile” notizia che valse una serata insieme davanti alla TV per la “Domenica sportiva”, con ampio accompagnamento di birre e affettati. Scudetto di nuovo in discussione con il Parma che, vincendo a Roma si era avvicinato a soli tre punti dalla Juventus. “L’Udinese riapre il campionato” titolarono gli esperti. Niente paura: la domenica successiva commentarono “L’Udinese ammazza il campionato”, registrando la vittoria dei bianconeri al Tardini contro gli emiliani per 2-0 e la contemporanea vittoria juventina sul campo di Bologna. Anche a Parma l’Udinese era scesa in campo con tre difensori assieme a tre attaccanti, lanciando definitivamente in orbita il 3-4-3, modulo super offensivo che nessuno aveva mai osato adottare, se non nelle circostanze in cui si trattava di recuperare partite diventate disperate in corso d’opera. Certo mai come modulo di “default”! In una settimana era cambiato il mondo, avendo strapazzato a casa loro le prime due della classe, segnando 5 reti senza subirne alcuna, e la cavalcata trionfale che si concluse strapazzando per 3-0 anche la Roma all’Olimpico con la conquista della qualificazione alla coppa U.E.F.A. per la stagione successiva non fu che, a posteriori, una logica conseguenza. L’eresia di Zaccheroni in breve tempo conquistò non solo l’Italia, ma anche l’Europa, con decine e decine di tecnici che vollero adottare lo schema anche nei loro team
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