Roma, ottobre. Le ottobrate coloravano la città di oro e polvere. I sampietrini riflettevano la luce come se custodissero storie di coraggio e mediocrità. Andrea camminava verso il bar con passo deciso, l’aria piena di convinzione.
Il professor Balestri sedeva al suo solito tavolino del solito bar di Via del Governo Vecchio. Caffè nero e anni di osservazioni, sorridendo con ironia. L’aveva conosciuto dieci anni prima, quando Andrea era ancora un ragazzo ossessionato dagli appunti perfetti e dalle citazioni giuste. Ricordava le lezioni dove lui di colpo interrompeva tutto per raccontare un aneddoto assurdo, e Andrea, pur esasperato, rideva sempre, un po’ vergognandosi.
«Professore, ho deciso. Me ne vado. In India.»
Balestri sollevò appena lo sguardo.
«India? Ottima scelta, dove i sogni hanno fuso orario diverso dal resto della vita. Stai attento però al caffè, smbra non lo facciano troppo buono.»
«Non scherzi. Io voglio purezza. Qui non si cambia niente. Tutto è compromesso dai mediocri e dai raccomandati. Voglio una vita pura, assoluta. Silenzio, disciplina, spiritualità. Io voglio cambiare il mondo, ma cambiare davvero, farne un posto migliore, e non lo si fa con le mezze misure.»
Il professore accennò un sorriso.
«Ah, il mondo. Quell’invenzione che sopravvive nonostante tutti noi. Tu pensi che fuggire sia l’alternativa nobile a un mondo ingiusto. Io ti dico che è lo stesso gioco, solo dall’altra parte della scacchiera.»
Andrea si fece serio, quasi impaziente.
«No, professore, non è lo stesso. Lei confonde la resa con la scelta. Io non scappo: mi sottraggo. È diverso. Voglio ritrovare una purezza che qui è impossibile. Qui tutto è compromesso: si deve fingere, sorridere, negoziare. Io non ci sto! Basta concorsi truccati, colloqui inutili, ipocrisie: non voglio essere più giudicato solo in base al cognome o dalle conoscenze.».»
Il professore sorrise appena, con quell’aria indulgente che può irritare più di mille parole.
«Il compromesso, caro Andrea, non è una resa. È la forma più umana della coesistenza. Lo so, suona poco eroico. Ma la storia non la fanno gli eroi che bruciano, la fanno gli uomini che restano. Quelli che ogni giorno tentano di capire l’altro senza rinunciare a se stessi.»
«Ascolti, professore. Guardi la storia: nel 1992, avessi avuto la sua età, sarei stato sempre con Di Pietro. Mai con Craxi. Mai con Andreotti. Mai con i compromessi dei Democristiani. Quelli non cambiano nulla. E voi cosa avete fatto invece? Tutti con Berlusconi! Slo i rivoluzionari, quelli che non hanno paura di perdere tutto per un ideale, possono cambiare la storia, solo puntando all’assoluto si può migliorare il mondo.»
Balestri ridacchiò, con ironia pungente.
«Ah, i giovani! Sempre convinti che il mondo cambi in fretta e che la purezza sia la via. Ma vedi, Andrea, anche Di Pietro, non solo i democristiani, aveva dei compromessi, e persino i rivoluzionari devono ogni tanto mangiare, respirare, sopravvivere…»
Andrea alzò la voce, ma senza rabbia: convinzione pura.
«Non parlo di sopravvivere! Parlo di cambiare le regole, di rischiare tutto per un ideale! Non si tratta di vivere tranquilli. Si tratta di lasciare una traccia vera, di costruire qualcosa che resti!»
Il professore fece un gesto teatrale con la tazzina, come per dire “ascolta bene”.
«Ecco il tuo errore: credi che tutto debba essere bianco o nero. Roma stessa è un compromesso di secoli, eppure eccola qui. Se tutto fosse assoluto, probabilmente non sarebbe sopravvissuta.»
Andrea scosse la testa.
«Io non voglio la sopravvivenza tiepida. Voglio rivoluzione, purezza. Voglio l’assoluto.»
Balestri sorrise, ma con una punta di malinconia.
«Bravo, ragazzo. Solo che la rivoluzione senza respiro quotidiano è fanatismo. Il coraggio non è solo abbracciare l’estremo, ma anche vivere tra le contraddizioni, ascoltando e rispettando l'altro senza rinunciare a sé. Vedi, il mondo cambia grazie a chi resta, ogni giorno, fedele a piccoli gesti.»
Andrea guardò la piazza dorata dalle ottobrate.
«Io continuerò a puntare all’assoluto. Il compromesso mi sembra vigliaccheria. Qui non c’è spazio per chi lavora, studia, si impegna. Conta solo chi ha la spinta giusta, chi sa a chi sorridere. Io non voglio più far parte di questa farsa. »
Il professore accennò di nuovo un sorriso, ma questa volta era decisamente ironico, come chi ha già visto quella stessa scena recitata mille volte da altri giovani.
«Ti dirò una cosa che non ti piacerà: l’estremo opposto di una stronzata è anch’esso una stronzata.»
Andrea scosse la testa, contrariato.
«Lei riduce tutto a battute, come sempre. Ma ci sono momenti in cui bisogna scegliere da che parte stare.»
«E chi ti ha detto che non si possa stare nel mezzo senza essere vigliacchi?» ribatté Balestri.
«La via di mezzo è la più difficile. Richiede equilibrio, ascolto, disciplina. Gli estremi sono comodi: o tutto o niente, o si ama o si odia; vivere invece tra il tutto e il niente… quello sì, è un lavoro da adulti. Faticoso, umile, incessante. E ti dirò - continuò Balestri - che vigliaccheria o coraggio, a volte la differenza la decide il tempo, e guardati bene in giro: Roma ti insegna che compromesso, se fatto con saggezza, può diventare una forma di eroismo.»
Il giovane restò in silenzio rabbioso, mentre la città respirava intorno a loro, tra luce dorata, foglie che cadevano e storia che non smetteva di esistere. L’assoluto di Andrea non era meno vivo, ma forse ora sembrava meno solo, sospeso tra idealismo e realtà, tra rivoluzione e vita quotidiana.
Dal vicolo arrivava l’eco di un violinista che suonava Yesterday. Roma respirava piano, col fiato lungo di chi non smette mai di recitare se stessa.
Il professore si alzò, lentamente.
«In medio stat virtus, Andrea. E bada bene: virtus, non virus. La mediazione non contagia, cura, se hai voglia di guarire; è una specie di medicina, brucia solo un po'.»
Andrea infine sorrise, ma il sorriso gli uscì amaro.
«Lei si accontenta.»
«No, io persisto. È diverso. Sai qual è la differenza tra un idealista e un uomo libero? L’idealista vuole cambiare il mondo mentre l’uomo libero vuole capirlo, e semmai, migliorarlo un poco, quando può.»
Nel mentre, non curante di tutto questo, Roma continuava ad essere città eterna, incanto di uomini e di dei, inno perpetuo di nobiltà e miseria.
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