Negli anni '70 del secolo scorso (!) l'infanzia e l'adolescenza mia e quella di tanti coetanei fu segnata da una serie Tv ante litteram che già dal titolo - Spazio 1999 - nel tempo presente parrebbe a prima vista "old" e irrimediabilmente "out". A beneficio dei contemporanei che non conoscono la saga, qualche breve informazione: ideata da nel 1973 da Gerry e Sylvia Anderson, coprodotta dalla britannica ITC con la RAI, fu trasmessa in Italia in due stagioni da 24 episodi di 50 minuti per stagione sui canali RAI 1 e 2 da gennaio 1976 a marzo 1980 e narrava l'odissea nello spazio degli abitanti della base lunare ALPHA a partire dall'allontanamento del nostro satellite oltre i confini del sistema solare, dopo che il 13 settembre 1999 una terrificante esplosione causata dall'innalzamento repentino ed inatteso del campo magnetico nei depositi lunari di scorie nucleari provenienti dalla Terra, aveva fatto uscire la Luna dall'orbita terrestre. Il successo della prima stagione fu enorme, mentre la seconda ne segnò il declino a causa della separazione tra Gerry e Sylvia Anderson e al subentro dei capitali privati del produttore americano Fred Freiberger che comportò un minor budget con conseguente perdita di alcuni personaggi chiave, set ridotti e meno accurati con un taglio diverso nella sceneggiatura di episodi divenuti copia uno dell'altro e dai dialoghi meno filosofici e assai più banali. I personaggi principali della prima serie, quali il comandante John Koenig, la dottoressa Helena Russell, lo scienziato Victor Bergman e il capitano delle Aquile Alan Carter divennero delle icone ed erano interpretati rispettivamente da attori del calibro di Martin Landau, Barbara Bain, Barry Morse e Nick Tate, così come di primo livello erano le guest-star che arricchivano i singoli episodi: Christopher Lee, Joan Collins, Peter Cushing, Catherine Schell e Orso Maria Guerrini, solo per citarne i più noti.
Tutta la prima stagione ruotava intorno al desiderio dei "naufraghi" di trovare un pianeta compatibile per condizioni alla vita antropica e sui cui riprendere un'esistenza umana, abbandonando la claustrofobica clausura in cui erano relegati sulla base lunare; naturalmente il desiderio rimane frustrato per tutta la serie, perché ogni incontro con luoghi e civiltà aliene, anche quelli all'inizio più promettenti, cela sempre un incompatibilità di fondo nei casi migliori e addirittura una minaccia per la sopravvivenza di Alpha stessa nelle altre situazioni.
E così se da un lato ogni episodio si concludeva invariabilmente con "e gli alphani continuano il loro viaggio nello spazio infinito...", dall'altro ogni nuova puntata iniziava con la speranza di aver finalmente trovato o di essere vicini alla soluzione del loro confinamento.
Ieri sera, dopo l'ennesimo notiziario che diffondeva la prospettiva di nuove e prossime probabili restrizioni dovute alla ripresa nella diffusione e nel numero dei contagi da COVID-19, il mio sguardo spostandosi con rassegnata frustrazione dal televisore al soffitto ha incrociato per caso il cofanetto che costudisce i DVD della prima stagione (rigorosamente!) di Spazio 1999.
Altro che "old" e "out"!!! La serie di John Koenig and Helena Russell è stata - in profondità - molto più profetica della saga prodotta dalla BBC sempre nel 1975 dal cristallino titolo "I sopravvisuti" e che invece si focalizzava su vicende post-apocalittiche di superstiti inglesi dopo che l'umanità era stata colpita da una pandemia dovuta ad un virus sconosciuto sfuggito ad un laboratorio cinese (!), e che aveva risparmiato soltanto una persona su 5.000 dell'intera popolazione mondiale.
Come possiamo, oggi, non condividere l'esperienza e il destino degli Alphani? Per Koenig e i suoi un evento improvviso - ma non imprevedibile - come l'accumulo smisurato scorie nucleari dalla Terra crea le premesse per un esplosione che espelle la Luna dall'orbita terrestre e trancia per sempre i legami con l'umana quotidianità, costringendo gli abitanti della base a vivere reclusi in uno spazio angusto lontani per sempre dalla vita vera. Un evento che segna per sempre un "prima" e un "dopo" dove il prima si sa molto bene com'era e sul "dopo" invece non v'è certezza, se non l'angoscia che nasce ogni volta che si prova a dare un contorno meno vago a ciò che può riservare il futuro.
Per noi invece quel momento è la sera del 9 marzo 2020, quando in TV a reti unificate l'allora Premier Giuseppe Conte annunciava l'inizio del "lockdown" e della corrispondente nascita dell'Italia in zona rossa e noi tutti come gli Alphani il 13 settembre 1999, tra l'incredulo e lo sconsolato, iniziavamo a capire che un evento improvviso - ma non imprevedibile - ci stava allontanando dall'orbita della nostra quotidianità, dalla nostra zona "scontata" di comfort verso qualcosa che ancora non capivamo (e non capiamo) bene ma che intuivamo avrebbe stravolto in profondità la nostra umanità, scagliandoci in remote regioni inesplorate della nostra psiche. Anche per noi un "prima" e un "dopo".
