Nella
storia di ogni un club ci sono stagioni che si vorrebbero cancellare dalla
memoria e nel caso dell’Udinese, il campionato 1986/87 è sicuramente tra
queste: partenza con nove punti di penalizzazione in una serie A con 16 squadre
e i due punti per la vittoria. Questa condanna a morte dall’esecuzione
rimandata di un anno fu il tremendo scenario che Gianpaolo Pozzo ereditò da
Lamberto Mazza nell’estate 1986 e che si concretizzò in una stagione a dir poco
anomala, da “ospiti” in una serie che non sarebbe stata quella dell’anno
seguente. Il ritorno in serie B per il torneo 1987/88, dopo 8 campionati
consecutivi di A e i fasti e le ambizioni dell’era Zico-Zanussi, oltre che
essere largamente previsto con un anno di anticipo era in realtà atteso dalla
nuova dirigenza con impazienza, per avviare il programma che voleva riportare
subito Udine in serie A.
La
strategia di Gianpaolo Pozzo, futuro “Paròn” ma ancora neofita per il mondo
pallonaro ad alti livelli, fu quella di segnare un punto di discontinuità con
la precedente gestione a partire dai simboli: via le maglie “avveniristiche”
delle ultime tre stagioni per ritornare alla tradizionale casacca bianconera a
strisce verticali, pantaloncini e calzettoni bianchi, tenuta abbandonata nella
stagione 1979/80, quella del ritorno in A, per non confondersi con quella più
celebre della Juventus e a quella meno celebre dell’Ascoli a favore di una maglia
che, salvando i colori sociali bianconeri, fosse inedita e utile per
identificare solo la società friulana. Ritorno al passato anche in panchina,
dove a Giancarlo De Sisti venne dato il foglio di via per riportare in auge
Massimo Giacomini, il tecnico udinese reduce da stagioni non sempre brillanti
in giro per l’Italia ma protagonista della scalata bianconera dalla C alla A in
sole due stagioni dal 1977 al 1979, nonostante “Picchio” avesse condotto con
grande professionalità e più che dignitosamente per tutte e trenta le partite
una compagine già destinata alla retrocessione sin dal primo minuto della prima
giornata
Il
motto per ritornare in serie A era “l’Udinese riparte dal Friuli e dalla sua
migliore tradizione”: Presidente e denari friulani, allenatore friulano e come
sponsor pluriennale il marchio REX degli stabilimenti di Porcia. Un motto che
piacque e convinse subito la tifoseria, sollecita a sottoscrivere abbonamenti
in numero superiore alla stagione precedente e che, nonostante tutto, come
vedremo, garantì una presenza sugli spalti del Friuli costantemente prossima
alle 20.000 unità.
La
squadra in estate venne costruita come se dovesse partire già ai nastri della
massima categoria con un anno d’anticipo, a parte l’impossibilità per
regolamento di tesserare giocatori stranieri.
Le
partenze delle “bandiere” dell’era Zico come Edinho e Paolo Miano, dei
desiderosi di cambiare aria quali Fulvio Collovati, Angelo Colombo e del promettente
baby Marco Branca e del deludente e bollito Daniel Bertoni furono rimpiazzate
subito dagli arrivi dal neo-campione d’Italia Lugi Caffarelli dal Napoli di
Maradona, del mediano di belle speranze Andrea Manzo dal Milan, dell’esperto
stopper di categoria Roberto Bruno e della punta “astro nascente” Davide Fontolan
dal Parma di Arrigo Sacchi, del terzino Vittorio Pusceddu dal Torino, del
cavallo di ritorno Claudio Vagheggi dal Campobasso e, dopo le prime partite di
campionato, nientemeno che da due big come il regista azzurro Giuseppe “Beppe”
Dossena dal Torino e dal libero Ubaldo Righetti dalla Roma, già giovane campione
d’Italia con i giallorossi di Falcao e Bruno Conti nella stagione 1982/83. Nonostante
il grave infortunio patito nel finale del campionato precedente e dal quale non
si era ancora del tutto ripreso, a fare capitano del gruppo fu designato il bomber
Francesco “Ciccio” Graziani che, con i suoi 7 gol in 20 partite e la grinta che
aveva profuso nel tentativo di centrare l’impossibile salvezza, aveva convinto
la dirigenza a confermarlo e puntare su di lui come guida dello spogliatoio,
oltre che come terminale dell’attacco.
