lunedì 4 dicembre 2017

MAMMA

Mia mamma Nella nacque a Gagliano nel marzo 1937, la carta d’identità recita il giorno 12 mentre lei sempre sostenne che si trattava dell’11, il giorno del compleanno di sua madre, nonna Augusta detta Gusta, spiegando tale anomalia con il ritardo di suo padre, nonno Igino detto Gino, nel denunciare all’anagrafe l’evento.
Seconda di 6 sorelle e un fratello, ben presto divenne la più anziana per la prematura scomparsa all’età di 5 anni della sorella maggiore, sulla cui tomba ad ogni ricorrenza dei defunti mi portava a pregare sino a che fu in grado di esercitare autorità di su di me.
Come il nonno Gino non evitava mai di rimarcare con soddisfazione, era decisamente la più bella di tutte e questo, credo, non le abbia per nulla semplificato la vita in famiglia: non me lo ha mai detto esplicitamente ma le dinamiche familiari a cui ho assistito nel corso degli anni mi hanno indotto a credere che le sue sorelle avessero mal digerito la circostanza e l’avessero fatta oggetto in gioventù anche di malcelate cattiverie. I suoi studi si erano fermati alla sesta elementare in una scuola di campagna, terminati i quali era stata avviata a diventare un campione dell’economia domestica, competenza da applicare al destino a cui era stata “scientificamente” preparata: diventare la perfetta moglie e la “brava” mamma, incarnando all'ennesima potenza il modello in vigore in quel periodo storico nel luogo in cui era nata. Di come e quando abbia incontrato l’uomo che divenne suo marito e mio padre per me è ancora un mistero, così come il perché e il che cosa la fecero scegliere proprio quell'uomo quale il compagno di tutta una vita: i rapporti strettamente personali tra tutti i membri della famiglia furono sempre argomento tabù per me e mio fratello. La sua bellezza e mezze parole qua e là mi hanno fatto intuire che da giovane fosse molto ambita anche da persone di censo sicuramente più elevato di quello del mio futuro padre e ogni tanto, soprattutto nei momenti più difficili, le scappava di raccontarci di un bell'ufficiale romano che le aveva fatto una corte tanto insistente quanto inutile quando il suo reparto, nel 1954 durante il momento più aspro della crisi italo-jugoslava del secondo dopoguerra, era accampato nella campagna limitrofa a casa della mamma. 
“Sarei potuta andare con lui a Roma!”.
La prima a non crederci era proprio lei, che nonostante tutte le difficoltà e le infelicità che dovette patire in casa, mai la sentimmo dire che se ne volesse andare e che mai vedemmo venir meno l’impegno per “gestire” da sola e per lungo tempo e tutti insieme un marito, un suocero, un cognato e due figli maschi.
Se a mia nonna, per aver sopportato il nonno, è andato “l’Oscar della carriera”, credo che mia Madre sia davvero in odore di santità. “Scelsi tuo padre perché fra tutti era quello che mi piaceva di più e perché era il più buono, anche se era il più povero.” Ecco tutto quello che mi disse in proposito, quando ormai la mia Vita aveva superato i 45 anni e le mie scelte familiari erano state profondamente diverse dalle sue.  “Poveri ma belli”, insomma. Gli aveva giurato amore eterno e fu in grado di declinarlo con i fatti più che nelle forme, compresi i 17 lunghi anni in cui da moglie si trasformò in badante, ovvero da quando mio padre venne colpito da un ictus con conseguente afasia totale ed emiparesi a 64 anni; se lui riuscì a vivere così a lungo quella mezza vita, io credo sia dipeso molto dalla presenza costante e infaticabile di mia madre. Ripensando al rapporto tra i miei genitori mi duole ancora il fatto che, a parte pochi mesi del periodo che vivemmo da soli a Pordenone (1974/75), non riuscirono o non vollero portare la loro famiglia (loro due, me e mio fratello) lontano da Borgo San Pietro a vivere da soli: se lo sarebbero meritato e saremmo usciti tutti, prima e meglio, dal XVIII secolo dove invece rimanemmo prigionieri, incagliati per troppo tempo, a causa del vero Pater Familias che condizionò tutto e tutti: il Nonno. Pace all’anima sua.
Probabilmente tutto questo ha fatto si che, da un certo punto in avanti, io abbia provato e provi tuttora grande simpatia per il movimento femminista; a parte quando confonde o mescola la lotta per i diritti delle donne con il disprezzo dell’uomo in quanto tale. Ovviamente.
Rimasta vedova a 80 anni nel 2017, passò gli ultimi anni della vita che l'Altissimo o chi per Lui gli concesse, nella casa di Borgo San Pietro provvedendo da sola alle sue necessità, offrendoci sempre il suo appoggio e il suo lavoro per cercare di rendere più facile il nostro di figli e quello dei nipoti, senza mai intralciare le nostre scelte, pur nella sofferenza che molte di queste gli avevano procurato e che cercò di tenerci nascosta, per quel che poteva.
Un punto di riferimento che non reclamava mai nulla per sè, se non la sua necessità di "fare qualcosa" per tutti.
Era una donna a cui noi non raccontavamo molto, ma lei solo guardandoci negl'occhi, aveva già capito tutto di ciò che ci tormentava, di quello che ci faceva sperare o che ci dava gioia. 
Nei primi mesi del 2023 iniziò a lamentare un dolore alla gamba che aveva iniziato ad ingrossarsi all'altezza della coscia e che il suo medico banalizzò come contrattura; fece in tempo a festeggiare con noi il suo 86mo compleanno in marzo e il mio 57mo il 12 maggio prima di essere ricoverata per accertamenti tre giorni dopo.
Lasciò la casa con timore ma anche con la speranza di farvi un rapido rientro avendo trovato il rimedio che potesse alleviare quella sofferenza fisica che ormai iniziava a renderle complicato muoversi, oltre che oltremodo turbato il sonno. 
La risposta, che lei non conobbe mai, invece era stata una sentenza inapellabile: non c'era modo di fermare il male che l'aveva colpita e rimanevamo ben pochi granelli di sabbia dentro la sua clessidra: ci lasciò nella calda serata del luglio 2023, dopo 4 giorni in cui il suo pneuma lottò con tutte le forze prima di volare via, nell'Altrove.
In quegl'ultimi 2 mesi scarsi che passò nel letto d'Ospedale, fino a che fu coscente, non riuscì a darsi pace "per averci dato l'incomodo" di assisterla ogni giorno, cercando di consolare noi "perchè non riusciva più ad aiutarci".
L'ultimo suo regalo fu quello di tenerci tutti insieme per l'ultima volta così a lungo, fratelli e nipoti, per  4 giorni che trascorse nel reparto dell'Hospice di quel che resta dell'Ospedale di Cividale, in ore che furono scandite dal ritmo dei suoi respiri.    

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