martedì 22 maggio 2018

STALINGRADO E DINTORNI

Ormai il grande bluff era finito e dalla Russia nell'inverno 1942/1943 arrivarono notizie, se possibile, ancora più catastrofiche: il 19 novembre 1942, con il termometro che segnava – 20°, l'Armata Rossa era passata alla controffensiva su tutto il fronte del Don ed aveva intrappolato in una sacca tutta le forze tedesche che combattevano a Stalingrado: in totale 320.000 uomini accerchiati. 
Quella battaglia rimane nella storia come uno dei maggiori olocausti militari che l'umanità abbia mai conosciuto; si calcola che per rifornire l'Armata accerchiata si debbano trasportare via aerea 750 tonnellate di materiale al giorno, mentre di fatto nelle giornate migliori i rifornimenti effettivi non arrivano che a 90 tonnellate e nonostante questo Hitler si rifiuta di ordinare alla sua armata di rompere l'accerchiamento e di ritirarsi, condannandola così ad un terribile destino. 
I primi giorni di gennaio del 1943 vedono ridursi la razione di viveri disponibile per ciascun soldato tedesco a 75 grammi di pane, 12 di zucchero, 11 di grassi ed una sigaretta, mentre il 20 gennaio si decide di macellare tutti i cavalli dell'armata. 
La temperatura è scesa a – 40° ed i feriti non curabili e da evacuare salgono ad 80 mila… l'ultima settimana di gennaio ormai mancano completamente i viveri, 50 mila feriti giacciono senza speranza negli scantinati della stazione ferroviaria e del teatro di una città ridotta ad un cumulo di macerie fumanti, con le sembianze di vero e proprio girone infernale… i morti, per il terreno gelato e durissimo, non vengono più neppure seppelliti, né i loro nomi registrati… 

LETTERE DAL FRONTE 

Io dispongo soltanto di tre colpi ancora e sparare contro i carri armati non è come giocare a biliardo. Nella notte però piango senza ritegno come un bambino… cosa avverrà ancora? 

Non sono mai stato un soldato, ho sempre portato l'uniforme. Cosa ne ho ricavato? Cosa ne hanno ricavato gli altri, che non si sono rivoltati, che non hanno paura? Cosa ne riceviamo dalla morte eroica? 

Mio Dio, perché ci hai abbandonato? 


Il 2 febbraio 1943, nel primo pomeriggio, un aereo da ricognizione tedesco sorvola Stalingrado e trasmette che non si osserva nessun combattimento in corso: il generale Von Paulus, comandante della VI armata germanica, contravvenendo ancora al volere di Hitler, ha finalmente ordinato la resa ai suoi soldati. Da quel momento l'avanzata russa si sarebbe fermata solamente nel maggio del 1945, tra le macerie di un'altra città: questa volta era Berlino. 

Dei 320.000 tedeschi di Stalingardo 140.000 sono morti per ferite, fame, freddo e malattie, 20.000 risultano dispersi, 70.000 feriti ed evacuati; 90.000 vengono catturati dai sovietici ed avviati ai campi di prigionia: solamente 5.000 negli anni '50 potranno ritornare vivi nel loro paese. 

Non molto diverso fu il destino delle nostre truppe, diventate nell'estate del 1942 una vera e propria armata, per l'invio al fronte di altre divisioni che avevano portato così la nostra forza a 220.000 soldati e 9.000 ufficiali. 

I nostri reparti, schierati a difesa del fronte del Don, furono investite in novembre dalla controffensiva sovietica che costrinse le nostre truppe ad un drammatico ripiegamento: per 12 giorni ed undici notti i nostri soldati percorreranno 250 km a piedi tra la neve alta, con la temperatura costantemente a 30° sotto zero, con una marcia media di 16 ore al giorno, sotto il fuoco nemico e l'attacco dei partigiani russi. 

Questa colonna di uomini ridotti a fantasmi, che formava una biscia nera lunga una quarantina di km in movimento verso ovest, riuscì il 26 gennaio a superare con la forza della disperazione, a Nikolajevka, lo sbarramento sovietico e a portarsi in salvo.


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