Tifosi
e addetti ai lavori sono tutti concordi nel ritenere i bianconeri solo di passaggio
nel campionato di serie B che per la prima volta mette a disposizione 4 posti
per la promozione diretta e che i più attenti osservatori considerano una
specie di A2, vista la presenza ai nastri di partenza di piazze come Roma
(sponda Lazio), Genova (sponda Genoa), Bologna, Bari, Parma e squadre del
calibro di Atalanta, Lecce, Brescia e Cremonese.
E
in questo clima la stampa sportiva descrive l’Udinese come la “Juventus della
serie B”, con i tifosi friulani ben contenti di ritrovare in campionato, dopo
quasi un decennio, anche il derby con la Triestina con il pensiero di fare
degli “odiati” giuliani “ un solo prelibato” boccone.
La
prima giornata del calendario propone al Friuli Udinese – Taranto e gli
appassionati della Cabala gioiscono, considerando che nel campionato della
promozione dalla B alla A, la “Giacomini Band” nel settembre 1978 aveva trovato
proprio i pugliesi alla prima di campionato sul terreno dei Rizzi e li aveva sconfitti
per 3-1. Il 13 settembre 1987 va addirittura meglio, con la formazione friulana
che pare confermare le più ottimistiche previsioni di partenza e capace di
sbarazzarsi senza eccessivi patemi dei rossoblù tarantini infliggendogli
davanti a 19.787 paganti un sonoro 3-0, grazie alle reti nel primo tempo del “Roscio”
Odoacre Chierico all’11’ con una rasoiata dal limite, del capitano “Ciccio” Graziani
con un bel tiro al volo da centro area al 25’ e con una fuga in solitario
contropiede del terzino “senatore” Dino Galparoli a 11 minuti dal triplice
fischio di chiusura.
Fu
invece solo il canto del cigno per la “Juve della serie B” che, come la sua
matrigna della serie A in quell’annata, andò invece incontro ad una delle
stagioni più tribolate della sua più che centenaria storia. A partire dalla
seconda giornata con una sconfitta maturata nei minuti finali sul terreno del “Dall’Ara”
i bianconeri persero tutte le partite in trasferta del 1987 e già alla quinta
giornata, dopo un opaco e fortunoso 0-0 casalingo con il Bari, l’udinese purosangue
Massimo Giacomini fu esonerato per far posto al santone serbo giramondo Velibor
“Bora” Milutinović il quale, affiancato da Marino Lombardo in panchina, dopo l’esordio
vittorioso casalingo con il Piacenza per 2-0 con doppietta di Claudio Vagheggi,
trionfalisticamente azzardò:” Primero punti, despues spectaculo, juego y gol”.