Un dopo che sia per il prof. Bergman, il vicecomandante Paul Morrow, l'operatore al computer Kano e tutti gli altri sulla Luna e per tutti noi in Italia - e nel mondo - sarebbe stato caratterizzato da una claustrofobica permanenza negli spazi più o meno angusti della base lunare o delle nostre abitazioni.
Accompagnati dai lutti che un po' alla volta sono arrivati sotto i colpi degli alieni - in carne ed ossa ma immaginari per Alpha - e sotto forma di virus reale per noi.
Salvo i momenti più o meno lunghi di "libera uscita" in cui gli Alphani visitano i nuovi mondi che incontrano, rimanendo poi sempre delusi e frustrati nel verificare l'impossibilità di convivere nell'ambiente incontrato e che li costringe a serrarsi di nuovo sine die dentro la base.
Per noi invece quei momenti, più o meno lunghi di libera uscita, sono rappresentati da tutte le volte che l'effetto di chiusure, restrizioni, distanziamenti, uso di mascherine e guanti ci hanno illuso di poter ritrovare "il mondo perduto" osservando il diminuire di morti e contagi fino a giungere all'uso dell'arma che doveva essere quella risolutiva per sconfiggere il nemico: i vaccini. E che invece ancora sembrano non bastare, almeno nell'immediato, a sconfiggere un virus che con tutte le sue varianti muta pericolosamente sfuggendo ancor più di Maya, la mutante interpretata da Catherine Schell nella seconda stagione.
E così ancor oggi, passati più di 16 mesi dal "breakdown" di Giuseppe Conte, non sappiamo se in sicurezza potremo mandare i nostri figli a scuola in presenza, se potremo ritornare in uno stadio o ad un concerto, se potremo prenotare una vacanza, se potremo ancora abbracciare chi desideriamo e se, malauguratamente una volta contagiati, potremmo essere curati nel caso in cui il nostro sistema immunitario faccia ancora flop nei confronti dell'alieno, con o senza difese inoculate.
In poche parole, non sappiamo più se potremo vivere in pieno la nostra condizione umana, sferzata duramente da un virus comparso misteriosamente da un giorno all'altro e che ci ha condotto in un'esperienza e una quotidianità inimmaginabile, fatta della stessa tensione psichica che affliggeva il comandante John Koenig quando fissava l'immensità dello spazio dalle finestre sigillate della sala comando che rendeva lui ed i suoi compagni contemporaneamente sicuri e prigionieri.
Così in cerca di ispirazione su come continuare a sopravvivere sul pianeta COVID-19 mi sono rivisto un paio di puntate della prima stagione - in particolare "Sole Nero" e "Il Pianeta Incantato" - e alla fine non posso che condividere i pensieri John Koenig e del prof . Victor Bergman: quale sia la condizione esterna che ci circonda rimaniamo umani e dobbiamo adoperarci con tutta l'energia che abbiamo per mantenere ad ogni costo la nostra umanità che è fatta insieme di fragilità e incompletezza e di volontà nel comprendere e di grande fede nella capacità che la nostra mente ha di trovare le soluzioni.
Da ragazzo adoravo il comandante John Koenig perché agiva sì con determinazione adamantina, ma solo dopo essersi consultato con il suo amico Victor, uomo di scienza, e aver ben compreso quanto gli veniva riferito, rifiutandosi di accettare acriticamente qualsiasi soluzione. Il tutto condito con la forza di volontà di chi non cederà mai, fino all'ultimo respiro, per la salvezza dei suoi compagni e della propria umanità. Che da sempre significa inscindibilmente gioia e sofferenza.
Per cui mi sono chiesto, cosa farebbe John Koenig, oggi, sul pianeta COVID-19? Risposta facile facile, ordinerebbe a tutti di vaccinarsi e vaccinarsi prendendo a cazzotti tutti i renitenti e, nel contempo, anche a calci in culo tutti coloro che dovessero girare a piede libero fottendosene del pericolo, come fecero gli Alphani sul pianeta Piri. Facendo magari un cazziatone terribile alla dottoressa Helena Russell e al prof. Victor Bergman se non gli avessero prima spiegato bene, con chiarezza e senza nascondere nulla come funzionano i vaccini e quali sono i rischi connessi, fregandosene alla fine bellamente anche dei rapporti elaborati dal computer di Kano, senza prima aver verificato se era stata fatta regolarmente la manutenzione e l'aggiornamento.
Senza aver la certezza di riuscire nell'intento di sconfiggere l'alieno, ma senza il dubbio di averci provato al meglio delle condizioni possibili, perché appunto siamo umani, fragili ospiti sottoposti alle Leggi dell'Universo.
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