giovedì 5 dicembre 2024

L’ENIGMA DEL DUOMO DI CIVIDALE

Rubén studiava il quadro con l’intensità di chi sa che l’arte è più che estetica: è un enigma, un portale verso il passato. Nella pala del XVI secolo di Matteo Ponzone, la Madonna con il Bambino era avvolta in una penombra che sembrava viva. La nicchia in cui si trovavano dava un senso di chiusura e protezione, ma anche di reclusione.

San Giovanni, invece, sembrava un’anomalia: ritratto con tratti effemminati, quasi come se fosse una donna, osservava la Madonna e il Bambino con un’estasi che sfiorava l’inquietudine. Nelle sue mani, un calice. Sul fondo del calice, appena visibile, si intravedeva la sagoma di un serpente, quasi un’ombra sfuggente, come se Ponzone avesse voluto celare quel dettaglio agli occhi meno attenti.


Il Bambino sembrava vivo anch’esso, ma non per il suo sguardo ingenuo. La posizione del corpo raccontava altro: il piccolo Gesù si dimenava, come se volesse fuggire dall’abbraccio della Madre e dirigersi verso San Giovanni.

Rubén si accorse che quel movimento, apparentemente casuale, aveva un senso: il Bambino non solo guardava il calice, ma sembrava attratto dal serpente, come se fosse l’unico elemento che realmente catturava la sua attenzione.

“Un simbolismo cupo”, mormorò Rubén, passandosi una mano tra i capelli.

Un enigma in penombra

Il pittore spagnolo era stato convocato a Cividale per risolvere un mistero annuale: ogni solstizio d’inverno, un viaggiatore veniva trovato morto davanti a quel quadro. Nessun segno di violenza, nessuna causa apparente. Ma i loro volti erano sempre congelati in un’espressione di terrore misto a estasi, quasi che avessero visto qualcosa di ultraterreno.

“Questo quadro…”, disse Rubén al parroco don Corrado, “non è solo un’opera d’arte. È un enigma. Ogni elemento sembra voler comunicare qualcosa.”

Don Corrado sospirò. “E ogni anno una vita si spegne qui. Non capiamo. L’unica costante è il solstizio e… il quadro.”

Rubén continuò a osservare. La nicchia era illuminata in modo particolare; la luce invernale filtrava dalle vetrate e creava un gioco di chiaroscuri che enfatizzava i tratti del Bambino e del serpente.

“Avete mai considerato che il quadro potrebbe essere stato concepito per essere visto solo in questa luce?”

Il simbolo del serpente

Rubén, con il suo quaderno di appunti, si concentrò sul serpente. Era un simbolo complesso: tentazione, conoscenza, peccato. Ma in un calice? Era un dettaglio insolito. Fece una ricerca veloce negli archivi del Duomo e trovò un appunto criptico di un antico canonico:

“Il calice contiene il veleno della verità. Solo chi è pronto può bere e vivere.”

Le parole rimbombarono nella mente di Rubén. Tornò al quadro e si chinò per osservare meglio. C’era qualcosa sulla superficie del calice: un’incisione minuscola, quasi invisibile. Con la lente, riuscì a leggere: “Fiat Lux.”

“Che la luce”, tradusse a bassa voce, “sia rivelatrice.”

Il giorno del solstizio

Il solstizio arrivò con il suo freddo e la sua luce limpida. Alle 11:58, quando il sole era al culmine, un raggio penetrò attraverso la vetrata e colpì il quadro. La nicchia si illuminò, e l’intera scena parve prendere vita. Il Bambino, in quel momento, sembrava quasi scivolare verso San Giovanni; l’estasi sul volto del santo diventava inquietante.

Rubén notò che la luce non si fermava al quadro. Si rifletteva sul pavimento, tracciando un sentiero che portava a una lastra di pietra.

Con il permesso del parroco, quella lastra fu rimossa. Sotto, c’era un passaggio che conduceva a una piccola stanza. Al centro, un antico calice, identico a quello dipinto, e un serpente mummificato che si attorcigliava attorno alla base.

Sul bordo del calice c’era una scritta in latino: “Solo chi beve la verità può vedere ciò che giace nascosto.”

Un sacrificio inevitabile

Rubén capì il significato. Il quadro, la nicchia, il calice: tutto era un rituale. Chiunque fosse in grado di risolvere l’enigma veniva inevitabilmente attratto dal calice nella cripta. E, bevendo, avrebbe visto una verità che la mente umana non poteva sostenere.

“È un testamento medievale”, disse al parroco. “Forse qualcuno, secoli fa, ha cercato di nascondere una conoscenza troppo pericolosa per il mondo.”

“Ma perché il quadro continua a mietere vittime?” chiese don Corrado.

“Perché non è il quadro a uccidere. È la curiosità. Chiunque veda quella luce e segua il percorso non può fermarsi. E alla fine, come il Bambino che cerca il serpente, finisce per affrontare qualcosa di insopportabile.”

Sigillare il passato

Il parroco decise di sigillare il passaggio sotto il Duomo. Il quadro, tuttavia, rimase. Rubén sapeva che il dipinto avrebbe continuato a essere un’attrazione irresistibile, una finestra su un mistero irrisolvibile.

Prima di andarsene, però, si accorse di un dettaglio che non aveva mai notato: la nicchia in cui erano ritratti la Madonna e il Bambino non era chiusa. Sul bordo c’era un’apertura, come se fosse stata concepita per permettere al Bambino di uscire.

Rubén lasciò Cividale con una sensazione inquietante. Non aveva trovato tutte le risposte, ma una cosa era certa: l’arte, come la verità, è pericolosa. E a volte, è meglio che i segreti restino sepolti nella penombra.

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