I punti invece furono 6 in 9 nove partite, lo spectaculo spesso fu ai limiti
della decenza, per non parlare del juego inguardabile e la miseria di 6 gol
fatti, tutti in casa, a fronte dei 10 subiti, il tutto condito con la sconfitta
al “Grezar” nel derby con la Triestina e un filotto di 4 sconfitte consecutive
senza segnare gol. Tutto questo condusse all’esonero l’allenatore serbo, quando
alla quattordicesima di andata la “Juve della serie B” si era avvicinata alle
posizioni che l’avrebbero portata a recitare il ruolo di grande per la serie C
nella stagione successiva. Al benservito allo “zingaro” giramondo capace l’anno
prima di guidare il Messico fino ai quarti di finale del mondiale casalingo e
successivamente agli ottavi di finale il Costarica ad Italia ’90 e gli Stai
Uniti ad Usa ’94, si affiancò anche l’addio al calcio di “Ciccio” Graziani, che
dopo 10 partite e 1 gol all’attivo, tormentato dai continui cedimenti fisici e
dall’impossibilità di trovare una condizione accettabile e forse anche gli
stimoli giusti, alzò bandiera bianca dopo lo 0-2 in casa del Brescia alla
tredicesima di andata. Così, il 20 dicembre 1987 sulla panchina friulana nella
difficile partita interna contro la Lazio, con i romani nelle posizioni di
testa e in piena corsa per la serie A, venne chiamato a sedersi il “sergente di
ferro” Nedo Sonetti con il compito di salvare l’Udinese da un tragico crollo in
terza serie. Il tecnico di Piombino con grande pragmatismo fece suo l’invito
rivoltogli dai tifosi che avevano esposto al suo arrivo al vecchio Moretti,
allora ancora campo di allenamento, uno striscione dal tenore eloquente: “NEDO
FRUSTALI” e riuscì ad avviare un percorso che, badando al sodo e senza
proclami, portò ad una lenta rimonta nelle posizioni di classifica tanto da far
nascere, anche solo per un attimo, a tre quarti del torneo qualche timida
speranza di agganciare il treno della promozione. L’impresa non riuscì e la
squadra, nonostante le sempre più convincenti prestazioni da vero leader di
Beppe Dossena, una volta raggiunta la tranquillità e la vittoria nel derby di
ritorno con la Triestina al Friuli, si adagiò e terminò il campionato con un
insipido decimo posto e uno score di 12 vittorie, 14 pareggi e 12 sconfitte, 37
gol fatti e 35 subiti. Un po’ come la Juve della serie A, che in quel
campionato stazionò costantemente a metà classifica, vinse una sola partita in
trasferta e fu costretta a disputare uno spareggio con il Torino per
guadagnarsi il sesto posto, l’ultimo utile per non rimanere esclusa dalle coppe
europee, circostanza assimilabile ad una retrocessione per i bianconeri torinesi.
Il ruolo del mattatore della serie B in quell’annata lo incarnò il Bologna di
Gigi Maifredi che vinse il campionato e fu seguito nella massima serie da
Lazio, Lecce ed Atalanta, mentre nell’inferno dei gironi di serie C finirono
Modena, Arezzo e Triestina, quest’ultima non in grado di recuperare i 5 punti
di penalizzazione con cui aveva iniziato il torneo. Al termine di quell’annata “immemorabile”
il confermatissimo Nedo Sonetti chiese e ottenne di usare la frusta per un “repulisti”
generale, prontamente avvallato da Gianpaolo Pozzo e dal nuovo DS Marino
Mariottini: via con rimpianto Beppe Dossena che si accasò alla Samp dove fu
protagonista del ciclo d’oro blucerchiato, via senza troppi rimpianti Bruno,
Caffarelli e Righetti al Pescara, Chierico al Cesena, Fontolan e Pusceddu al
Genoa, Criscimanni al Livorno, Dal Fiume alla Pistoiese, Brini al Vicenza, Russo
alla Triestina, Federico Rossi al Taranto e via anche Vagheggi alla Sambenedettese,
capocannoniere stagionale della squadra con 10 reti.
Ai
superstiti Galparoli, Abate e Manzo si unirono per la stagione 1988/89 per lo
più giocatori di categoria come De Vitis dal Taranto, Zannoni dal Parma, Catalano
dal Messina, Angelo Orlando dalla Triestina, Lucci dall’Empoli, qualcuno dalla
serie A come Garella dal Napoli, Paganin dalla Sampdoria, Minaudo dall’Inter e i ritorni di Branca dalla
Sampdoria e Storgato dall’Avellino. E a fine stagione fu di nuovo serie A. Ma
questa è un’altra storia.
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